Cibi solidi a 4 mesi? No, grazie!

Cibi solidi a 4 mesi? No, grazie!

Da diversi anni a questa parte, sia pediatri che organismi ed enti nonché associazioni di categoria in area pediatrica hanno iniziato a contraddire le raccomandazioni dell’OMS relative all’età dell’introduzione dei cibi solidi (che l’OMS da decenni raccomanda essere 6 mesi compiuti), accennando a nuove linee guida che affermano come l’introduzione precoce di cibi allergizzanti favorirebbe la protezione dalle allergie, sfruttando una “finestra temporale” che sarebbe “non prima dei 4 mesi e non oltre i 6 mesi”. Questa teoria si fonda in realtà non su studi scientifici, come spesso viene inteso o riferito, ma sul pronunciamento di un gruppo di esperti, l’ESPGHAN, che sulla materia (e anche relativamente ad altri aspetti della nutrizione infantile) ha redatto un Position Paper, cioè una dichiarazione di opinione “autorevole”. Il documento originale si può leggere qui.

Qui invece si può leggere un suo aggiornamento che non modifica nulla a livello sostanziale né come forza delle evidenze scientifiche

Ma allora le linee guida OMS non sono più valide? Niente affatto; come ribadito dall’OMS stesso. E’ istruttivo sapere che un tempo anche l’OMS raccomandava di introdurre i cibi solidi fra i 4 e i 6 mesi, semplicemente perché gli studi su allattamenti esclusivi di maggior durata nemmeno esistevano: si era negli anni ’50-’60 e i tassi di allattamento erano bassissimi. I ricercatori del gruppo di lavoro sull’allattamento dell’OMS hanno impiegato decine di anni a raccogliere studi e ricerche ben fatte, e alla fine hanno rivisto le loro raccomandazioni sulla base di evidenze inconfutabili: dare cibi solidi prima dei 6 mesi non dava nessun beneficio né nutrizionale né di salute ed esponeva ad alcuni rischi. L’OMS ha impiegato moltissimo tempo prima di pronunciarsi, perché le pressioni delle industrie degli alimenti per l’infanzia erano enormi e non si poteva rischiare di essere contestati, e quindi hanno atteso di poter esibire il più alto livello di evidenza scientifica.

I livelli di evidenza della ricerca scientifica

La forza delle esperienze personali può colorare fortemente le opinioni, e le figure autorevoli le possono ulteriormente influenzare, ma le ricerche serie sono fatte con criteri di evidenza che nemmeno l’accumulo di esperienze cliniche di un singolo professionista può garantire. Un gruppo di professionisti “tutti d’accordo” su una cosa rivela soltanto le credenze interne a quel gruppo, che si fondano sulla loro esperienza personale, la quale è aneddotica (termine tecnico per definire i dati che emergono da casi singoli o dalla somma di casi singoli interpretati alla luce dell’esperienza).
I livelli di evidenza vanno dal più basso, il quinto, cioè quello dello studio sul singolo caso clinico oppure dell’opinione di esperti non basata su solide ricerche scientifiche (esattamente come il documento dell’ESPGHAN), fino al primo livello, cioè alle meta-analisi di revisioni sistematiche basate su studi di alta qualità (randomizzati controllati e a doppio cieco). Per saperne di più si può consultare questo documento di Epicentro, vedi specialmente paragrafo 3.3.
Una ricerca con alto livello di evidenza (studio randomizzato controllato a doppio cieco) esamina centinaia di casi da un campione di soggetti, 1) selezionato in modo “randomizzato” cioè casuale (allo scopo di rappresentare la popolazione generale e non una sola tipologia di soggetti) e 2) controllato, cioè trattato in modo da discriminare tutti gli altri fattori che possono alterare i risultati. Questo si ottiene confrontando un gruppo di casi oggetto dell’elemento in studio, e un altro gruppo di “controllo” di soggetti simili ai primi in tutto e per tutto, tranne per il fattore oggetto dello studio; ad esempio, mamme che allattano verso mamme che non allattano, prese da due campioni casuali, e poi appaiate soggetto per soggetto in base ad altri elementi comuni (per esempio età, condizione sociale ecc); in questo modo si fa si che i due gruppi a confronto possano essere considerati equivalenti per tutti quei fattori che potrebbero confondere i risultati dello studio. I dati vengono poi trattati “a doppio cieco”, cioè sono raccolti e studiati senza che chi li tratta sappia a quale dei due gruppi appartiene il soggetto: questo evita qualsiasi influenzamento da parte delle opinioni personali di chi effettua materialmente la ricerca. Si è visto che se non si mettono in atto tutti questi accorgimenti, i risultati si possono alterare e anche ribaltare.

OMS verso ESPGHAN

Non si possono mettere sullo stesso piano OMS ed ESPGHAN. Il primo è un organismo sanitario mondiale; il secondo (Società Europea di Epatologia, Gastroenterologia e Nutrizione pediatrica) è un panel di esperti che si fa portavoce di approcci culturali locali; non è un gruppo di ricerca o un ente super partes.
Il documento dell’ESPGHAN non è uno studio, ma un Position Paper, cioè i membri si sono riuniti insieme e in qualità di “esperti” hanno espresso la loro opinione, sulla base degli studi che loro hanno ritenuto di voler prendere in considerazione. Insomma una cosa che ha il più basso livello di evidenza.
A differenza dell’ESPGHAN, l’OMS non fornisce linee guida tratte semplicemente da opinioni espresse dai suoi membri – persone (o studiosi) più “autorevoli” di altri, per il solo fatto di essere dell’OMS. L’OMS esprime invece raccomandazioni e direttive, e non lo fa sulla base di opinioni dei suoi membri, fossero pure premi nobel, ma lo fa solo dopo aver esaminato con criteri scientifici così tanti studi e ricerche da dover prendere atto che le prove, rispetto a una data faccenda, sono schiaccianti, cioè hanno una solida base di evidenza.
Un punto debole del Position Paper dell’ESPGHAN è proprio questa connotazione modellata culturalmente. Sono gli stessi autori ad affermare che le loro indicazioni sono state adattate alla realtà locale. Le raccomandazioni dell’OMS invece non sono “un compromesso” fra la teoria e la prassi, ma sono l’espressione di tutti quegli aspetti che non variano al variare delle condizioni sociali o culturali o geografiche, e che quindi rappresentano proprio la fisiologia umana e lo standard generale a cui ispirarsi.
L’ESPGHAN, come dichiara esso stesso, sceglie di non seguire le raccomandazioni OMS dei 6 mesi perché queste sono “In contrasto con le pratiche correnti in molte nazioni Industrializzate”. Come dire che mentre si raccomanda di non fumare perché fa male, io, Ente Scientifico, decido di raccomandare di fumare “moderatamente”, perché nel mio Paese si fuma come turchi e quindi tocca adattare le raccomandazioni…
Sempre per adattare le raccomandazioni alle pratiche correnti (ma le raccomandazioni dovrebbero servire proprio per modificare quelle pratiche che non sono salutari!), invece di raccomandare, come fa l’OMS, l’allattamento esclusivo per 6 mesi, raccomandano l’allattamento “pieno”, che significa esclusivo oppure prevalente, cioè latte materno con l’inclusione di altri liquidi non nutritivi.
Sempre con la stessa logica, mentre tutto il mondo aderisce alle definizioni dell’OMS riguardo ai cibi complementari (cioè tutto ciò che non è latte materno, quindi non solo altri alimenti solidi o liquidi, ma anche la formula), l’ESPGHAN decide di fare a modo suo e di usare il termine “esclusivo” per indicare “tutto ciò che non è latte materno o artificiale“, perché a loro dire la definizione dell’OMS sarebbe “confondente” dato che “i bambini spesso sono alimentati anche con la formula fin dalle prime settimane di vita” (e quindi? che facciamo, dichiariamo confuse le definizioni, che sono ben precise, perché le pratiche correnti non le seguono?). Questo cambiamento nelle definizioni fa quindi rientrare dalla finestra i latti artificiali fra gli alimenti che non sono “integrazioni” all’allattamento al seno, nel delicato periodo di 4-6 mesi; inoltre crea anche dei disastri dal punto di vista della ricerca, perché uno degli scopi dello standardizzare le definizioni di allattamento è permettere che le ricerche siano comparabili fra loro, e così invece si torna nel caos.
Per riassumere: l’OMS raccomanda l’allattamento esclusivo, cioè dare SOLO LATTE MATERNO, senza altro, né formula, né liquidi, né cibi solidi, fino a 6 mesi di vita. L’ESPGHAN facendo giochi di prestigio, cambiando i nomi alle cose e dando ulteriori “aggiustatine” alle raccomandazioni per renderle più gradite alle pratiche correnti, raccomanda di allattare fino a 4 mesi “solo” con latte (materno o artificiale” ed eventuali altri liquidi), per poi introdurre anche i cibi solidi dai 4 mesi o al più tardi prima del compimento dei 6 mesi. Una bella differenza!

Le falle delle ricerche alla base del documento ESPGHAN

L’ESPGHAN fa un’affermazione categorica raccomandando di anticipare a 4 mesi e comunque non dopo i 6 mesi l’introduzione dei cibi solidi, contraddicendo così un’enorme mole di evidenze scientifiche. Su che base fa un’affermazione tanto grave?
1) L’ESPGHAN non lo dice. Sostanzialmente, le sue affermazioni si fondano su studi osservazionali (un tipo di studi che, in altre sue raccomandazioni, e quando contesta le indicazioni OMS, lo stesso ente definisce poco attendibili!). E con che criterio l’ESPGHAN ha selezionato questi studi, scartando centinaia di altri con maggiore forza e attendibilità? Non dice neanche questo. Non specifica né i criteri di selezione, né come ha utilizzato i dati di queste ricerche per rielaborarli e trarvi delle conclusioni. Al di là di un accenno generico, non specifica il livello di evidenza di ciascuno degli studi di riferimento.
2) l’ESPGHAN critica le indicazioni OMS insinuando che siano adatte solo per i bambini esclusivamente allattati al seno, quindi per una categoria “di nicchia” che non esiste quasi mai nel mondo reale; ma questa obiezione si basa sul considerare come standard le pratiche correnti, invece che le pratiche di nutrizione ottimali, che giustamente l’OMS sceglie come modello da seguire per TUTTI i bambini, a prescindere da come sono alimentati.
Sempre ignorando che la fisiologia dell’allattamento al seno dovrebbe essere lo standard, rimarca come dopo i 4 mesi i bambini nutriti artificialmente tendono a crescere maggiormente di quelli allattati esclusivamente al seno; aggiunge che la formula è più ricca di nutrienti, ferro e altri integratori; e invece di leggere questo dato come una conseguenza della deviazione dalla fisiologia, lo assume come standard per giustificare il suggerimento che dopo i 4 mesi i bambini allattati esclusivamente dovrebbero prendere integratori e forse cominciare a mangiare cibo solido! Prevenzione dell’obesità, questa sconosciuta…
3) A proposito della prevenzione dell’obesità, gli esperti dell’ESPGHAN scelgono solo studi con bassa forza di evidenza, per poi affermare che “sebbene vi siano preoccupazioni teoriche” sugli effetti negativi di certi cibi sulla futura obesità, le evidenze a loro parere “non sono convincenti”; quindi raccomandano una quota di grassi di almeno il 25% del cibo solido assunto, suggerendo di aumentarla ulteriormente se il bambino ha “scarso appetito”!
4) Lo studio principale su cui si basano queste raccomandazioni non differenzia i bambini allattati al seno occasionalmente (ad esempio una sola volta al giorno e per tutto il resto artificialmente), da quelli con allattamento esclusivo al seno, mettendo tutti nel calderone della categoria “any breastfeeding”, cioè allattato al seno in qualsivoglia modo. Come fa uno studio sulle allergie che confronta bambini che introducono cibi solidi con bambini che prendono solo latte, a ottenere risultati comprensibili, se il “solo latte” va dal 100% di latte materno al 99% di artificiale?
5) il modo con cui in questi studi sono stati rilevati i dati spesso è poco attendibile. Si basano infatti su domande fatte alle madri; però se passa troppo tempo i genitori possono ricordare le cose in modo molto distorto. Le regole della ricerca richiedono di usare un recall period (il tempo che passa fra l’intervista e i fatti indagati) di non più di 24 ore, cioè si può chiedere che cosa il bambino ha mangiato il giorno prima. Quando la domanda è retrospettiva di periodi più lunghi le alterazioni possono essere sostanziali.
6) fra allattamento esclusivo al seno e allergie è stata rilevata un’associazione in alcuni studi. Che due fattori siano associati però non ci dice se l’uno è causa dell’altro, e quale dei due, o se tutti e due sono causati da un terzo fattore collegato. Solo uno studio randomizzato potrebbe sciogliere il dubbio. L’ESPGHAN non ha dubbi: la mancata introduzione dei cibi solidi ha causato più allergie. Ma si tratta di un errore interpretativo, detto di causalità inversa. In parole semplici, se in una famiglia ci sono casi di allergia, o il bambino manifesta sintomi di allergia già nella fase dell’allattamento esclusivo, è più probabile che si cerchi di allattarlo il più a lungo possibile, dato che si sa (ed è vero) che il latte materno protegge dalle allergie; e che si rimandi l’introduzione dei cibi solidi proprio nella speranza di poter minimizzare le reazioni immuni. Quindi potrebbero essere benissimo le tendenze allergiche a far ritardare lo svezzamento, e non il contrario.
7) L’interpretazione dei risultati degli studi esaminati è tendenziosa. Esempio: studi su allattamento e allergie non hanno mostrato differenze nell’insorgenza di allergie a seconda di quando i cibi solidi vengano introdotti. Una conclusione logica sarebbe dire che quindi non si può motivare una raccomandazione di introdurre cibi a una data età argomentandola con il rischio di allergie… invece l’ESPGHAN conclude che “non c’è quindi motivo per ritardare l’introduzione dei cibi solidi”. Quello che si definisce in termini poco tecnici “rivoltare la frittata”.
8) I criteri più importanti e attendibili per valutare la maturità del bambino e la prontezza per assumere cibi solidi sono lo sviluppo metabolico e neuromotorio: enzimi digestivi, maturità dei reni, metabolismo, abilità a star seduto dritto da solo e portare il cibo alla bocca, riflesso di masticazione presente; e dall’altro, l’esaurimento delle scorte di elementi preziosi come il ferro o lo zinco. Questi criteri importantissimi vengono citati nella dichiarazione ESPGHAN ma questo organismo poi “decide” di non tenerli in considerazione rispetto alle sue raccomandazioni finali, che invece propongono come criterio di prontezza l’abilità del bambino a mandar giù un cucchiaino di pappa quando viene imboccato, stando seduto con appoggio.
9) Nella consapevolezza delle debolezze degli studi precedenti, nel 2015 in UK è stato condotto un grosso studio randomizzato, finanziato dalla Food Standard Agency e dal Medical Research Council, allo scopo di ottenere una prova decisiva che avallasse l’idea dell’introduzione precoce dei cibi solidi come prevenzione delle allergie. Questo studio però ha ulteriormente smontato la teoria della finestra di desensibilizzazione allergica, mostrando che non vi erano evidenze significative per avallare questa ipotesi. Questo ha portato gli autori del Position Paper dell’ESPGHAN a smorzare ulteriormente le loro affermazioni nella versione del documento aggiornata al 2017. Lo studio del 2015, chiamato EAT (Enquiring About Tolerance) si può trovare qui.
Per maggiori dettagli sulle debolezze del documento ESPGHAN, vedere qui, qui e qui.

Sull’alimentazione vegan

Oltre alla faccenda della “finestra per le allergie”, troverete altre affermazioni discutibili in altre parti dell’articolo. Un esempio è quello della parte in cui si raccomandano certi cibi e se ne sconsigliano altri nella fase di svezzamento, senza alcuna base scientifica a giustificare queste parzialità.
Ancora una volta, i membri dell’ESPGHAN decidono di “adattare” le indicazioni già esistenti, ben più razionali e basate sulle evidenze scientifiche, in base alla loro opinione di ciò che in Europa è meglio raccomandare, “culturalmente parlando”.
Con molta superficialità, l’ESPGHAN nel suo articolo dice testualmente: Although theoretically a vegan diet can meet nutrient requirements when mother and infant follow medical and dietary advice regarding supplementation, the risks of failing to follow advice are severe, including irreversible cognitive damage from vitamin B12 deficiency. Cioè in teoria, dicono, una dieta vegana potrebbe essere “nutrizionalmente adeguata”, ma a loro parere in pratica le persone non sono capaci di nutrirsi adeguatamente, senza consiglio medico, di soli vegetali e quindi insistono moltissimo a raccomandare a chi mangia vegetale uno stretto controllo medico (come se i medici fossero preparati di default sulla nutrizione, o se chi è onnivoro non rischiasse di incorrere in rischi di squilibri o carenze!) e l’assunzione di un bel po’ di integratori e vitamine (che, se è corretto per quanto riguarda la B12, è assurdo per gli altri integratori, perché spesso la dieta cosiddetta onnivora è molto più carente: per esempio, di folati o di Omega 3).
Per rafforzare le raccomandazioni l’ESPGHAN fa riferimento a uno studio sulla correlazione fra tipo di alimentazione e sviluppo cognitivo a 2 anni in due gruppi di bambini, uno che mangia carne in una certa quantità giornaliera, e l’altro di meno, affermando che chi mangia più carne è più intelligente. Peccato che non vengano considerati aspetti, che potrebbero falsare i risultati, come la differenza fra il tipo di allattamento, le pratiche alla nascita (tutti aspetti che incidono sulle scorte di ferro e sull’apporto di ferro aggiuntivo), o l’esclusività o meno dell’allattamento nei due gruppi (correlato con lo sviluppo dell’intelligenza); si sceglie di ignorare queste differenze perché in Europa molte madri “non sono in grado o non vogliono allattare esclusivamente”.
Questo tipo di raccomandazione non deriva dunque da dati scientifici ma è solo espressione di una certa cultura medica, basata sulla difensività e sulla generalizzazione di protocolli con ampio margine di sicurezza (cioè: se ci sono persone che non sanno alimentarsi bene, meglio vietare a tutti di mangiare vegetale, e dire a tutti di prendere le vitamine e farsi guidare dal medico).

Conflitti di interesse

Dulcis in fundo… gli esponenti dell’ESPGAN spesso sono invischiati in conflitti di interesse: ad esempio la prima firmataria di questo Position Paper collabora come consulente esterno per Danone, Avent, Mead Johnson e Nestlè.
I dettagli su questa triste verità si trovano in questo documento dell’epidemiologo Adriano Cattaneo, pagine 3 e 4.
Come dice Cattaneo in questo articolo, parlando dello studio dell’ESPGHAN:
«Una nota a pié di pagina sulla prima pagina dice:
“Declaration of conflicts of interest of members of the Committee on Nutrition are submitted yearly to the CoN secretary and are available on request.”
Uno strano modo di dichiarare conflitti d’interesse: equivalente a nasconderli, dato che solo una sparuta minoranza di lettori molto meticolosi si prenderà la briga di scrivere alla segreteria del CoN o agli autori!
Infatti…
Il primo autore è dal 2009 membro del gruppo di esperti della European Food Safety Authority (EFSA) che si occupa di alimenti complementari e che ha pubblicato le relative raccomandazioni. In quanto tale ha dichiarato i suoi conflitti d’interesse, pubblicati sul sito dell’EFSA
La sua dichiarazione, datata 17 Marzo 2010, mostra che ha lavorato, collaborato e scritto per Ferrero, Danone, Dicofarm, Dietetic Metabolic Food, Heinz, Hipp, Humana, Martek, Mead Johnson, Mellin, Milupa,Nestlè, Noos, Ordesa, SHS/Nutricia e per la Federazione Italiana dei Produttori di Alimenti per l’Infanzia.
E l’ESPGHAN?
Sul sito si trovano le dichiarazioni di conflitto d’interessi dei singoli membri (tutti ne hanno in abbondanza), ma non le fonti di finanziamento dell’associazione. Eppure tutti i congressi e gli eventi che organizza sono pesantemente sponsorizzati dall’industria. Fino al 2005 i suoi incontri annuali si tenevano al quartier generale della Nestlé, a Vevey, Svizzera».
Sono andata a vedere sul sito dell’EFSA l’aggiornamento sulle dichiarazioni di conflitto di interesse, e potete divertirvi voi stessi a farlo per i vari autori delle linee guida ESPGHAN:
L’elenco aggiornato delle collaborazioni della Fewtrell mostra un solido e continuativo rapporto con tutte le maggiori aziende della formula e del baby food (ricordo che la Fewtrell è anche coautrice dello studio citato a proposito dell’alimentazione carnea e lo sviluppo dell’intelligenza).
Tutte queste autorevoli personalità hanno simili intrecci e legami importanti con le aziende del Baby Food. Ma la rivista che ha pubblicato il loro Position Paper, ha casualmente “dimenticato” di pubblicare anche la dichiarazione di assenza di conflitto di interessi. Ne pone rimedio in questa rettifica,
in cui dice candidamente che “Non ci sono conflitti di interesse relativamente all’argomento di questo documento”… ma continuando a leggere non si riesce a credere ai propri occhi, leggendo la lunga lista di coloro dai quali hanno preso soldi in varie occasioni gli autori di queste linee guida!
La conclusione e la sintesi di tutto questo lungo discorso si può così riassumere:
  • decine e decine di studi rigorosi su migliaia di casi hanno ampiamente dimostrato come non ci sia alcun vantaggio (e diversi rischi) a introdurre i cibi solidi prima del sesto mese di vita, mentre è importante introdurli nel secondo semestre (come da raccomandazioni OMS);
  • l’insorgenza delle allergie non sembra essere collegata al periodo di introduzione dei cibi solidi, come dire, se un bambino è allergico a un dato alimento, avrà una reazione immune, sia se gli si presenta quel cibo a 4 mesi, sia se lo si somministra a 6 mesi o a un anno di vita;
  • un gruppo di esperti legati alle ditte degli alimenti per l’infanzia e da esse finanziati, ha prodotto delle raccomandazioni sulla base di opinioni personali, di convenzioni culturali e di una selezione di studi di scarso valore scientifico;
  • i Media si sono appropriati della “notizia” divulgandola in modo sproporzionato al suo valore, usandola per screditare tutte le pratiche di svezzamento rispettose della fisiologia;
  • le industrie della formula e del baby food hanno ampiamente usato queste raccomandazioni come strumento di pressione e di disinformazione presso i medici pediatri, per promuovere i loro prodotti, cercando di riconquistare così la fetta di mercato della fascia 4-6 mesi, che l’OMS aveva fatto loro perdere anni fa, quando ha cambiato le sue raccomandazioni, indicando di mantenere l’allattamento esclusivo fino al compimento del sesto mese.
In conclusione, cari genitori e cari operatori della salute: non lasciatevi infinocchiare. Le indicazioni riguardo ai tempi di introduzione dei cibi solidi non sono cambiate; quello che a prima vista appare come una questione di solidi, è in realtà molto più una questione di… soldi!
Antonella Sagone, 2017

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