Allattare non è niente di speciale

Allattare non è niente di speciale

Ma come? L’allattamento non è forse il non plus ultra, il meglio che si può fare? Per anni ci siamo sentiti magnificare il latte materno e le sue straordinarie qualità, e tutti i meravigliosi vantaggi che comporta allattare sia per la madre che per il bambino!

Questa affermazione allora può suonarci bislacca, o sminuente, o una sorta di snobismo… Eppure, ci sono validi motivi per cambiare linguaggio e rivendicare il ruolo normale dell’allattamento al seno.

Bada a come parli

La prima a parlare della necessità di cambiare linguaggio è stata nel 1996 Diane Wiessinger, autrice, Consulente La Leche League e IBCLC, in un famoso saggio intitolato “Watch your language”. Le sue riflessioni hanno fatto storia, al punto tale che oggi ci si riferisce a questo cambio di prospettiva con il termine di wiessingerizzazione!

La tesi centrale del saggio è che nel momento in cui definiamo una cosa eccezionale in confronto ad altre, stiamo sottintendendo che la normalità è altrove.

Se definiamo un meraviglioso miracolo l’allattamento al seno rispetto all’alimentazione artificiale, stiamo rinforzando l’idea che la cosa normale sia dare la formula con il biberon. Se i benefici dell’allattamento vengono ritenuti vantaggi, significa che il punto di partenza di una normale salute è quello ottenuto alimentando il bambino con la formula. Se allattare è così eccezionale, qual è la norma culturale? Vogliamo che la nostra vita sia straordinaria, o che sia semplicemente buona? Vale la pena di impegnarsi per ottenere il massimo, o ci si può accontentare di una salute discreta, di un alimento abbastanza adeguato, di un normale metodo di accudimento?

Per decenni le industrie hanno lavorato proprio per ottenere questo risultato: normalizzare la formula e il biberon. L’immagine di porgere il biberon è divenuta pervasiva, onnipresente. Il ciuccio è diventata l’icona ufficiale per rappresentare l’infanzia. Il “latte di farmacia”, come un tempo veniva chiamato, è diventato nei messaggi pubblicitari non solo “altrettanto buono” di quello materno, ma col tempo si è trasformato nello standard, la cosa naturale che tutti fanno. Con ovvi vantaggi per il mercato dei sostituti del latte materno: infatti è lo standard, e non l’eccezionalità, ciò a cui tutti aspirano.

Prendere come norma, come punto zero, l’alimentazione artificiale, ha significato entrare in una prospettiva in cui, se si rinuncia ad allattare, si ha comunque una situazione sufficientemente buona; se poi si vuole far di più, si può tentare di allattare, se ci si riesce tanto meglio, si è fortunate, altrimenti si sta comunque nello standard: non è così che fanno tutti?

Se dare il seno è una cosa speciale, l’enfasi è sui vantaggi di allattare, piuttosto che sui rischi di non allattare: questo influenza profondamente il modo in cui un genitore orienta le sue scelte.

Nel momento in cui invece lo standard diviene la fisiologia, si attua una vera e propria rivoluzione, e il velo di Maya delle illusioni cade. Se allattare al seno non è di più, ma è normale, la formula è qualcosa in meno. Se le conseguenze del latte umano sono non più vantaggi ma lo standard di salute, allora non allattare diventa uno svantaggio, e le due opzioni non sono più equivalenti; allattare o meno smette di essere una scelta di “stile di vita” e si rivela, come realmente è, una questione di salute.

Cambiare prospettiva e affermare la banalità di allattare, dunque, non è un approccio che sminuisce l’allattamento, ma anzi gli restituisce il suo giusto valore.

I rischi dell’idealizzazione

Aver idealizzato l’idea dell’allattamento al seno, facendone una cosa poetica, miracolosa, romantica, persino eroica, ha comportato delle conseguenze indesiderate. Invece di rendere la scelta di allattare più desiderabile, l’ha fatta percepire come più impegnativa, difficile da realizzare, fragile, sofferta. Basta osservare come sono diverse le immagini con cui i media scelgono di rappresentare l’allattamento al seno o l’alimentazione al biberon. L’immagine qui riprodotta proviene da una vecchia guida di prodotti per l’infanzia, ed è molto rappresentativa: la mamma che allatta al seno è in camicia da notte, la luce è soffusa, manca il contesto e il gesto ha un’aria astratta, fuori dal tempo e dallo spazio. Non è certo una cosa facile da conciliare con la vita quotidiana, fatta di incombenze in casa e fuori! Invece la mamma che dà il biberon è vestita come per uscire, è disinvolta, l’ambiente intorno è realistico, il bambino è vestito sportivamente e proiettato verso l’esterno. Ecco una donna vera, normale, che può agevolmente conciliare la vita sociale, il lavoro e le altre attività con il dare il biberon.

L’idea che allattare sia un gesto intimo, speciale, è anche alla base della reazione scandalizzata di chi si stupisce nel vedere un bambino allattato in pubblico: gli “angoli dell’allattamento” ben riparati dagli sguardi, a cui ci si affretta a indirizzare le donne che vogliono allattare fuori casa, rinforzano il messaggio che l’allattamento al seno non sia compatibile con un’attiva vita sociale. C’è chi arriva a biasimare la donna che allatta o tiene addosso a sé il bambino, magari in una fascia, mentre è impegnata a fare altro: faccende domestiche, lo shopping, parlare al telefono, sbrigare una commissione. Il bambino, si dice, dovrebbe avere tutta l’attenzione di sua madre quando poppa.

Ma chi ha detto che quando una mamma allatta debba chiudersi in una bolla e stare occhi negli occhi? Certo, quei momenti teneri e intimi avvengono e sono bellissimi, ma l’allattamento è molto più di questo. Il contatto e la relazione con bimbo attraverso l’allattamento accade a volte con la brezza di primavera, lo scambio di sguardi e la musica in sottofondo; ma altre volte c’è con le risate degli amici intorno, la mamma che sfaccenda per casa col bimbo in fascia, o cammina nella confusione di una strada o di un mercato affollato. Di tutte queste cose il bambino gode immensamente, perché ha bisogno non solo degli sguardi nel silenzio e nella penombra, ma anche del movimento e del vociare del mondo, di ascoltare la mamma che parla ad altre persone (fondamentale per lo sviluppo del linguaggio!), insomma di essere “nel” mondo della mamma e dentro la sua vita. Le poppate sono innumerevoli nel corso della giornata e non è che si fermi il mondo ogni volta, né significa una mancanza di riguardo verso il bambino, anzi! Significa che per questa mamma l’allattamento fa parte dei normali gesti di accudimento ed ha smesso di essere quella cosa speciale ed eccezionale (cioè fuori della norma) che solo le mamme che non lavorano, hanno la governante fissa e una suite sul mare possono permettersi.

Restituire la normalità al gesto di offrire il seno

Accudire il proprio bimbo tenendolo a sé e dandogli il seno mentre si continua a vivere e a essere nel mondo, non solo è possibile, ma è esattamente ciò di cui i bambini piccoli hanno bisogno: essere con la loro mamma, ma essere anche nel mondo, e non segregati lontano dalla vita e dalla società.

La retorica della “buona madre” che sta chiusa in casa e allatta, magari solo in pizzi e trine, senza esporsi agli sguardi altrui, dedicandosi con mille attenzioni al suo bimbo, è una trappola ben congegnata per segregare le madri che vorrebbero invece conciliare l’allattamento e le cure amorevoli con il vivere la propria vita. È un modo per trasformare l’esperienza della maternità, che dovrebbe essere un arricchimento della vita, in un periodo di isolamento, sacrifici, rinunce, deprivazione sociale e sensoriale. La mamma non ha bisogno di questo, e nemmeno il bambino ha bisogno di questo. Il bambino non ha bisogno di essere separato dal resto del mondo, né di avere una vita ovattata e scandita da ritmi precisi e abitudini rigorose. Che il bambino abbia bisogno di regole, orari, ambienti ripetitivi, pochi stimoli è una mistificazione ed è un’altra trappola (o forse sempre la stessa), che porta poi a incoraggiare quei distacchi precoci dal bambino, ad accelerare la sua “emancipazione” dalla mamma per permettere a quest’ultima di “ricominciare a vivere” e al bambino, magari, di andare al nido “perché ha bisogno di socializzare”.

Ma la prima socializzazione del bambino consiste proprio nell’accompagnare nella normale attività sociale la mamma, o il papà, o un’altra persona cara che lo porta e lo accudisce, dove avrà occasione di essere in movimento, vedere una grande varietà di ambienti, di persone, di situazioni; un arricchimento che difficilmente potrà avere restando a casa con una baby sitter, o in un ambiente circoscritto, in compagnia di un adulto e di tanti altri bambini della sua stessa età.

Allattare e vivere attivamente non sono due mondi incompatibili. Mamma e bambino possono essere felicemente insieme, in simbiosi, e relazionarsi al resto del mondo. La vita continua, e può continuare anche col bambino accanto. Il bambino ha bisogno di una sola costante nella vita: la sua mamma, presente e viva che lo abbraccia, lo allatta, lo porta con sé.

Antonella Sagone, 15 agosto 2020

4 thoughts on “Allattare non è niente di speciale”

  1. Marina Boine ha detto:

    Che bello questo ‘ripasso’ dell’ovvio!!! Ciao Antonella. Marina Boine

  2. Fauzia Ferrari ha detto:

    Gentilissima, scusi se mi permetto ma il “bada come parli” dovrebbe essere reciproco in quanto il “non allattare” non è sempre uno “stile di vita”, spesso è una necessità e il dispiacere che ci accompagna è sufficiente. Non è piacevole sentirci anche dire che svantaggiamo i nostri figli.

    1. Antonella Sagone ha detto:

      Gentile Fauzia,
      Sono d’accordo con lei, allattare non è uno stile di vita. E so perfettamente che nella maggior parte dei casi il non allattamento non è frutto di una scelta, ma di un fallimento causato da mancanza di sostegno, di informazioni corrette, da ostacoli innumerevoli che scardinano il funzionamento di questa funzione fisiologica. E poi, anche se in piccolissima proporzione, esistono anche le donne che non possono allattare del tutto o parzialmente.
      Il mio lavoro da ventisette anni è proprio quello di aiutare le donne in difficoltà con l’allattamento, affiancandole mentre recuperano o sostenendole se non riescono. Conosco bene il dispiacere di un allattamento mancato, e spesso mi infurio nel constatare quanto l’ignoranza e lo scarso sostegno mandano a monte questa esperienza tanto desiderata da tante donne.
      Mi rendo perfettamente conto che non sia piacevole sentire parlare dei benefici dell’allattamento al seno e dei rischi della formula, quando il non allattare non è stata una scelta ma è stato subito nonostante i propri sforzi e sacrifici. Proprio per questo mi batto per la conoscenza della fisiologia, perché si sappia cosa fa funzionare e protegge l’allattamento e cosa lo fa fallire; perché questi incidenti avvengano sempre di meno. E anche perché le donne che hanno tentato di allattare e non hanno avuto successo hanno diritto di venire riconosciuti i loro sforzi, e che non venga minimizzato il loro dispiacere con frasi come “tanto crescono bene lo stesso”. O peggio ancora, che venga loro detto che qualcosa non va nel loro corpo (quando la responsabilità il più delle volte è con chi ha interferito o dato consigli sbagliati), o che l’allattamento è fallito per “mancanza di volontà”! Credo che la verità renda comunque liberi, anche quando può essere dolorosa, e che contribuisca a far sì che chi dovrebbe si assuma le sue responsabilità, ovvero le strutture e i luoghi del parto e gli operatori che dovrebbero affiancare la donna che allatta e fornire un aiuto competente, invece di disinformazione, interferenze e giudizi gratuiti.
      Grazie per avermi scritto, mi dispiace se il mio articolo ha riaperto ricordi dolorosi.

  3. Popa Georgiana ha detto:

    Io ho visto l’allattamento come una continuazione del cordone ombelicale, e mi sono meravigliata fin dal test positivo, della straordinaria natura, che da due cellule crea vita, e anche meravigliata di come dopo si occupa ancora di nutrire il bambino, come fa cambiare anche il latte, la sua composizione in base alla salute del bambino. Io, allattando non faccio nulla di speciale, lo fa la natura,io ho assecondato la natura.
    Ci sono anche gravidanze in quale il nutrimento del feto non va bene,e quindi la mamma e ricoverata, riempita di tubi e tubicini, ma nessuno chiede alla dina incinta “hai abbastanza nutrimento per tuo feto? Quanto sei fortunata!” Perché è quella la fisiologia, le altre sono eccezioni, e vorrei che un domani non diranno più “Hai latte? Come sei fortunata!”

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