Perché mio figlio non mi ascolta?

Perché mio figlio non mi ascolta?

“Gli ho detto di non farlo, ma non mi ascolta!” “Le ho spiegato mille volte perché non deve farlo, ma ogni volta protesta e non capisce!” Queste frasi ricorrono spesso sui social e sulle richieste di aiuto di genitori frustrati nei loro tentativi di imporre regole e farle accogliere dai propri figli.

I genitori si sentono frustrati ed esasperati per il comportamento ripetuto nonostante i rimproveri. A volte si tratta di azioni pericolose, come scendere dal marciapiede o allungare la mano verso i fornelli; altre volte di gesti violenti, come colpire gli altri o lanciare oggetti. Altre volte infine si tratta di comportamenti non accettabili socialmente, come toccare i prodotti negli scaffali di un negozio, mettere le scarpe sul divano, scrivere sui muri o gettare il cibo a terra.

I genitori ce la mettono tutta a spiegare con gentilezza al bambino che una certa cosa non si fa, e non si capacitano che il loro figlio continui poi a ripetere l’azione anche sapendo che non va bene. Sembra quasi che il bambino li sfidi o non gli importi nulla di ciò che gli viene detto!

Sicuri che abbia capito?

Quando un discorso o una richiesta, seppure ripetuti, non ottengono effetto, chiediamoci prima di tutto se il bambino ha veramente capito ciò che gli stiamo chiedendo. Un bambino ai primi passi, ma anche a volte più grandicello, può avere difficoltà a comprendere tutti i sottintesi del linguaggio degli adulti; e spesso noi adulti ci esprimiamo in modi generici o astratti, mentre il bambino ha bisogno di istruzioni precise e concrete.

Dire ad esempio che una cosa “non si fa” può essere una frase senza senso per la comprensione letterale del bambino. L’adulto dice che “non si fa”, ma questo evidentemente non è vero, dato che il bambino la sta facendo! Gli adulti parlano sempre a vanvera! Meglio allora essere più chiari e dire invece che quel comportamento non ci piace, o desideriamo che non lo faccia, e spiegare che può avere conseguenze negative.

Inoltre, le richieste formulate in forma negativa spesso non sono efficaci quanto una richiesta in positivo. Quando un adulto dice a un bambino di “non” fare qualcosa, nella sua mente si forma subito l’immagine di quell’azione! E fra il pensarla e il farla è un attimo… è quasi come un’istigazione!
“Non toccare la terra dei vasi” è meno efficace di: “Se vuoi giocare con la terra puoi farlo in giardino”; al posto di “Non giocare in cucina” meglio “Puoi giocare in salotto”.

Le frasi peggiori sono la doppia negazione: “Non essere irresponsabile!” ho sentito una volta una mamma rimproverare la figlia che si era staccata dal marciapiede. “Sii responsabile” è già meglio… ma poi cosa significa, in concreto, essere responsabili?

Le richieste a volte sono troppo astratte. Un classico è “fai attenzione”: una frase che al bambino dice solo che noi adulti non siamo soddisfatti di come sta agendo ma non spiega cosa dovrebbe correggere, né il modo per riuscirci. Molto meglio: “il coltello va tenuto per il manico, così, perché la lama può tagliarti”. Meglio ancora se seguito dall’esempio, o se l’adulto interviene con un gesto eloquente a interrompere l’azione pericolosa.

Le parole non bastano

Per un bambino piccolo non è sufficiente “spiegare” il perché e il percome di una richiesta o di un divieto. Ha bisogno di un messaggio concreto, di un’azione dell’adulto che sia coerente, anche emotivamente, con le parole pronunciate. Star dietro a un bambino ai primi passi e nel pieno delle sue attività esplorative può essere molto faticoso, ma senza alzarsi dalla sedia non si otterranno molti risultati! Inoltre se l’azione è pericolosa è necessario che l’adulto mostri il suo spavento, e se è inaccettabile come per esempio picchiare il fratellino, è necessario che i genitori facciano capire che questo non va bene! Se le spiegazioni vengono date dolcemente, in tono neutro, il bambino non saprà distinguere nei suoi comportamenti quelli semplicemente un po’ fastidiosi da quelli pericolosi per sé e per gli altri.

Non fraintendetemi: non sto dicendo di urlare al bambino, perché questo spaventa ma non aiuta a capire come correggere il comportamento indesiderato. Ma se il bambino fa per scendere dal marciapiede e lanciarsi in strada, un NO allarmato accompagnato dal trattenere il piccolo e abbracciarlo, spiegando il pericolo, è molto più efficace di un urlaccio inarticolato oppure di una lunga spiegazione. Un bambino che corre in strada terrorizza, è giusto che questo spavento venga espresso chiaramente!

Allo stesso modo, se un comportamento di nostro figlio non è tollerabile, evitiamo di tollerarlo, o di esprimerci in modo diplomatico e col sorriso sulle labbra. Selezioniamo ciò che è accettabile secondo i nostri limiti, e poi su quei pochi no rimasti mandiamo un messaggio deciso. Scegliamo dove applicare la pazienza e dove il bambino va fermato subito, non aspettiamo di perdere la pazienza tutta in una volta: “Amore, non strappare le foglie alla pianta per piacere” … “Chicco la smetti di rompere la pianta?” … “Guarda che se continui le prendi” … “Ahò, e finiscila di rompere sta pianta, ma sei scemo che non capisci??” Forse, semplicemente, era meglio, alla prima foglia strappata, alzarsi dalla sedia, e fisicamente bloccare quella manina, prendere in braccio il bambino, dirgli “non ti permetto di rompere la pianta”, e dargli in mano un vecchio giornale da strappare!

Il bambino non ci ascolta. Ma noi ascoltiamo il bambino?

Certe volte la sua “ostinazione” a mettere in atto un certo comportamento sembra inattaccabile. Chiediamoci allora se dietro a quel comportamento non ci siano emozioni e bisogni profondi che superano la disposizione del bambino ad accondiscendere. Siamo veramente in ascolto del bambino, sintonizzati sul suo punto di vista? Ci fermiamo al comportamento, a quanto questo sia inappropriato per noi, a come sia necessario “educarlo a comportarsi bene”, oppure ci domandiamo anche perché lo sta facendo?

Per un bambino ai primi passi il bisogno di esplorazione è fortissimo: deve toccare, assaggiare, mettere alla prova le sue abilità motorie, smontare, ripetere un’azione mille volte se è necessario per capire come funziona. Inoltre tutto ciò che i genitori fanno, tutto quello che toccano, è infinitamente interessante e attraente: deve imparare da loro, ed essere continuamente frenato e scoraggiato dal farlo, oltre che frustrante, è per lui incomprensibile. Forse in questi casi il bambino non è vero che non ci ascolti o non capisca: ha capito benissimo, soltanto che non è d’accordo con le nostre richieste! Meglio allora prendere atto del suo bisogno, e offrirgli un’alternativa che lo soddisfi e che sia più accettabile per noi.

Altre volte sembra quasi che il bambino lo faccia apposta a snervarci con azioni distruttive o moleste. “Vuole solo essere al centro dell’attenzione”, si dice in questi casi.

E se fosse proprio così? Se il bambino stesse cercando di attirare la nostra attenzione perché ha un disagio che non riesce a spiegare, o un bisogno che è rimasto inascoltato? Dietro un comportamento “capriccioso” ci può essere un bambino annoiato, affamato, stanco, in crisi per l’arrivo del fratellino, che ha passato una brutta giornata a scuola o che ha bisogno di ritrovare la connessione con noi attraverso un abbraccio.

Prima di preoccuparci del suo comportamento, osserviamolo con il cuore e non solo con gli occhi, e la risposta potrebbe essere più semplice di quanto sembri a prima vista.

Non prendiamola sul personale

A volte si dice che i bambini “ci prendono le misure”, cioè che ci mettono alla prova per vedere fino a che punto riusciamo a sopportarli prima di perdere le staffe. Ed è vero che a volte i bambini fanno proprio questo: ripetono un comportamento sgradito per esplorare meglio le nostre reazioni, perché la nostra emotività è una guida importante per loro e vogliono comprendere bene il perché e il percome delle azioni che suscitano in noi reazioni intense.

Ma quello che è importante sapere è che i bambini lo fanno per capire, non per provocare. Non lo fanno per farci star male, o per il gusto di vincere in una presunta lotta per il potere, per comandarci. Ai bambini il potere non interessa affatto, non hanno furbizie né strategie, quello che conta è essere in connessione con noi adulti, essere dentro il nostro mondo fino al collo, e smontarlo e rimontarlo finché non hanno capito come funziona.

E se i nostri no li mandano su tutte le furie, non è per spirito di opposizione, semplicemente sono dispiaciuti quando vengono contrastati, ed esprimono chiaramente la loro frustrazione: è un loro diritto essere scontenti delle nostre decisioni, e mentre noi possiamo, per valide ragioni, mantenerci fermi sui limiti che diamo loro, non abbiamo diritto di pretendere che ne siano anche felici.

È difficile, per chi non è stato a suo tempo accettato nelle proprie emozioni, capire e accettare il fatto che i bambini in realtà ci sentono bene, e capiscono benissimo quello che chiediamo loro, soltanto che a volte non sono d’accordo con noi. Non c’è metodo che possa cambiare i desideri di un bambino e farlo diventare felice per richieste che non gli piacciono. Se non vuole alzarsi, è perché preferisce restare a letto. Se non vuole andare a dormire, è perché desidera ancora stare alzato. Non esiste un “metodo” per cambiare questo dato di fatto. Si può costringerlo con gentilezza, cioè senza urlare o strattonarlo, ma se si deve uscire non c’è che vestirlo nonostante le proteste, dicendogli che capiamo quanto gli dispiaccia; ma sempre resterà il suo dispiacere… con il quale si può empatizzare. E soprattutto, capire che stanno semplicemente esprimendo le loro emozioni e bisogni nel modo in cui sanno farlo: non lo fanno per farci dispiacere! Smettiamo di percepire i comportamenti dei nostri figli come sfide o minacce alla nostra autorità, smettiamo di preoccuparci di presunte lotte per il potere che ci spingono a prove di forza per non “dargliela vinta”, e rilassiamoci: siamo noi i più forti. Abbiamo noi tutto il potere. Non abbiamo bisogno di ribadirlo, ai bambini questa faccenda non interessa. Abbandoniamo la trincea e torniamo ad osservare i sentimenti e i bisogni, i loro ed i nostri, e le soluzioni si presenteranno più facilmente e con meno tensioni.

Conclusioni

Quando l’adulto dice “questo bambino non mi ascolta”, sta in realtà dicendo “ho fatto delle richieste ma non ha funzionato”. Non è vero che i bambini non ascoltano, ma a volte ascoltano ma la richiesta che viene loro fatta non è chiara. Oppure vorrebbero soddisfare la richiesta ma non sono abbastanza performanti per i gusti dell’adulto. O ancora non sono stati forniti strumenti pratici per soddisfare la richiesta, il “come fare”.

Altre volte, infine, il bambino ha sentito benissimo e capito la richiesta, ma semplicemente non è d’accordo e non vuole accondiscendere!

Ricordiamoci anche di avere pazienza per i tempi del bambino. Le richieste devono essere proporzionali alla loro età, alle loro capacità e al loro livello di comprensione. Può darsi che un bambino ci metta un po’ per correggere un comportamento che non va bene, per modularlo in modo appropriato o per indirizzare le sue energie in direzioni socialmente accettabili; ma questo avverrà comunque, col tempo, nei limiti delle sue possibilità, perché per quanto possa sembrare il contrario, i bambini sono competenti e desiderano stare bene e in armonia con noi, più di ogni altra cosa.

Antonella sagone, 30 ottobre 2021

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