Token Economy: la mercificazione degli affetti

Token economy: la mercificazione degli affetti

In una classe le insegnanti comunicano alla famiglia che hanno istituito un sistema a premi per educare i bambini ai “giusti comportamenti”. Ogni bambino avrà un “tesoretto” di monete al quale verrà sottratta una moneta ogni volta che infrangerà una regola stabilità (ad esempio non muoversi dal banco).

Alla fine di due settimane chi avrà ancora più della metà delle monete sarà premiato a casa dai genitori con un premio “immateriale” consistente in qualche bella cosa da fare insieme.

Ma cosa è mai questo gioco così poco ludico? Si tratta di una applicazione (peraltro non troppo ben fatta) della “token economy”, un metodo di modellamento dei comportamenti basato su un sistema di punteggi, schemi e premi.

Che cos’è la token economy

La token economy è una strategia pedagogica derivata dall’approccio comportamentista, un sistema di rinforzo “a gettoni” che potremmo definire semplicemente come una monetizzazione dei comportamenti e dei premi. In questo sistema, si attribuisce un valore positivo e negativo alle attività dei bambini, per cui ai comportamenti o agli obiettivi desiderati si attribuisce un certo numero di “monete” (che possono essere gettoni, stelline, adesivi eccetera), mentre ai comportamenti indesiderati corrisponde la perdita di un certo numero di gettoni. Con l’accumularsi del “capitale” il bambino può spenderlo in un premio, che può essere materiale (un giocattolo, un gelato) o immateriale (del tempo piacevole da passare con i genitori o con l’insegnante, attività desiderate eccetera). Un esempio abbastanza noto di token economy è quello della patente a punti.

I fautori di questo metodo affermano che in questo modo ci siano numerosi vantaggi sia per gli allievi che per gli insegnanti:

  • si rinforzano i comportamenti positivi e scoraggiano quelli negativi in modo “neutro”, cioè il premio o la punizione non sono legati direttamente ai comportamenti, evitando così fenomeni di saturazione sia delle ricompense che delle punizioni;
  • si offre al bambino un margine di negoziazione nel definire obiettivi e regole, responsabilizzandolo così rispetto a un vero e proprio “contratto educativo” e motivandolo a mantenerlo nel tempo;
  • è flessibile, permettendo di ridefinire di volta in volta obiettivi o ricompense, senza dover ogni volta rinegoziare il sistema di scambio;
  • può essere generalizzato (per l’intero gruppo classe) o individualizzato, definendo obiettivi tarati sul singolo individuo, in modo da rafforzare il suo senso di responsabilità e la sua autostima.

Le domande fondamentali secondo me rispetto a questo metodo sono a questo punto due:

  • funziona? e,
  • vogliamo davvero che funzioni?

Efficacia del metodo

Per parlare di efficacia dobbiamo prima di tutto chiederci qual è il nostro obiettivo.

Se il nostro obiettivo è il comportamento del bambino, indubbiamente la token economy, come tutti i sistemi fondati su premi e punizioni, è piuttosto efficace (non in modo assoluto, perché ci sono bambini con una così spiccata indipendenza o con una tale “neurodiversità”, come si dice oggi, cioè una tale originalità di pensiero, da non adattarsi comunque a questo mercato dei comportamenti).

Se il nostro obiettivo è condizionare la mente del bambino, cioè farlo convergere su un sistema predefinito di valori in modo che si identifichi con le aspettative degli adulti, ugualmente il sistema può funzionare per molti bambini (anche qui, non per tutti, e per i motivi già detti sopra), ma a prezzo di molto stress e sofferenza per tutti quei bambini che faticano ad adeguarsi agli standard proposti. Questo stress e sofferenza probabilmente verrà rimosso o deviato e anche in età adulta si può non esserne consapevoli.

Ma se il nostro obiettivo è quello di crescere un bambino consapevole degli altri, rispettoso dei loro bisogni, spontaneamente collaborativo, capace di esprimere al meglio il suo potenziale, che apprezza il valore delle regole perché ne comprende il significato più profondo, allora questo sistema fallisce su tutta la linea. Qualsiasi metodo basato sul ricatto materiale o emotivo, sull’amore condizionato, sull’imposizione dei valori, su un approccio giudicante, è destinato a distruggere l’integrità del bambino, il suo senso di giustezza interna, la sua autenticità, la sua unicità, la sua capacità di amare, perché il bambino ha un bisogno assoluto di approvazione, accoglimento ed amore da parte degli adulti e per averli è disposto a pagare qualsiasi prezzo, anche a trasformarli in gettoni o stelline da incollare sul frigorifero, rinunciando a parti di sé pur di compiacere l’adulto.

Chi è cresciuto con un sistema educativo basato su premi e punizioni e sul ricatto affettivo, sarà anche da adulto più vulnerabile ad essere ricattato con sistemi basati su premi e punizioni, e accetterà più facilmente come naturale l’imposizione, da parte di regimi autoritari o totalitari, di sistemi di controllo sociale che monetizzano o quantificano i comportamenti “virtuosi” dei cittadini, come quelli basati sul cosiddetto “credito sociale”.

A questo punto, forse possiamo anche rispondere alla seconda domanda: vogliamo davvero che questo metodo funzioni?

Perché penso tutto il male possibile della token economy

Quello che più depreco di questi metodi basati su premi e punizioni è il fatto di spostare la motivazione del bambino da una modalità intrinseca (seguo la regola perché la ritengo valida, perché ne capisco i motivi; mi applico per raggiungere un obiettivo perché lo desidero) a una estrinseca (seguo la regola o mi applico a un obiettivo perché così ottengo una ricompensa – gettoni, premi, apprezzamento, amore – o evito una punizione).

E a proposito di chi sostiene che non dà punizioni ma solo premi, questi non sono che punizioni mascherate. Se ti dico che se accumuli monete avrai un’ora di gioco con me, ti sto minacciando che se non ti comporti bene non ti guadagnerai la mia compagnia. È un rivoltamento di frittata, e l’ansia da prestazione resta, che siano in ballo premi materiali, immateriali o monetizzati.

La cosa per me più ripugnante di questi metodi è la manipolazione, sia dei bambini che dei loro genitori. “Non devi accorgerti del male che ti si fa” è la regola della pedagogia nera, così come splendidamente spiegata da Alice Miller. E questo approccio, ma ancora di più la visione del mondo che vi è dietro, fa male, male a tantissimi livelli, ma soprattutto perché è mortifera, nel senso che disconnette dalla vita, rende i bambini e i loro comportamenti degli oggetti da plasmare, rende i momenti di gioia con le persone care merce di scambio, trasforma il senso di integrità del bambino in un tesoretto, monetizzandolo e depauperando il bambino della sua autostima una moneta alla volta, smorza lo slancio spontaneo che i bambini hanno di adeguarsi alle regole di un gruppo, trasformando questo adattamento in un obiettivo da raggiungere in cambio di altro, invece di sentirsi ricompensati intrinsecamente per partecipare a un progetto comune.

Il diritto di rifiutarci

Per fortuna possiamo anche dire di no, abbiamo ancora il diritto di opporci e di rifiutare certe proposte.

Il mio primo pensiero, quando ho sentito il racconto di quella mamma che mi parlava della proposta della sua scuola, è stato: se fossi al posto di questa mamma, avviserei la maestra che ho messo a casa una ciotola con 10 monete che sono il tesoretto dell’insegnante. Ogni volta che fa qualcosa che non piace a me o a mio figlio, togliamo una moneta. Quando la ciotola sarà vuota, toglierò il figlio da scuola.

Poi, appagato il mio samurai interiore (quel tipo con la spada sguainata che mette sistematicamente alla prova la mia determinazione alla nonviolenza), ho chiuso la fantasticheria e sono tornata sulla terra.

Ci si può anche opporre in modo garbato, civile, non provocatorio, ma non per questo meno fermo. Come nella guida gentile possiamo dire NO ai nostri figli senza smettere di rispettarli ed essere amorevoli, così possiamo dire NO ad altri adulti mantenendoci rispettosi e garbati.

A chi ci propone metodi senza cuore che richiedano anche il coinvolgimento (ma io la chiamerei la collusione) della famiglia a casa, possiamo spiegare che a casa nostra le regole si creano insieme comprendendone lo scopo, che deve essere sempre tenuto in conto il benessere di tutti, e che i bisogni dei bambini e degli adulti sono equamente rispettati. Che ci si tiene a che il bambino arrivi a rispettare una regola perché l’ha compresa e la condivide, e non perché riceverà un premio o eviterà una punizione per questo. Anche se ci vorrà più tempo e lavoro per raggiungere l’obiettivo con questo approccio, anche se questo significherà ragionare tutti insieme e mettere in dubbio se la regola forse non è adeguata ed è da modificare.

Direi anche all’insegnante che mai e poi mai metterei come premio i momenti di relazione con le persone care, perché significherebbe mortificare l’amore e renderlo moneta di scambio.

Farei notare alle maestre che con queste regole da applicare a casa hanno introdotto in modo sottile delle punizioni basate sulla negazione dell’amore e della connessione coi genitori (se il bambino perde troppe monete), oltretutto in questo modo “punendo” anche i genitori del bambino che non fosse riuscito a seguire la regola.

Sì, perché per noi genitori stare piacevolmente insieme ai nostri figli non è un sacrificio fatto per premiarli, una concessione, ma è un piacere vero che si compensa da sé.

Dopo questo discorso fatto sempre in modo gentile (e per carità, ci si può aggiungere anche la comprensione che non è facile gestire tanti bambini insieme), possiamo informare la maestra che a casa non seguiremo le regole suggerite e non incoraggeremo il bambino in questo gioco che immiserisce le relazioni e i comportamenti spogliandoli di ciò che conta: le emozioni e i bisogni di tutti.

Se come genitori ci capita di essere oggetto di questo tipo di proposte didattiche, possiamo infine fare una controproposta: lavorare con il bambino ragionando con lui, quando perderà una moneta, su come è successo, sul perché lui non è riuscito a rispettare la regola, sui motivi che hanno portato le maestre a chiedere questa regola ai bambini, cercando di renderlo consapevole delle necessità delle insegnanti e del resto della classe che sono dietro la regola, in modo che il bambino comprenda anche il punto di vista degli altri. E chiedere a lui cosa ne pensa e se ha idee alternative per raggiungere gli obiettivi e andare incontro ai bisogni di tutti in classe.

Chissà che non ne esca una proposta migliore.

Antonella Sagone, 23 luglio 2022

4 thoughts on “Token Economy: la mercificazione degli affetti”

  1. Monica ha detto:

    Assolutamente d’accordo con lei.
    Lavoro in una comunità per minori e spesso si applicano metodi comportamentisti per rieducarli( essendo bambini comportamentali e “neurodiversi”), tra cui la token Economy.
    Non sempre il metodo funziona anzi, direi che peggiora le condizioni comportamentali già compromesse del minore e affina una certa cattiva competizione nel gruppo.
    Spesso ci si ritrova bambini capaci di mentire sul comportamento di un compagno pur di sottrarre a questo il rinforzo e guadagnarlo lui.
    Oppure si creano comportamenti provocatori per destabilizzare la quiete e fare perdere l’occasione ai compagni di buon comportamento.
    Tutto ciò lo trovo sconfortante e faticoso.
    Servirebbero metodi più concentrati sull’intelligenza emotiva e sull’ interiorizzazione dei valori.
    Grazie per questo articolo, lo trovo molto interessante. Mi piacerebbe conoscerla meglio.

    1. Antonella Sagone ha detto:

      purtroppo questo è anche un pessimo uso della token economy, che è pensata per competere con se stessi, superare i propri limiti responsabilizzando il bambino con un piano personalizzato, e non certo come modo per umiliare i bambini meno “bravi” e mettere i bambini in competizione fra loro!!!
      Se mi vuoi conoscere meglio puoi seguire anche la mia pagina facebook, dove posto altre notizie e a volte faccio dirette:
      https://www.facebook.com/antonellasagone.psicologa.ibclc

    2. Jessica Maria Cianci ha detto:

      buongiorno ci sono studi da presentare agli insegnanti che nonostante gli spieghiamo quanto siamo contrari a certi sistemi insistono per utilizzarli con i nostri figli?

      1. Antonella Sagone ha detto:

        cara Jessica,
        per esperienza, quando c’è un forte attaccamento per una teoria o una tecnica, difficilmente questo viene modificato a colpi di citazione scientifica; perché non è grazie alle evidenze scientifiche che si abbracciano certe modalità o certe convinzioni.
        Quindi in questi casi il dialogo con le maestre dovrebbe partire con un “accordo sul disaccordo”, cioè sul convenire insieme che su una certa questione si hanno opinioni molto diverse; e poi argomentare una richiesta di cambiare approccio, magari proponendolo come un esperimento temporaneo, un “vediamo cosa succede se si tenta una strada nuova”. Se si vuole continuare all’interno di quella struttura, conviene sempre cercare di comunicare non per vincere (aver ragione) ma per favorire una cooperazione, pur nella diversità di idee.
        Se la situazione è insostenibile, meglio ragionare se trovare un’alternativa che cercare di convincere a tutti i costi…

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