Come gestire le crisi di rabbia nei bambini

Come gestire le crisi di rabbia nei bambini

Nel precedente articolo abbiamo descritto le crisi di collera che appaiono così spesso nei bambini dopo il secondo anno di vita, e cercato di esplorarne i motivi dal punto di vista del bambino.

Abbiamo sottolineato che è importante capire che i nostri figli non sono i nostri nemici, non c’è una guerra in corso, ma è necessario comprendere cosa c’è dietro il tumulto di emozioni che spesso fa “perdere la testa” ai bambini di questa età, e cosa possiamo fare per recuperare una connessione con loro ed aiutarli a superare questi momenti di caos e a riprendere il controllo emotivo, anche attraverso il nostro sostegno e la nostra comprensione.

Ma prima di ragionare su cosa l’adulto può fare, di fronte a un bambino che urla, piange e picchia chi si avvicina (o a volte picchia se stesso!), bisogna che noi adulti per primi impariamo a gestire le nostre emozioni, di fronte alla rabbia incontrollata dei bambini.

Perché la rabbia dei bambini ci mette sottosopra

Le emozioni sono, in una certa misura, contagiose; perché la nostra umanità ci fa “entrare in risonanza”. E come genitori siamo naturalmente portati a coinvolgerci nello stato emotivo dei nostri figli.

Con le crisi di rabbia, succede ciò che avviene anche col pianto: vorremmo che smettesse il prima possibile, non solo perché siamo dispiaciuti di vedere i nostri figli infelici, ma anche perché il loro pianto ci mette in subbuglio e smuove anche in noi emozioni a volte da lungo tempo sepolte.

Se ne parla ampiamente in un altro articolo dedicato al pianto

Il paragrafo che tratta degli aspetti emotivi degli adulti si intitola “no alla autarchia emotiva”, perché mette il dito su una tendenza della nostra cultura, che ci vorrebbe tutti emotivamente autonomi e distaccati, e non bisognosi del sostegno emotivo reciproco: obiettivo impossibile, ma soprattutto innaturale per la nostra specie, che è profondamente sociale.

Siamo tutti dipendenti gli uni dagli altri, e non c’è nulla di sbagliato in questo, ma anzi è un punto di forza degli esseri umani: la capacità di empatia e di cooperazione.

Ma la crisi di collera ci mette alla prova ancora più del pianto. Perché se questo era l’espressione di una sofferenza e una richiesta di aiuto, quella invece sembra essere una dichiarazione ostile, un rifiuto di ogni gesto pacificatore, che per alcuni viene visto come una sfida. E a poco vale sapere, come abbiamo spiegato sempre nel precedente articolo, che i bambini di questa età ancora non sono in grado di provocare intenzionalmente o attuare strategie per controllare i comportamenti o le emozioni altrui.

La rabbia è un sentimento “finto”, nel senso che è di superficie. Grattate via la rabbia e apparirà sempre un’altra emozione: dolore, paura, frustrazione, disperazione. Quando per qualche motivo (incapacità ad esprimersi, surplus emotivo, divieti a piangere, eccetera) queste emozioni faticano ad emergere ed essere espresse, ecco che appare la rabbia. Un bambino arrabbiato perciò e molto difficile da aiutare, perché sembra rifiutare l’aiuto e non esprime con chiarezza cosa gli succede e di cosa ha bisogno. Se lasciamo prevalere la nostra parte “bambina” entriamo in risonanza e della crisi di collera di nostro figlio vediamo un aspetto “aggressivo”, viviamo quell’ira e quel rifiuto che da piccoli abbiamo subito da parte degli adulti che si prendevano cura di noi. Ci troviamo così a reagire difendendoci dai nostri piccoli e vulnerabili bambini, oppure cerchiamo di negare, sminuire il dolore che vediamo minimizzando il “capriccio”.

Proviamo frustrazione, disperazione, ansia, impotenza e rabbia.

Ma… aspetta un momento! Non sono proprio queste le emozioni che prova il bambino quando è preda di una crisi di collera?

Non ce ne accorgiamo, ma siamo già in connessione: il primo passo è infatti entrare in risonanza con i sentimenti dei nostri figli in difficoltà.

Accogliere i sentimenti negativi

Ecco che dunque il primo passo da fare per gestire una crisi di rabbia è accettare i sentimenti negativi. I loro e i nostri. Marshall Rosenberg, l’ideatore della Comunicazione Non Violenta (CNV), sostiene che la rabbia è uno “spettacolo meraviglioso”, perché quelle acque agitate segnalano che in profondità c’è qualcosa che si muove… c’è vita la sotto! Avere il coraggio e il cuore di accogliere le emozioni negative che si agitano al di sotto della rabbia ci conduce dritti ai bisogni vitali che in quel momento chiedono ascolto e risposta.

Occorre resistere all’impulso ansioso di affrettarci ad “aggiustare” tutto e far cessare il caos emotivo sotto i nostri occhi. Certamente vogliamo raggiungere quel sottofondo di bisogni per poter rimuovere le cause della disperazione del bambino; ma per arrivarci, serve calma, ascolto, accettazione. Per il bambino arrabbiato, il tentativo frettoloso di consolare, rassicurare, minimizzare, distrarre o compensare è un’ulteriore frustrazione che lo fa arrabbiare ancora di più, perché non sente compreso e accolto il suo bisogno.

Occorre anche accettare la verità che non sempre un problema può essere “risolto”. La bambina (di cui si parlava nello scorso articolo) che voleva mettersi le scarpe da sola, potrà trovare conforto quando la mamma capisce la sua necessità e le permette di provare, magari con una guida discreta. Ma altre volte, il bambino si dispera per obiettivi impossibili: far entrare una grossa spazzola in una piccola scatola; allacciare i lacci delle scarpe; far tornare intero un biscotto che si è irrimediabilmente spezzato. In questi casi, l’adulto può solo prendere atto del dispiacere del bambino e dargli comprensione. Egli piangerà ancora per un po’, e poi si calmerà, proprio grazie al fatto che l’adulto lo ha fatto sentire compreso e ha dato valore al suo dispiacere. Sembra poco, ma è tantissimo!

Che fare

Ci sono molte cose che l’adulto può fare per aiutare il bambino in preda a una crisi di collera; ma la cosa fondamentale è la pazienza e la calma con cui si affronta la crisi.

  • Restare calmi: non agitarsi o gridare più forte è il primo passo per aiutare il bambino a riprendere il controllo delle emozioni. Questo non significa restare impassibili, ma mostrarsi in ascolto e interessati a ciò che sta provando il bambino.
  • Mettere il bambino in sicurezza: contenere i suoi gesti per evitare le conseguenze più rovinose per sé e per gli altri, allontanando oggetti che possa lanciare o su cui possa sbattere o farsi male, mettendo un cuscino per terra se è di quei bambini che picchiano la testa sul pavimento quando sono arrabbiati, fino a trattenere la mano che cerca di graffiare o prendere di peso il bambino e allontanarlo con decisione (ma con gentilezza) dal luogo della crisi.
  • Non toccare eccessivamente il bambino: se non ci sono pericoli, evitare di stringere, abbracciare intensamente o prendere subito in braccio, se non è il bambino stesso a mostrare di volerlo. In genere i bambini in preda alla rabbia fanno capire chiaramente se e quando vogliono essere toccati, e se per alcuni una carezza o un tocco gentile aiuta, per altri risulta destabilizzante, perché aggiunge un altro stimolo al caos di emozioni che già stanno provando. In questo caso, provare un tocco delicato sul braccio o sulla schiena o anche nulla, ma restare fisicamente vicino, seduti, calmi, parlando con voce pacata.
  • Verbalizzare: provate a descrivere con frasi brevi ciò che vedete, senza giudizi o soluzioni affrettate. “Ti vedo molto, molto arrabbiato” “Sei angosciato/spaventato/triste/frustrato” e poi azzardare una spiegazione, sempre formulata come domanda, in modo che il bambino possa nel caso correggere la nostra intuizione: “Sei arrabbiato perché…?” I bambini, specie se ancora parlano poco, hanno bisogno di sentir nominate e descritte le emozioni, esattamente come gli vengono descritti gli altri elementi concreti del mondo che lo circonda. Questo li aiuta a dare un nome a quello che provano e a riprendere il controllo. In un secondo momento, quando si è riacquistata la calma, anche qualche ora dopo, si potrà tornare sull’argomento e approfondire assieme, ragionando con più calma.
  • Cercare una soluzione: quando possibile, alla fase dell’ascolto empatico deve seguire quella di un intervento volto a rimuovere le cause della disperazione infantile. Non sempre questo è possibile o accettabile, ma quando si può trovare una soluzione – magari una diversa soluzione, non ci sono motivi per non farlo. Non si tratta di “dargliela vinta”, perché il punto non è il potere e non si tratta, come dicevano, di una guerra, ma solo di tornare a parlare il linguaggio delle emozioni e dei bisogni, perché è lì che risiedono le soluzioni ai problemi. Se una soluzione non è possibile, verbalizzare ed esprimere accettazione e comprensione per i sentimenti di dispiacere e frustrazione del bambino.
  • Dare tempo: una volta innescata la crisi, ci vuole tempo prima che si esaurisca il torrente di emozioni e di ormoni scatenati dall’asse dell’adrenalina; una Ferrari lanciata in velocità non può frenare nel giro di pochi metri! È possibile che il bambino, anche una volta risolto il problema originario, abbia bisogno di piangerci su ancora un po’ e smaltire quella rabbia che ormai era stata messa in moto. Portate pazienza… prima o poi la crisi passerà! E passerà anche questa fase della vita, spesso proprio quando il bambino acquisisce una maggior padronanza del linguaggio e riesce ad esprimere più chiaramente le sue emozioni e bisogni a parole.e

Conclusioni

Le crisi di rabbia mettono a dura prova i genitori, ma è importante sapere che succedono praticamente a tutti i bambini verso i due-tre anni, e che non dipendono dalla maggiore o minore capacità educativa dell’adulto, non sono un segno di maleducazione o di regressione, ma sono anzi il segnale che il bambino sta crescendo e che sta acquisendo nuove abilità.

Le crisi di rabbia sono fisiologiche, e non dipendono nemmeno da quanto si “accontenta” o meno il bambino: è possibile accogliere le sue emozioni e accettarle, persino quando il genitore si trova nella necessità di contenere il suo comportamento o dirgli di no. Ma è sempre possibile restare calmi e compassionevoli anche senza abdicare alla propria funzione di guida.

Il periodo dei “capricci” è una fase di assestamento che richiede i suoi tempi ma che porterà alla fine a una nuova maturità e a un nuovo equilibrio, e con esso a una rinnovata armonia fra i bambini e i loro genitori.

Per approfondire la conflittualità che si verifica fra genitori e figli, potete leggere questo altro articolo.

Se desiderate approfondire con una psicologa le dinamiche che si stanno verificando con la crescita emotiva di vostro figlio, potete richiedere qui una consulenza.

Antonella Sagone, 9 novembre 2022

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