Basta colpevolizzare le madri!

Basta colpevolizzare le madri!

Un recente fatto di cronaca dà l’occasione per una serie di riflessioni sulla sicurezza nel post parto, sul modo in cui viene data l’informazione, e sulla solitudine delle neo-mamme.

In un noto ospedale romano in cui si pratica il rooming-in (il neonato nella stanza della mamma h24), una donna partorisce il suo primo figlio dopo 17 ore di travaglio. Il bimbo è sempre inquieto e piange appena viene messo nella culletta, e la mamma le prime due notti non riesce a chiudere occhio.

Nella terza notte di ricovero, la mamma allatta il suo bambino. Qualche tempo dopo, il neonato viene trovato privo di vita nel letto materno, accanto alla madre profondamente addormentata.

Questi i semplici fatti, nella loro crudezza. Sotto ai fatti, un universo di emozioni dolorose per i genitori, devastati dal lutto; e anche le reazioni di “pancia” di tanti lettori che apprendono il fatto attraverso la lente colorata dei giornali e delle pagine giornalistiche online.

I Media

Colpisce in questa come in altre vicende la modalità (giudicante, cinica) con la quale le riviste e i quotidiani riportano questa notizia.

Sebbene i risultati dell’autopsia del bambino si avranno fra due mesi, e quindi nessuno sia oggi in grado di dire le cause della morte del neonato a soli 3 giorni di vita, i giornali parlano di “bambino schiacciato nel letto” e di madre “stremata”.

Occorrerebbe approfondire i moltissimi aspetti che possono incidere in questo tragico ed estremamente raro evento; ma i giornali scelgono di puntare il dito, in modo generalizzante, verso le uniche cose salutari che la madre stava praticando: l’allattamento al seno e il sonno condiviso.

I titoli dei giornali, a poche ore dal tragico evento, sembrano non avere dubbi: “neonato muore soffocato mentre la mamma lo allatta”, e variazioni su questo tema, è il tenore dei titoli. Una testata mostra un’immagine di una madre sorridente che allatta in una posizione assurda e improbabile: bambino supino e lei sul fianco tutta inclinata sopra di lui. “La procura apre un’inchiesta per omicidio colposo” e “la madre è stata sottoposta a un esame tossicologico”, titolano altri, gettando in chi legge un’ombra di sospetto per la madre… salvo poi scrivere, nel testo che nessuno legge, che la madre è parte lesa e l’inchiesta riguarda il reparto di ostetricia. Le frasi si inseguono da un rotocalco online all’altro, in un infinito gioco di specchi in cui ciascuno copia dagli altri: dalle urla disperate della madre che squarciano il silenzio del reparto (dettaglio del tutto inventato, come emergerà dalle notizie successive), alla dichiarazione dell’Esperta, un’ostetrica (la fonte è sempre lo stesso articolo di una pagina commerciale sulla salute, che tutti hanno copiato)  che spiega come dormire insieme sia fattore di rischio per la SIDS, affermazione quantomeno inesatta: per approfondire la questione SIDS e soffocamento, leggete questo articolo e il suo seguito sulla condivisione del letto. Una pagina rilancia, parlando delle “regole e gli accordi proprio per evitare i danni collaterali del co-sleeping, considerato tra le principali cause di morte dei neonati”. Insiste un’altra testata, citando un fantomatico “decalogo per l’allattamento” che affermerebbe: «Mai nel letto».

“Attenzione al mito della donna perfetta”, ammonisce un altro articolo, sollecitando le persone intorno alla mamma a chiederle “quanto è stanca”, insinuando che le madri potrebbero non chiedere aiuto per orgoglio o vergogna: ancora una volta l’imputato diviene la madre. Che poi, nel caso in esame, avrebbe in realtà chiesto per due giorni invano aiuto al personale, che sorvegliassero il bambino perché lei potesse recuperare un po’ di sonno.

Ed è proprio qui il punto: il focus della notizia è la morte del bambino a causa del fatto che era allattato o che era nel letto della madre; mentre nessun accento è stato dato allo stato di abbandono in cui in troppi reparti di ostetricia versano le puerpere, dopo i tagli al personale e il persistere, del tutto assurdo, di “norme covid” che impediscono la presenza di un familiare o di un’altra figura di accudimento a fianco della donna che ha appena partorito.

I protocolli come meccanismo di disimpegno morale

L’azienda ospedaliera si è affrettata a dichiarare che è stata aperta un’inchiesta interna, ma che comunque “alle pazienti viene assicurata un’adeguata presa in carico e il rispetto dei requisiti organizzativi previsti dalla normativa vigente”; ha aggiunto inoltre che le donne che scelgono il rooming-in vengono “informate dei rischi” e firmano un modulo nel quale sono contenute anche le istruzioni per come allattare e accudire il neonato “in modo sicuro”.

Sembra quasi di vedere come non sia affatto cambiata l’assistenza postparto, che considera madre e bambino come due entità separate che fanno capo a diverse figure e diversi reparti; invece di considerarli un’unità biologica, la scelta del rooming-in viene considerata semplicemente come un passaggio di consegne e di responsabilità, dal personale infermieristico del nido alla madre stessa. 

Dalle testimonianze di altre donne che hanno partorito in questo ospedale, emerge come l’opzione del bambino in stanza comporti una rigidità e una sorta di irreversibilità, per cui di fatto si pretende dalle neomamme una presa in carico pressoché totale del neonato, senza possibilità di portare il bambino al nido per un po’ di tempo, se non in casi eccezionali. D’altronde questa dicotomia, in cui l’assistenza alla diade madre-neonato diviene una faccenda di opzioni che determinano in modo rigido il livello di affiancamento del personale sanitario, non è un caso isolato nell’assistenza ospedaliera alla nascita. Ma è ormai prassi generalizzata improntare il comportamento di care (il prendersi cura) dei sanitari all’osservanza di protocolli, orientati molto più a garantire la difendibilità legale delle pratiche di assistenza che non all’effettiva sicurezza e salute dei pazienti. Questo approccio difensivo permette di scaricare le responsabilità su un elemento impersonale ed esterno al soggetto (il protocollo, il foglio di liberatoria firmato dal paziente) e quindi di non sentirsi in colpa per gli eventuali eventi avversi che dovessero verificarsi. Vi ricorda qualche cosa?

Non è allattare ad essere insicuro, ma l’ambiente che accoglie la madre

Molte voci si sono levate a denunciare lo stato di abbandono in cui versano i pazienti ricoverati, e in questo caso specialmente, le puerpere; si è parlato di violenza ostetrica e di negligenza. Il problema in realtà non è l’allattamento o il sonno condiviso, anche se sono inclusi nel protocollo: il problema è lo scollamento che esiste fra le indicazioni di “migliori pratiche” – stilate sulla base delle evidenze scientifiche e concepite in un contesto di situazione ottimale – e la situazione reale in cui la singola madre e bambino si trovano ad affrontare le prime ore dopo il parto.

Paradossalmente si rivendica il diritto della madre a poter essere “liberata” del bambino per qualche ora per poter dormire – bisogno sacrosanto – ma non si mettono in discussione le condizioni che, a monte di questi primi giorni così faticosi, hanno fatto partorire questa donna spesso in modo traumatico, medicalizzato, e che la costringono ad accudire e nutrire suo figlio in un ambiente inadatto, su un lettino scomodo che non consente le naturali posizioni sicure per allattare, lontano da casa e soprattutto privata della presenza confortante e accudente dei suoi cari.

In condizioni naturali una donna partorirebbe in casa o in un ambiente simile a quello domestico, affiancata dai suoi familiari, e potrebbe usufruire degli ormoni che la sostengono nel post-partum, specie allattando, e prevenendo così le emorragie mentre assicura al bambino la massima protezione contro l’ipoglicemia e la disidratazione; il contatto pelle a pelle garantisce una termoregolazione ottimale e favorisce la regolarità del respiro e del battito cardiaco del neonato, sincronizzando la mamma sui ritmi di alimentazione e sonno di suo figlio.

Non è naturale che un neonato, nelle prime 48 ore di vita, sia costantemente agitato e cerchi continuamente il seno; in genere nel primo giorno il bambino dorme a lungo. Come IBCLC mi pongo l’interrogativo se questo bambino stesse ricevendo tutto il colostro di cui necessitava, o forse invece avrebbe avuto bisogno di una competente valutazione della sua suzione e della poppata. Non è naturale per la mamma addormentarsi così pesantemente da schiacciare il figlio, a meno che non si trovi sotto l’effetto di farmaci o sia veramente stremata; e non è affatto detto che il bambino, inoltre, sia effettivamente stato schiacciato, dato che anche le posizioni distese per allattare hanno caratteristiche tali da rendere difficile alla madre rotolare sopra il neonato se si addormentano. Non sappiamo, a tutt’oggi, se il bambino non sia invece morto per altra condizione medica non accertata o per la cosiddetta SUPC (collasso neonatale improvviso e inaspettato), un evento raro ma possibile.

Basta dunque colpevolizzare le madri; ma anche basta  colpevolizzare le buone pratiche come l’allattamento al seno o il sonno condiviso. E basta, infine, colpevolizzare anche operatori sanitari che fanno il loro lavoro in contesti sempre più stressanti, inadeguati e spersonalizzanti.

I cambiamenti dei reparti di ostetricia in direzione di una maggiore “naturalità” del parto e del post-parto sono i benevenuti; ma non possono tradursi nel semplice mutamento organizzativo o logistico, nel mettere una piscina in sala parto, raccomandare l’allattamento, fare il pelle a pelle e sistemare il neonato in stanza, se poi intorno alla diade, in un momento così delicato come le prime ore dopo la nascita, non ci sono risorse materiali e umane, non c’è attenzione, cura, sostegno, informazione, aiuto competente, rispetto e umanità.

Antonella Sagone, 26 gennaio 2023

4 thoughts on “Basta colpevolizzare le madri!”

  1. Monica ha detto:

    Grazie per questo articolo .
    Anche io 18 anni fa sono stata completamente abbandonata nel post parto e ho avuto difficoltà a mettermi seduta e farla attaccare … poi con l’esperienza personale e lavorativa consiglio l’intuitivo in modo che sia la mamma e il neonato possano stare comodi e senza rischi considerato che se non si favorisce il legame e si stacca il neonato dalla mamma abbiamo conseguenze negative sull’avvio dell’allattamento..
    Speriamo che questo episodio non vada a incidere sulle decisioni. Dei singoli reparti e separare il nascituro dalla mamma .

  2. Clara Curtotti ha detto:

    Grazie, qualcuno finalmente ha dato voce anche a ciò che resta silente nelle narrazioni della cronaca!
    Grande dolore per questa madre e questo bambino, vittime delle logiche imperanti e mortifere che riescono a cavalcare anche eventi tragici come questi per disumanizzare ulteriormente l’evento della nascita e la sacralità della sua accoglienza.

  3. Ferruccio Gobbato ha detto:

    chiaro e condivisibile

  4. Egidio Curti ha detto:

    Questo fatto tragico e gravissimo testimonia purtroppo del degrado fisico e morale in cui è caduta la Medicina nel nostro Paese.
    Per non parlare del giornalismo che da quarto potere si è degradato in quinta colonna al servizio dei peggiori apparati … ahimè

Rispondi a Monica Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.