Bambini, seggiolini e leoni
Una donna entra in un negozietto con il figlio di pochi mesi nel passeggino, fa in fretta a furia i suoi acquisti, poi esce avviandosi di buon passo verso casa, e dopo una decina di passi si rende conto di aver lasciato il figlio nel passeggino al centro del negozio. Corre indietro col cuore in gola, e lo recupera furtivamente, fuggendo veloce dal negozio e vergognandosi moltissimo.
Un’altra donna esce di casa e va in auto a portare i figli a scuola. La grande scende per prima, la guarda entrare. Riparte verso l’asilo, ma c’è la strada bloccata, così fa una deviazione che le porta via alcuni minuti. Nel frattempo suona il cellulare, non risponde ma vede si tratta del commercialista, maledizione deve portargli la documentazione per la dichiarazione dei redditi, dovrà farlo nel pomeriggio. Allora la spesa è rimandata, meglio ricordarsi, una volta in ufficio, di chiamare il marito per farla fare a lui. Cosa manca? Zucchero, pomodori, cosa c’è per cena? Intanto ecco finalmente la via si sblocca e la mamma corre verso l’ufficio, pochi minuti possono significare non trovare posto ma per fortuna trova un buon parcheggio. Afferra la borsa e via, di corsa a timbrare. Risucchiata dal lavoro, finché il cellulare non squilla, è la sua amica che le chiede se sua figlia sta bene, dato che non l’ha vista all’asilo. Come?? Ma se ricorda perfettamente di averla lasciata e di aver anche detto alla maestra che oggi la viene a riprendere il padre…
Poi un dubbio atroce e una corsa affannosa, è passata un’ora… la bimba è lì, addormentata sul sedile posteriore, legata al seggiolino. Impossibile!
Terrore, confusione, vergogna, senso di colpa, shock.
Per fortuna quella volta era autunno.
La Sindrome del bambino dimenticato
Impossibile, eppure succede. Viene anche chiamata “Forgotten Baby Syndrome”. Il cervello che fa tilt, quando dormi poche ore (frammentate) per notte, quando sei sotto pressione, quando sei multitasking e ti muovi a zig zag fra routine e automatismi mischiati a imprevisti e funambolici recuperi… succede, e non è un caso isolato. L’ultimo caso, l’ultima straziante tragedia, è di pochi giorni fa; ma il fenomeno viene registrato da quasi un quarto di secolo, con un ritmo di circa un caso ogni due anni.
Non stiamo parlando di genitori che per ignoranza o incoscienza lasciano i figli in auto consapevolmente, pensando che tanto per poco tempo non succede nulla, e poi perdono il senso del tempo e il bimbo muore… avvengono anche tragedie di questo tipo, per esempio da parte di genitori che per varie condizioni di fatto tengono i figli in stato di abbandono e non sono in grado di prendersi cura di nessuno, nemmeno di se stessi.
No, stiamo parlando di genitori affettuosi e attenti, che si fanno in quattro e che si impegnano ogni giorno per accudire i figli in modo adeguato. Genitori normali.
Cosa succede allora? Follia improvvisa?
Si chiama amnesia transitoria dissociativa: quella che ti fa lasciare il portafoglio a casa quando ricordi perfettamente persino i gesti con i quali lo hai messo in borsa, per cui sei convinta che te l’hanno rubato… mai successo? O del non ritrovare la tua auto parcheggiata in una zona dove vai sempre, perché ricordi benissimo dove l’hai lasciata (e invece è da tutt’altra parte)… avete presente?
Si tratta di un black out del cervello che va in sovraccarico di informazione mentre sta facendo una serie di passi, di azioni che vengono compiute in automatismo e che si fanno tutti i giorni allo stesso modo.
Il black out, durante il quale continui in automatico a guidare, parlare al telefono e pensare alle incombenze di cui devi ricordarti, ti fa saltare un passaggio, e purtroppo quando “va via la luce” ciò che viene oscurato non è la cosa meno importante, è a caso, così come uno sbalzo di corrente può colpire un televisore o il polmone d’acciaio che fa respirare un malato. Non sceglie.
Questo tipo di amnesia non dura 4 ore ma pochi minuti, però frammenta la realtà. Non è che il genitore tira dritto senza lasciare il bambino al nido, e poi per 4 ore si dimentica questo evento: il fatto di aver tirato dritto proprio non viene registrato dalla mente, per cui si “presume” di averlo lasciato al nido e, se si esce di corsa senza voltarsi, convinti che l’auto sia vuota, ecco che può verificarsi la tragedia.
La convinzione di aver fatto l’azione mancata è assoluta. Come per il portafoglio o l’auto parcheggiata, la mente riempie i vuoti con falsi ricordi, inserendo nello spazio di black-out una sequenza “plausibile”, avvenuta cento volte nei giorni precedenti.
Questa funzione “filler” della mente è sempre presente e il più delle volte è funzionale, perché ci aiuta a percepire continuità laddove c’è un’interruzione nel vissuto percettivo. È così che leggiamo agevolmente un testo pieno di refusi senza vederli, o capiamo una telefonata anche se la voce va e viene, o vediamo un’immagine continua anche se abbiamo il parabrezza velato dalle gocce di pioggia e dall’andirivieni del tergicristallo. La mente cerca coerenza e, se non la trova, la ricostruisce.
E così si scopre l’errore magari 4 ore dopo, nella pausa pranzo. E a volte è troppo tardi.
Non affrettiamoci a giudicare
Chi giudica, in cuor suo ha una reazione immediata: “Impossibile!! Ma come fanno a dimenticare un figlio? A me non può succedere: sono troppo amorevole, troppo presente, troppo attenta, troppo ansiosa per dimenticarmene”.
Un maggiore realismo e una maggiore umiltà potrebbero salvare molte vite… forse le vostre o quelle dei vostri figli. Pensare che può succedere anche a noi, è come accettare l’idea che una finestra aperta e una sedia messa vicino possono essere un pericolo mortale anche nelle migliori famiglie. Non si nasconde la testa sotto la sabbia, si mettono i fermi di sicurezza alle finestre, si allacciano le cinture, si coprono le prese elettriche.
Parlare di genitori “omicidi” o “negligenti” significa unirsi al coro di condanna che essi già sentono, e sentiranno ogni minuto della loro vita, nei loro cuori. E comunque, sì, anche gli assassini hanno diritto, se non all’assoluzione, almeno alla pietà, e no, basta con le mamme (e i papà) da cui si pretendono i miracoli mentre la società intorno a loro non dà il supporto minimo per permettere loro di fare, semplicemente, i genitori, mentre si caricano di un peso così gravoso da mandarli in tilt. E poi si punta anche il dito contro. Tutti leoni da tastiera! Piuttosto, che questi tragici eventi ci rendano umili, ci facciano fermare a guardare noi stessi: quanti di noi mettono il casco o la cintura o allacciano il seggiolino, per noi e i nostri figli, fosse anche per fare cento metri?
E anche si fosse senza peccato, perché lanciare pietre?
Quello di cui si ha bisogno non è un meccanismo di negazione, recitare il mantra “a me non succede”: si ha bisogno invece di sistemi sicuri per prevenire.
I sistemi per prevenire ci sono
Dal 7 novembre 2019, con la legge n. 117 di modifica del codice della strada, è stato reso obbligatorio un sistema di allarme incorporato nel seggiolino, che suona nel momento in cui a motore spento si chiude la macchina col bambino seduto nel seggiolino. All’epoca, qualche voce si è levata brontolando che si trattava dell’ennesima “tassa occulta” per le famiglie. Ebbene, fra tante “tasse” davvero inutili questa ha un senso sacrosanto, e minimizzarlo significa negare l’esistenza del problema. Eppure, c’è addirittura chi non lega nemmeno il bambino al seggiolino; la consapevolezza, quando si viaggia in auto, della velocità e dell’inerzia non è intuitiva, ma in caso di impatto, se non sei legato, è come l’impatto sul marciapiede mentre stai cadendo dalla cima di un palazzo… e allora, come non ci lanceremmo senza paracadute, così non viaggiamo senza cinture, seggiolini e dispositivi di sicurezza: ne va delle vite nostre e di quelle dei nostri cari!
Un’altra prassi che potrebbe essere messa in atto è che la struttura di accoglienza del bambino – che sia nido, scuola dell’infanzia, ludoteca o qualsiasi altra, mandi a inizio giornata in automatico un messaggio ai genitori informandoli ogni volta che il bambino risulti assente.
Come altro accorgimento di sicurezza, si può creare l’abitudine di poggiare la propria borsa o altro oggetto indispensabile accanto al seggiolino, in modo che scendendo dall’auto si debba per forza guardare in quella direzione per recuperarlo. Può sembrare orribile il pensiero che è più facile dimenticarsi in auto un figlio che un cellulare o una borsa, tuttavia il fatto ha un fondamento logico, tornando alla descrizione fatta sopra di come avvengono i black out: il bambino, dopo il black out, per la mente risulta “sistemato” (ad esempio al nido) e quindi il pensiero viene archiviato; la borsa appartiene al futuro e serve per il lavoro o le altre incombenze, quindi il pensiero viene mantenuto attivo.
Non giudichiamo. Cerchiamo di fare del nostro meglio per evitare tragedie che distruggono la vita di intere famiglie.
Ma prendiamo anche atto della verità che oggigiorno viviamo in un contesto disumanizzato e frammentato, in cui il tessuto sociale è rarefatto e lacerato, non esiste più una condivisione sociale delle responsabilità verso i soggetti più bisognosi di attenzione e cure, come i bambini e gli anziani, e tutto è sulle spalle dei familiari più stretti, che devono gravarsene in qualsiasi condizione, anche quando loro stessi sono pressati e logorati da ritmi disumani e da carichi spropositati di lavoro e di scadenze.
Impegnamoci dunque ogni giorno, in prima persona, nel ricostruire questo tessuto di sostegno fatto di relazioni umane reali, e non solo presenti nell’evanescenza del mondo virtuale; offriamoci per condividere impegni e oneri coi nostri vicini, familiari, conoscenti, colleghi; non solo per “dovere civico” ma per compassione, empatia e anche per la gioia di vivere in modo più solidale e amorevole le relazioni umane.
Brava brava brava!
grazie di cuore ,parole bellissime