Ma sei sicura che il tuo latte non sia acqua?
Una domanda singolare, se ci si pensa… perché mai la specie umana, unica fra tutti i mammiferi, dovrebbe avere una lattazione così capricciosa, con crolli repentini di produzione e latte che improvvisamente perde sostanza e si diluisce misteriosamente?
Eppure, è proprio quello che si sentono dire tante mamme al primo segnale, vero o presunto, di problemi nella crescita del bambino. Che si tratti di un aumento di peso ritenuto, spesso a torto, inadeguato; che si tratti di un bambino irrequieto o che chiede di poppare “troppo spesso”; che si tratti di poppate che si prolungano oltre i fatidici 10 minuti (lo “standard” per vuotare un biberon), il responso spesso è sempre un difetto nella quantità o nella qualità del latte materno. Molti allattamenti al seno così declinano per un puro e semplice errore di valutazione, che vede il problema laddove non c’è, che sospetta un bambino affamato dove c’è soltanto un bambino che vorrebbe poppare con i suoi propri ritmi, e probabilmente più a lungo e spesso di quanto gli venga “concesso”.
Altre volte, esiste un oggettivo problema di allattamento, che sarebbe quasi sempre risolvibile curando la posizione del bambino e la gestione dell’allattamento. Ma per sostenere la mamma in questo percorso occorre una conoscenza della fisiologia della lattazione e delle tecniche per aiutare mamma e bambino a fare una buona poppata, conoscenza che è spesso difficile da trovare.
Da dove nasce questa idea del latte senza sostanza?
Di fatto, da due aspetti.
1) Il bambino non cresce come “dovrebbe”. Dire che il latte è senza sostanza è una variante del dire che è poco (quando schizza fuori a zampillo a volte si sceglie questa seconda alternativa). Per quanto riguarda il “quanto deve crescere” il bambino, a volte il problema nasce dall’aver fatto riferimento a tabelle e curve che sono state compilate decenni fa, e che non sono affatto rappresentative di una popolazione di bambini sana e alimentata in modo sano, ma solo descrittive della popolazione media dei lattanti di paesi industrializzati, nutriti spesso (per non dire quasi sempre o esclusivamente) con biberon di formula artificiale.
Così, una semplice descrizione viene trasformata in un modello a cui aspirare, un obiettivo da “prescrivere”; il peso che il bambino “dovrebbe” guadagnare ogni settimana viene sopravvalutato, perché sa basa su come “in media” statisticamente un certo tipo di bambini cresce (per dettagli su quanto dovrebbe crescere un bambino, potete leggere questo articolo e tutti i link ad esso collegati).
Ma anche le tabelle OMS, che descrivono invece uno standard ideale (dato che sono state costruite sui dati di bambini alimentati al seno) vanno sapute interpretare. Troppi pediatri ancora considerano desiderabile per un bambino essere nei percentili alti e “un problema” essere nei percentili bassi. Ma tutti i percentili di crescita descrivono semplicemente diverse tipologie di crescita di bambini sani, da quelli minuti a quelli robusti. Per capire come leggere le tabelle, consultate questa FAQ.
2) Il latte ha un aspetto “acquoso” se paragonato a quello vaccino della centrale del latte o a quello della formula.
Su questo, ci sono da dire varie cose. Prima di tutto, il latte umano ha un aspetto opalescente, un po’ come il latte di mandorla, e questo non ha nulla a che vedere con la sua sostanza. Poi, spesso il latte estratto per l’analisi è solo la parte più acquosa. Inoltre il latte materno sembra “strano” anche perché impropriamente paragonato all’aspetto del latte vaccino pastorizzato dell’industria… ma il latte del cartone della centrale è così bianco non solo per le sue diversità biologiche, ma anche perché è omogeneizzato, quindi non si separa il siero dalla parte grassa.
Un alimento vivo
Vediamo un attimo alcune caratteristiche del latte materno:
– è specie-specifico (è l’unico latte fisiologicamente adatto al neonato umano);
– è individuo-specifico (ogni madre produce il latte adatto per il bambino che poppa al suo seno in quel momento);
– è variabile, il che significa che, pur mantenendo certe costanti, cambia con il passare delle settimane, dei mesi, del momento della giornata, secondo ciò che la mamma mangia e in base al momento della poppata.
Riguardo quest’ultima caratteristica, è importante specificare come funziona la poppata e in particolare la cosiddetta “calata” del latte. La suzione del bambino al seno (ma anche il tiralatte, o persino il vedere il bambino o sentirlo piangere) stimolano il rilascio dell’ormone ossitocina, che attiva un riflesso nel seno di contrazione di certe piccole fibre muscolari che, avvolgendo tutto il sistema degli acini e dei dotti, provoca una vera e propria propulsione del latte che viene emesso dal seno con maggior vigore e flusso. Mentre a riposo le particelle di grasso del latte sono aderenti alle pareti degli alveoli e dei dotti, a seguito di questo riflesso si distaccano e si mescolano al latte che per primo assume il bambino. Quindi in pratica si ha un primo latte (più ricco di acqua) e un secondo latte (più ricco di grassi) che viene rilasciato dopo qualche minuto dall’inizio della poppata;
– è un modulatore biologico (significa che è molto di più di un alimento, contiene ormoni, enzimi, anticorpi, cellule vive del sistema immunitario, oligoelementi, neurotrasmettitori, fattori di crescita dell’epitelio e del sistema nervoso, probiotici, e si potrebbe continuare a lungo…) che dà un input a tutti i sistemi del neonato (immunitario, neurale, digerente, endocrino…) “insegnandogli” a funzionare nel modo corretto;
– è in parte sconosciuto (ogni giorno si scoprono nuove sostanze), e quindi come può essere perfettamente imitato?
Date queste caratteristiche, dovrebbe essere la formula artificiale ad essere valutata alla luce del modello, cioè il latte materno, e non certo quest’ultimo ad essere valutato in base a una proporzione “standard” di nutrienti secondo la formula che le industrie hanno scelto di usare come modello in un dato momento storico.
Per approfondire le qualità del latte materno potete leggere questo articolo.
L’analisi del latte
Il passo successivo alla diagnosi presunta di “povertà” del latte materno diventa a volte fare l’analisi del latte, in cerca di dati “oggettivi” che giustifichino “scientificamente” il ricorso al biberon e alla formula industriale.
L’analisi del latte era molto in voga negli anni ’60, ma poiché le cattive abitudini sono lente a morire se ne sente parlare anche oggi.
Ma davvero è possibile fare l’analisi al latte materno, e quanto i risultati sono attendibili?
Se avessimo il modo per analizzare davvero il latte materno in maniera esauriente le industrie dell’artificiale brinderebbero perché saprebbero finalmente cosa esattamente imitare… sono costrette invece ad andare avanti con quello che al momento si conosce e, soprattutto, per prove ed errori: fatti inevitabilmente sulla pelle dei bambini.
Riguardo ai rischi della formula, leggete questo articolo.
Cosa succede quando si fa l’analisi del latte?
Per prima cosa, la cosa più frequente è che si estragga solo la parte più acquosa del latte; infatti spesso il riflesso di discesa, che è bloccato da dolore, ansia, imbarazzo, tensione, non si verifica affatto, dato il vissuto stressante di chi si sta sottoponendo a questa “prova” con un tiralatte, e la parte più grassa e calorica resta nel seno.
Inoltre, certo non si fa l’analisi del latte nelle 24 ore, estraendo la quota totale giornaliera di latte, ma si estrae quando va bene il latte due o tre volte in una giornata: come è possibile da questo trarre un dato attendibile sulla reale quantità e composizione del latte che quel bambino assume nell’arco di un’intera giornata?
Infine, cerchiamo anche di comprendere che analizzare una sostanza viva come il latte materno (di fatto, un tessuto liquido, di complessità biologica del tutto analoga a quella del sangue) non significa guardare al microscopio e contare quello che si vede, ma mettere in atto procedimenti complessi alla ricerca di componenti che vanno individuati uno per uno… insomma, il risultato è approssimato e dipende molto da quello che si sta cercando; generalmente si limita a una stima grossolana della proporzione fra acqua, zuccheri, grassi e proteine.
È in base a questa “prova” del tutto inutile e inattendibile che si decreta che un allattamento non va, che occorre somministrare l’aggiunta con il biberon…
Il consiglio di ricorrere a questo tipo di test dimostra solo una cosa: che chi l’ha consigliato non sa come valutare un allattamento al seno, una poppata, un adeguato apporto di latte per il neonato, e perciò si affida a procedure più misurabili: analisi di laboratorio che danno una parvenza di “oggettività” a un approccio che di oggettivo e scientifico in realtà purtroppo non ha nulla.
Oltre al danno oggettivo subito da queste mamme e bambini dal non aver ricevuto un aiuto competente ed essere invece stati indotti a interrompere prematuramente il loro allattamento, vogliamo pensare al danno morale subito dalle donne che si sono sottoposte a questo test, il cui responso praticamente sempre è quello di un’inadeguatezza nella composizione del latte?
Lasciateci essere mammifere!
La sintesi del latte è un processo meravigliosamente complesso messo a punto in milioni di anni di evoluzione delle specie mammifere; si tratta di un processo dinamico e flessibile che permette, pur nella costanza di una ricchezza di nutrienti e di altre componenti, di fornire al bambino di volta in volta proprio ciò di cui ha bisogno per crescere e stare bene. In un certo senso, nel momento in cui smettiamo di interferire con l’allattamento e lasciamo che il bambino vada al seno senza interferenze, possiamo anche ignorare tutto riguardo a queste complesse alchimie!
Le preoccupazioni sulla qualità del latte non fanno che minare l’allattamento e la fiducia nella capacità del corpo materno di fornire nutrimento e salute al proprio figlio.
I corpi delle donne funzionano benissimo, il latte umano è un prodotto perfetto, le madri sono competenti e i bambini sono competenti: il più delle volte basterebbe non interferire e non mettersi fra le mamme e i loro cuccioli, per poter allattare ed accudire in tutta tranquillità.
Grazie.