Aspettative positive riducono la medicalizzazione nel parto
Di fronte all’evento del parto, due tipi di approcci opposti sono possibili: considerarlo un evento naturale, fisiologico, che madri e bambini sono ben attrezzati ad affrontare, senza necessità di aiuto medico; oppure vederlo come un evento rischioso, dall’esito imprevedibile, che ha bisogno di un affiancamento e un’assistenza medica specializzata per salvaguardare salute e benessere di madre e bambino.
Nell’ultimo secolo la gravidanza e il parto si sono andati progressivamente sempre più medicalizzando. I nove mesi dell’attesa si sono trasformati in un percorso costellato da accertamenti, che necessita di una dieta accurata e della consulenza di numerosi esperti. E’ praticamente impossibile che in un reparto di ostetricia tradizionale un parto possa svolgersi in modo del tutto naturali; assistiamo invece a un’escalation di interventi farmacologici, medici e spesso anche chirurgici, con un tasso di cesarei che eccede di almeno 30% quello auspicabile.
Questi interventi «preventivi», lungi dal rassicurare, hanno invece aumentato nel tempo la percezione del parto come di un evento colmo di rischi che vanno prevenuti con una costante assistenza medica.
Si è così creato un circolo vizioso, con una ulteriore crescita della medicalizzazione del parto, della nascita e del puerperio, e il vissuto delle partorienti si è allontanato sempre più da quell’esperienza di gioia e potenza che le donne provano con un parto indisturbato.
I ricercatori dell’Università di Bonn hanno voluto esplorare la componente cognitiva ed emotiva di questo circolo vizioso. 300 donne sono state seguite dalla gravidanza ai sei mesi dalla nascita; il loro stato emotivo è stato misurato nel corso del tempo, confrontandolo con gli esiti relativi al parto, alla nascita, all’allattamento e al primo semestre con il bambino.
Sono stati misurati gli atteggiamenti relativi al parto vaginale rispetto al cesareo, quelli nei confronti degli interventi farmacologici, la fiducia nelle ostetriche e gli atteggiamenti di vergogna o disgusto rispetto al processo del parto. Sono stati misurati anche tratti della personalità come ansia, nevrosi, autostima ed autoefficacia.
Un dato chiaro emerso dallo studio è stata la differenza fra il gruppo delle «naturaliste» rispetto a quello delle «medicalizzate»: parti vaginali in misura maggiore, meno complicanze, bambino più tranquillo, allattamento, buon umore. Mentre gli aspetti caratteriali incidono poco sugli esiti della percezione dell’esperienza di parto, le aspettative e i timori rispetto ad esso hanno un peso rilevante.
È noto come un parto traumatico possa portare a depressione dopo il parto o a sviluppare una sindrome da stress post traumatico; e studi precedenti avevano anche rilevato già un’associazione fra atteggiamento mentale verso il parto e queste patologie nel periodo del post parto. Ma come stabilire la catena causale? Questo studio ha esplorato quindi gli atteggiamenti cognitivi ed emotivi prima del parto, evidenziando che uno stato di paura o di aspettative negative e di ansia provoca un maggior rischio di interventi medici durante il travaglio ed il parto, innescando quella catena di eventi che porta a un’esperienza di nascita e parto traumatica.
Poiché un’esperienza traumatica di parto rende a sua volta più difficoltoso l’adattamento post parto, l’allattamento e la formazione di un solido legame con il bambino, risulta fondamentale intervenire prima del parto, durante la gravidanza, con approcci e interventi mirati a sostenere l’autostima e il senso di autoefficacia della donna, ed evitare un approccio medicalizzato che amplifichi la dimensione del rischio e quindi le aspettative negative della futura mamma.
Il testo integrale (in inglese) dello studio può essere letto qui.