Ad ogni mammifero la sua placenta

Ad ogni mammifero la sua placenta

Interfaccia fra madre e feto, e geneticamente parte di quest’ultimo, la placenta permette un equilibrio simbiotico fra i due filtrando messaggi chimici in entrata e in uscita, proteggendo entrambi gli individui da reazioni di rigetto, e secernendo ormoni e neurotrasmettitori che modulano la gravidanza e il parto. Fondamentale è la sua funzione di rene e fegato, che determina il filtraggio delle sostanze che dal sangue materno passano alla circolazione fetale, e la trasformazione di tali sostanze secondo il fabbisogno del nascituro. Per questo motivo, il suo ruolo di barriera è cruciale per il modo in cui i farmaci possono o meno raggiungere il feto.

Questa caratteristica solleva la questione della sperimentazione di nuovi farmaci, che vengono effettuati in una prima fase su modelli animali, generalmente topi, ma anche l’uso di altre specie non modifica il fatto che la placenta è unica per ogni specie e nessuna funziona nello stesso modo di quella umana.

L’aberrazione delle attuali normative

La legge attuale richiede la sperimentazione su animali per poter accettare un farmaco come efficace e non nocivo. Ma ogni animale ha la sua biologia e ciascuno risponderà in modo diverso a una sostanza. Ciò non garantisce nulla riguardo all’uomo. La sperimentazione sui modelli animali permette alle industrie di far accedere alla sperimentazione umana qualsiasi molecola, dato che basta scegliere l’animale che risponde meglio al farmaco e ha i minori effetti avversi, e fare la sperimentazione su quello. 

Poi il farmaco viene preliminarmente accettato e c’è una fase successiva, in cui si osservano i risultati su un ristretto campione di soggetti umani, confrontato con un gruppo di controllo che non assume il farmaco ma generalmente un placebo. È quella, per tutti i farmaci, la reale fase di sperimentazione clinica. In questa fase la farmacovigilanza è attiva, cioè si seguono attivamente i soggetti per verificare eventuali effetti avversi; ma ricordiamo che a causa della mal riposta fiducia nella precedente sperimentazione animale, tale fase è su un campione ristretto e di durata limitata nel tempo.

Superata la fase di sperimentazione ristretta, il farmaco viene immesso sul mercato e la fase successiva è non esente da rischi, per diversi motivi: non si tratta più di una sperimentazione controllata, viene effettuata sulla popolazione reale – con tutte le sue variabili – e non su un campione selezionato di soggetti, la farmacovigilanza è prevalentemente passiva (cioè affidata alla spontanea segnalazione da parte dei pazienti e dei medici di famiglia), e infine tale segnalazioni sono notoriamente limitate, a causa dei bias di chi dovrebbe segnalare e accogliere le segnalazioni (si tende a considerare attendibili solo gli effetti collaterali già descritti in base alle fasi precedenti, e descritte dalle aziende stesse, e a non ritenere attendibili le altre segnalazioni).

Questo sistema permette alle industrie farmaceutiche di convogliare su di sé, e sulle aziende che allevano e smerciano animali da laboratorio, enormi flussi di denaro e di mettere in piedi imponenti operazioni commerciali con nuovi farmaci, attraverso processi di disease mongering (creazione a tavolino di ipotesi di malattie nuove per poter generare la richiesta di nuove molecole) e devia risorse che potrebbero essere investite in metodi alternativi di studio e sperimentazione.

Le alternative esistono

Fra la sperimentazione animale e quella sulle persone c’è in mezzo una quantità di altri metodi, fra i quali:

  • sperimentazione effettuata su tessuti umani e culture cellulari e in vitro
  • studi epidemiologici
  • studi basati su modelli computerizzati
  • studi autoptici
  • ricerche basate sulle biopsie
  • modelli matematici che utilizzano formule per determinare associazioni di farmaci e reazioni; 
  • ricerche genetiche o basate sul DNA.

 Tali forme alternative di ricerca non ottengono facilmente  finanziamenti, perché la legge comunque esige la sperimentazione su modelli animali, inutile, crudele e pericolosa per gli umani successivamente sottoposti a sperimentazione in un clima di falsa sicurezza.

Conclusioni

Nella sperimentazione ristretta su soggetti umani si tende ad escludere ogni categoria fragile, come anziani, bambini, donne incinte o che allattano, non senza buoni motivi, ma di fatto, a causa dell’eccessiva fiducia nella precedente fase di sperimentazione sul modello animale prescelto, quando questo farmaco viene immesso sul mercato sono le donne, i bambini e gli anziani reali a “fare da cavie” senza che il farmaco sia mai stato testato con alcuno dei metodi alternativi descritti sopra. Questo ha portato, nella storia della medicina, a numerosi tragici eventi di effetti avversi anche gravi o letali. Inoltre ciò spesso causa l’automatica indicazione, di tipo cautelativo, delle case farmaceutiche a sconsigliare l’uso dei farmaci per le donne che attendono un bambino o che allattano, proprio per assenza di reale sperimentazione, persino quando la semplice conoscenza della farmacodinamica di una sostanza ne porterebbe ad escludere la pericolosità (su questo argomento potete approfondire con questo articolo). Vaste categorie di gestanti e nutrici vengono così private della possibilità potenziale di accedere a cure necessarie. Schmid e i suoi collaboratori concludono: «Ora che sempre più conoscenze si accumulano sui fattori specifici umani nella funzionalità della placenta umana, dobbiamo considerare che molti aspetti ad essa relativi possono essere compresi solamente sulla base di esperimenti su cellule e tessuti umani, in combinazione con i dati raccolti dagli studi su soggetti umani».

Il testo integrale(in inglese) dello studio può essere letto qui.

Antonella Sagone, 6 luglio 2022

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