Complesso di Edipo: truffati da un oracolo

Complesso di Edipo: truffati da un oracolo

Tutti sanno cos’è il complesso di Edipo: secondo Freud, sarebbe la naturale tendenza del bambino a sviluppare, verso i tre anni di vita, un “innamoramento” per sua madre, e a entrare in competizione con il padre per la conquista della mamma, fantasticando di eliminarlo e di sostituirsi a lui. Questo complesso, che Freud riscontrava talmente spesso nei suoi pazienti da convincersi che fosse una tappa universale dello sviluppo affettivo, fu battezzato con il nome di Edipo, figlio di Laio, che secondo la drammaturgia greca uccise appunto, anche se senza saperlo, il padre e ne sposò la vedova Giocasta, cioè sua madre. Quando infine, dopo molti anni e quattro figli, si rivelò la verità, Giocasta si uccise ed Edipo si accecò, per poi andarsene errando in esilio.

Ancora oggi il fantasma di questa tragica storia incombe come un oscuro vaticinio sulla coppia madre-bambino, minacciando la loro intesa, il loro legame simbiotico; ancora oggi il “superamento del complesso di Edipo” viene sbandierato come una tappa irrinunciabile nello sviluppo dell’Io del bambino che, non c’è bisogno di dirlo, per maturare dovrà staccarsi da sua madre e superare l’antagonismo col padre per poi identificarsi con lui. Ancora una volta, concetti tratti dal mondo della psicologia e della psicoanalisi vengono riciclati in modo improprio, ed utilizzati per fare terrorismo psicologico verso i genitori, inducendoli ad andare contro l’istintivo bisogno di restare in contatto, coccolare, ascoltare e accudire con empatia i loro piccoli.

Sentite cosa dice un’esponente del mondo psicoanalitico:

“Il bambino… deve sentirsi al di fuori della coppia dei genitori e del loro legame più intimo, segreto, di cui il letto coniugale è il simbolo… altrimenti può crearsi dentro di lui l’illusione di potersi sostituire al padre o alla madre, o di poterli separare intromettendosi fra loro. Un’illusione che può interferire negativamente sullo sviluppo di una sessualità rivolta all’esterno della famiglia”    (Silvia Vegetti FInzi)

Anche se il nome di Edipo non è mai pronunciato, pure ammicca da ogni riga.

Una visione patriarcale

Ritengo che questa lettura delle dinamiche precoci fra il bambino e i genitori sia estremamente riduttiva e, soprattutto, di parte: certamente non dalla parte del bambino. Forse in alcuni casi è dalla parte dei genitori ma, più probabilmente, da quella di una cultura patriarcale che di generazione in generazione cerca di perpetuare se stessa. Ritengo che molte delle dinamiche che vengono descritte nel bambino piccolo siano in realtà proiezioni delle dinamiche dei suoi genitori; essi si vedono in lui come in uno specchio distorto. Non è il bambino ad intromettersi aggressivamente nella relazione dei suoi genitori: egli desidera solamente essere in contatto con loro, e cerca presso di loro – e in particolare con la madre – un’ininterrotta e felice relazione fatta di tenerezza e intimità. Chi è in competizione col bambino è in realtà spesso l’adulto, e la relazione che viene quotidianamente minacciata e minata è piuttosto quella, fisiologica e naturale, fra la madre e suo figlio. È l’adulto a voler considerare la relazione di coppia e quella fra mamma e bambino come esclusive e incompatibili.

E proprio il mito di Edipo, inaspettatamente, ci può venire in aiuto per comprendere questi aspetti. Ma dobbiamo sapere dove andare a guardare.

Di Edipo sappiamo tutto. Ma che sappiamo di Laio, suo padre?

Non doveva essere un tipo troppo sensibile ed empatico. Ha attirato sulla sua stirpe la maledizione degli Dei avendo rapito Crisippo, figlio del re Pelope, del quale si era invaghito; a causa di questo crimine fu mandata nella sua città la Sfinge, un mostro con testa di donna e corpo di leone che strangolava tutti coloro che si recavano in città, non sapendo risolvere il suo indovinello. Ma quello che Laio fece a suo figlio Edipo supera ogni altra cosa. Laio aveva tentato di avere un figlio ma la sua unione con Giocasta restava sterile, per cui si recò a Delfi dall’oracolo di Apollo. Da questo apprese come la sua mancata discendenza fosse un bene per lui, poiché una profezia diceva che sarebbe stato ucciso da suo figlio. A questo punto Laio si affretta a ripudiare la moglie Giocasta; lei tuttavia riesce a unirsi a lui dopo averlo ubriacato, e da questa unione nasce Edipo. E allora cosa fa il papà? Appena nato, gli fora i talloni con un chiodo (Edipo significa “piede gonfio”) e lo affida a un pastore perché lo vada ad appendere sul monte Citerone. Questi invece, impietosito, lo affida a un altro pastore che lo porta alla corte del re Polibo, il quale lo raccoglie, lo adotta e lo cresce amorevolmente come figlio.

Che cosa abbiamo finora? Un figlio che attenta alla relazione coniugale dei genitori? Che pretende amore esclusivo? Che minaccia e vuole detronizzare il padre? No, abbiamo un neonato inerme, il quale riceve alla nascita sospetto, freddezza, violenza, invece delle tenere cure che come ogni nuovo nato si aspetta. E abbiamo un padre che attivamente si “difende” dal figlio cercando di ucciderlo e di espellerlo dalla sua famiglia.

Ma vediamo un altro momento interessante del mito. Edipo, ormai adulto, è cresciuto alla corte di Polibo, convinto di essere figlio di quel re e della sua regina. Fino al giorno in cui di nuovo l’oracolo di Delfi tira i fili della sua vita. Infatti gli viene profetizzato che ucciderà il padre e giacerà con la madre. Orripilato dall’idea, Edipo per scongiurare tale destino si allontana da quelli che ritiene essere i suoi genitori e si avvia ignaro verso Tebe. E lungo la strada incontrerà uno sconosciuto (che è in realtà Laio) e verrà aggredito e ferito, di nuovo al piede, dal suo cocchiere. Ne nasce una rissa nella quale Edipo uccide il padre.

Vediamo qui ancora una volta un figlio amorevole e un padre che aggredisce e perseguita. Il viaggio di Edipo verso Tebe nasce proprio allo scopo di proteggere da se stesso quelli che ritiene essere i suoi genitori. Ne ricava invece un riaccendersi del dolore, della ferita originaria, ad opera del suo vero padre. Laio aveva iniziato per primo per l’arrogante pretesa di farsi cedere il passo; e aveva poi fatto aizzare i cavalli contro Edipo passando con la ruota del suo carro sopra il piede di colui che non sapeva essere in realtà suo figlio. Di nuovo abbiamo un padre teso a difendere il suo potere e quello che considera il suo territorio, e dominato dalla paura di essere detronizzato: un’ossessione tipica del patriarcato, e già ampiamente rappresentata dal mito del dio Saturno, che divorava sistematicamente i suoi figli per impedire che gli succedessero.

Manipolati da una profezia

Ma l’aspetto più importante di questo mito forse non è ancora stato messo in luce. In effetti, tutti i personaggi sembrano spinti verso un destino tragico e ineluttabile, ma spinti da chi o da cosa? Sono proprio i vaticini dell’oracolo a indurre Laio a non fidarsi del suo stesso figlio, a percepirlo come un nemico e un rivale e a decidere il suo allontanamento. Sono di nuovo le sentenze dell’oracolo a spingere Edipo a ritenersi indegno della sua famiglia e ad auto-esiliarsi da loro, finendo invece per realizzare proprio la catastrofe che gli era stata prospettata.

Siamo di fronte insomma a una profezia che si autorealizza. Uno schema che anche al giorno d’oggi è tristemente familiare, ma che sembra poco evidente ai più, così come lo era l’aspetto manipolatorio degli oracoli alla gente di Tebe.

Con quale facilità Laio accetta la profezia, tanto da rinunciare senza esitazioni all’amore di sua moglie, e poi a quello di suo figlio, fino a comandare di ucciderlo! Con quale prontezza Edipo crede immediatamente alla profetessa che lo definisce indegno e futuro parricida, accettando questa squalifica di sé come fosse una tara ineluttabile, e fuggendo dalle uniche persone che ama e che lo amano!

E con quale facilità, anche oggi, i genitori sono pronti a credere a quei profeti di sventura che affermano come la natura del bambino sia perversa, da combattere, piegare e modellare con qualunque mezzo per fare del bambino un uomo “retto”!

Anche oggi, ai genitori vengono profetizzati disastri dagli oracoli moderni, quegli “esperti” che avvertono di non coccolare troppo il proprio figlio, di staccarlo dalla madre il prima possibile. Se i genitori non lo faranno, avvertono gli oracoli, il bambino diventerà un piccolo “tiranno” che li schiavizzerà, e la sua sessualità si svilupperà in modo perverso. Per ironia del destino, esattamente come nel mito di Edipo, può essere proprio l’atteggiamento di precoce distacco affettivo che gli adulti pretendono dal neonato, la separazione forzata, l’autonomia prematuramente imposta a produrre una personalità insicura e inappagata, che facilmente può esprimersi attraverso comportamenti aggressivi, rivendicazioni di affetto e conflitti irrisolti.

In questo modo uno schema patriarcale, competitivo e anaffettivo delle relazioni familiari viene indotto e perpetuato di generazione in generazione. Per bocca di questi moderni profeti, è ancora il vecchio Saturno che parla.

Recuperare la visione dionisiaca

Ed è interessante spendere qualche parola in più su chi tira i fili del mito, sull’oracolo di Delfi. Questo oracolo era dedicato ad Apollo, dio solare e patriarcale (contrapposto all’altra anima della antica Grecia, quella dionisiaca, femminile e connessa armonicamente alla natura e alla sessualità). La sua profetessa veniva chiamata la Pizia, cioè Pitonessa, e il pitone sacro era il medium usato per interrogare gli dei e squarciare il velo del tempo. Ma l’abbinamento sciamana-serpente è un binomio che si ritrova in tutta l’antica religione matriarcale della dea. Abbiamo qui celata fra le righe la storia di un’altra detronizzazione: quella della religione femminile, lunare, della madre terra, soppiantata con la violenza da quella patriarcale. La figura della profetessa è sopravvissuta, ma ha cambiato fonte di ispirazione, assoggettandosi al dio maschile e solare.

In realtà non esiste alcun fato, alcun destino ineluttabile. Gli esseri umani scelgono sempre, anche quando decidono di andare contro il loro istinto di amore e di adeguarsi a consigli e a teorie esterne. E si può davvero scegliere diversamente: di non seguire l’autorità ma il proprio cuore. Se Laio non avesse dato ascolto alla profezia, se avesse accolto e allevato amorevolmente suo figlio, questi non sarebbe stato instradato, sui suoi “piedi gonfi”, verso una nemesi inevitabile; la fiducia e il sostegno elargito gli sarebbe stato in seguito restituito moltiplicato.

Allo stesso modo ora i genitori devono avanzare nella consapevolezza di quanto manipolatorie e condizionanti siano le voci che quotidianamente li esortano ad andare contro i loro istinti amorevoli e a non essere, di fatto, “materni” o “paterni”. Se avranno il coraggio di non dare ascolto ai tetri vaticini di chi vuole solamente perpetuare un’ideologia di morte, se avranno la forza di seguire il loro istinto vitale, la catena sarà spezzata e si innescherà un circolo virtuoso fatto di amore e comprensione, entro il quale ogni piccolo nuovo essere umano potrà maturare e fiorire.

 

Antonella Sagone, 30 dicembre 2020

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