L’allattamento al tempo del coronavirus

L'allattamento al tempo del coronavirus

Nonostante la grave emergenza sanitaria di quest’ultimo anno, la vita non di ferma e le madri hanno continuato a partorire e ad allattare i loro figli. E così le nuove norme di prevenzione dei contagi si sono dovute confrontare con le esigenze delle madri e dei bambini.

Cosa fare se una donna positiva al coronavirus è incinta, deve partorire, vuole allattare suo figlio? Come gestire la permanenza in ospedale adeguandosi alle misure preventive ma allo stesso tempo rispettando le esigenze biologiche della diade, che non dovrebbe mai essere separata?

In particolare, rispetto all’allattamento ci si chiede se sia sicuro per il bambino restare vicino alla mamma e ricevere il suo latte, e se il latte materno può proteggere il bambino; mentre a queste domande si sono aggiunte, da quando è disponibile la vaccinazione, quelle relative alla sicurezza e all’opportunità di vaccinarsi durante l’allattamento al seno.

Le linee guida nazionali e internazionali sono abbastanza rassicuranti sia riguardo all’allattamento in caso di mamma ammalata, sia riguardo alla vaccinazione; tuttavia spesso si esprimono in modo dubitativo, prudenziale o semplicemente rimandando le decisioni al medico curante della donna, creando così disorientamento e incertezza sul da farsi.

Le conoscenze sul coronavirus si accrescono e cambiano molto rapidamente, e quindi le indicazioni sanitarie devono, o dovrebbero, adeguarsi altrettanto rapidamente, ma questo non sempre è facile a livello organizzativo, oppure avviene in modo disomogeneo sul territorio, lasciando ampio margine di decisione alle singole regioni o alle singole strutture ospedaliere.

Vediamo allora in dettaglio cosa dice la scienza, e come questi dati sono stati tradotti in linee guida e raccomandazioni dalle istituzioni sanitarie.

Quando la madre che allatta è COVID+

Già nel 2020 l’Organizzazione Mondiale della Sanità si era espressa per ribadire la fondamentale importanza di tutelare il contatto fra madre e bambino e proteggere l’allattamento al seno, quale fattore cruciale di protezione del neonato verso le infezioni, affermando che “Una donna con COVID-19 dovrebbe essere sostenuta per allattare in sicurezza, poter tenere suo figlio pelle-a-pelle e condividere con lui la stanza”.

Sempre l’OMS fin dai primi mesi di emergenza raccomandava che la donna con sospetto o conferma di COVID-19 usasse le precauzioni per ridurre il rischio di contagio, come lavarsi le mani prima di allattare o prendere il bambino, e indossasse una mascherina; se troppo debole per allattare, si raccomandava (e si raccomanda tutt’ora) di fornire se possibile al bambino il proprio latte spremuto, in quanto non c’è alcuna evidenza che il virus passi attraverso il latte. Un documento dell’Istituto superiore di Sanità del maggio 2010 conferma queste posizioni, raccomandando per le donne COVID+ (pur nell’osservanza delle misure anti-contagio, come l’uso di mascherine), sia il contatto pelle a pelle dopo il parto, sia il rooming-in, sia l’allattamento al seno senza restrizioni. Lo stesso è ribadito dalla Società Italiana di Neonatologia (SIN), che sulla base delle ricerche epidemiologiche effettuate, afferma: “Un’eventuale separazione alla nascita del neonato dalla madre COVID-19 impedendo l’avvio dell’allattamento, lo esporrebbe ad un rischio di infezione respiratoria di maggior gravità da parte di altri agenti patogeni”. Inoltre mentre non ci sono dati che mostrino una possibile trasmissione del virus tramite il latte, esistono prove che nel latte di una mamma ammalata di COVID possono essere trasmessi preziosissimi anticorpi specifici. La SIN osserva anche che la separazione fra madre e bambino potrebbe essere inutile, poiché il bambino può essersi già infettato prima che la madre abbia sviluppato i sintomi. Non vi è quindi utilità, anzi è inopportuno evitare l’offerta di latte, e si può lavorare insieme, mamma e pediatra, per identificare strategie di cura che siano compatibili con l’allattamento.

Il CDC (Center for Disease Control) ha emesso a dicembre le sue linee-guida, nelle quali, oltre a riconfermare le indicazioni dette sopra, afferma: “Le evidenze correnti suggeriscono che è improbabile che il latte materno trasmetta il virus al bambino. (…) L’allattamento fornisce protezione contro molte malattie ed è la miglior fonte di nutrimento per la maggioranza dei bambini”.

Queste raccomandazioni “della prima ora” sono state più che confermate dai dati raccolti in questi mesi. Un articolo molto recente (febbraio 2021) della Academy of Breastfeeding Medicine riferisce come alla non separazione fra madre (ammalata) e bambino, al contatto pelle a pelle e all’allattamento al seno era associata una minore quota di ricoveri ed ospedalizzazioni nel neonato.

La politica di separare madri e neonati – concludono i ricercatori – potrebbe portare come conseguenza esiti avversi per madre e figlio, comprese le infezioni del tratto respiratorio come la Sars-COV-2 e l’influenza, particolarmente se poi il bambino viene esposto successivamente”.

Ma cosa succede nella realtà nei nostri punti nascita?

Quando le evidenze scientifiche vengono tradotte in indicazioni di politica sanitaria, non sempre il risultato è coerente. Ragioni di altro tipo – politiche, organizzative, cautelative – entrano in gioco nel processo decisionale.

Uno studio dell’Università di Harvard, condotto in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità e con altri enti accreditati in varie parti del mondo, ha esplorato la realtà delle donne che hanno partorito e dei bambini che sono venuti al mondo in questi mesi di pandemia. I risultati sono sconfortanti, perché a fronte di una conferma della non pericolosità di lasciare madri e bambini in contatto, la prassi nei punti nascita è stata quella di separare le madri sospettate o accertate positive al COVID dai loro neonati. In alcuni punti nascita, addirittura le madri sane sono state separate dai loro figli sulla base di semplici contatti pregressi con persone positive anche se non sintomatiche, fino al risultato del tampone, il che ha significato anche diversi giorni di separazione dopo la nascita. Per decisione cautelativa o anche per semplice carenza organizzativa, a volte non si è permesso a questi bambini di ricevere nemmeno il colostro spremuto delle loro madri.

Ricordiamo che tutte le indicazioni scientifiche mostrano che la separazione non è necessaria nemmeno per le donne ammalate e sintomatiche, quindi non ha veramente ragione di essere per quelle asintomatiche, spesso sane ma semplicemente non testate.

In una lettera a Quotidiano Sanità del 19 gennaio 2021, Il dott. Riccardo Davanzo, presidente del Tavolo Tecnico per l’Allattamento al seno del Ministero della Salute, ha rimarcato questi atteggiamenti ostativi contro l’allattamento al seno e il contatto madre-figlio subito dopo il parto, scrivendo: “L’attuale pandemia di COVID-19 ha evidenziato come sia necessaria una costante vigile tutela dell’allattamento e della relazione madre-bambino, che purtroppo si rivelano fragili, e quindi meritevoli di tutela, di fronte ai possibili fattori interferenti.  Infatti, ad inizio della pandemia queste pratiche erano state drasticamente penalizzate, potremmo dire contro ogni comune buon senso (…) in molti ospedali italiani a distanza di quasi 11 mesi dall’inizio della pandemia, i neonati sani sono ancora tenuti separati dalle loro mamme SARS-CoV-2 positive, sistemati addirittura in incubatrici, anche quando le condizioni generali di salute di entrambi non lo richiederebbero, come chiaramente indicato dalla Società Italiana di Neonatologia. Questo non dipende dalla disponibilità di risorse umane o materiali (facile e usuale alibi) o dalle linee guida (che esistono e sono chiare), ma da inerzia e da tiepida attitudine di fronte all’allattamento e alla sua rilevanza.”

Diritti fondamentali della madre, del padre e del bambino, Conquistati con decenni di lotte e di duro e costante impegno formativo, e ancora ieri a fatica presenti in molti punti nascita italiani, si sono rapidamente volatilizzati nello tsunami delle norme anti-contagio. Si tratta del diritto per il padre (o altra persona a scelta della donna) di poter essere presente al momento del travaglio e del parto, e per madre e bambino di non essere separati, poter effettuare il contatto pelle a pelle immediatamente dopo la nascita, e avviare e proseguire l’allattamento al seno esclusivo e a richiesta. È come se da parte dei punti nascita l’acquisizione di queste pratiche fosse avvenuta non per un reale cambiamento di cultura, ma solo per andare incontro a una richiesta crescente e quindi poter rimanere “appetibili” come opzione a fronte di scelte più radicali ma che stanno guadagnando sempre maggiori consensi, come quella di partorire in casa. Ma appena si è profilata l’occasione di riprendere il “controllo”, ecco che nei reparti di maternità questi spazi sono stati “vaporizzati” nel giro di pochi giorni.

Conclusioni

A fronte di informazioni e pronunciamenti del tutto rassicuranti riguardo alla sicurezza, per la donna che allatta, di mantenere l’allattamento in caso di positività o anche malattia sintomatica COVID, nonché in caso di vaccinazione, occorre battersi perché tali aspetti vengano pienamente acquisiti e promossi dalle istituzioni sanitarie, senza formule difensive e scarico di responsabilità. I dati della scienza allo stato attuale di aggiornamento ci dicono che:

  1. La donna positiva al COVID o anche sintomatica non deve per questo motivo essere separata da suo figlio dopo il parto o successivamente
  2. Deve poter allattare il suo bambino senza restrizioni fin dall’inizio
  3. In caso di impossibilità a prendersi cura del proprio figlio, questo può ricevere latte materno spremuto e non è necessaria né opportuna la pastorizzazione
  4. A maggior ragione queste possibilità devono essere garantite alla madre asintomatica e di cui non si conosce ancora l’esito del tampone.

Le donne devono vedersi restituire il loro diritto alle cure e all’assistenza senza per questo sentirsi minacciate nelle loro fondamentali necessità biologiche ed emotive, come quella di non subire stress e danni da separazione dal loro neonato o dover rinunciare a tutti i benefici di salute e affettivi dell’allattamento al seno.

Per ricevere sostegno e consulenza nella gestione dell’allattamento e nella efficace comunicazione con i propri medici curanti, quando c’è una patologia in atto o la necessità di effettuare terapie la donna che allatta può rivolgersi all’aiuto di una Consulente professionale in allattamento materno (IBCLC), che potrà affiancare i medici per la migliore salvaguardia della salute della mamma e del suo bambino allattato.

Antonella Sagone, 20 febbraio 2021

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