Mi dai un bacio? - Ma anche no!
Spesso i bambini sono oggetto di avide attenzioni, che vanno dalle espressioni esaltate di gradimento, domande assillanti, moine e complimenti, fino alle effusioni fisiche, alle quali ci si aspetta che essi si sottopongano di buon grado.
Tempo fa una mamma in un gruppo si lamentava dell’invadenza dei parenti verso il nuovo nato. “Sono circondata da scimmie!”
Si può solo dire: magari fosse! Le scimmie sono molto più discrete. Nelle tribù di scimpanzé il nuovo nato è sempre addosso alla mamma e nessuno osa toccarlo senza il suo permesso, cosa che avviene in genere solo dopo mesi, per gentile concessione. Al primo mugolio, la mamma se lo riprende immediatamente e nessuno obietta. I fratellini che sono impazienti di toccarlo, i primi giorni, sfiorano il neonato con un filo d’erba o un rametto e poi lo annusano, non osando fare di più. Ben diversa è la situazione nella maggioranza delle comunità umane, dove i rozzi tentativi degli adulti di entrare in relazione coi più piccoli si manifestano senza la minima cura del fatto che il bambino sia d’accordo oppure no. Anzi, troppo spesso si rimprovera il bambino che si sottrae alle effusioni di qualche amico o parente dei genitori, facendogli capire che è buona educazione accondiscendere a queste vere e proprie invasioni del suo spazio corporeo personale.
I bambini che rifiutano la carezza della zia, di dare la mano al nonno, di farsi spupazzare quando non hanno voglia di essere toccati, vengono rimproverati di essere scortesi e maleducati, e le loro madri criticate per aver cresciuto un figlio asociale e per essere “egoiste”, non avendolo abituato ad essere maggiormente condiscendente con i capricci degli adulti. Quest’abitudine di toccare e sbaciucchiare i bambini senza riguardo e senza tenere in conto le loro reazioni di fastidio, o peggio, di biasimarli perché si difendono dalle effusioni non richieste, è un costume pessimo e gravissimo nelle sue conseguenze. Spesso mi sono sentita dire (e così è anche per tutte le madri che tentano di difendere i loro bambini dall’esuberanza dei parenti) che questa presa di posizione è esagerata, che non c’è nulla di male nelle espressioni di affetto degli adulti e che il bambino è solo un po’ timido o male educato, non abituato al contatto (magari per colpa della mamma che è troppo possessiva), e sperimentare altre braccia non potrà che renderlo più socievole.
Ma come si può pretendere da un piccolo bambino, peraltro turbato dall’invadenza e dalla mancanza di rispetto degli adulti, un comportamento adulto di comprensione e di educazione formale, quando tale delicatezza non viene pretesa nei confronti degli adulti stessi che hanno causato il suo atteggiamento (giustamente) ritroso? Chi è l’adulto e chi il bambino?
Che messaggio diamo?
Amici e parenti non dovrebbero pretendere baci e abbracci dai bambini, prima di tutto perché un bambino che viene rimproverato per non accettare di subire effusioni affettuose da parte di un adulto, impara che l’adulto ha questo diritto, persino se lui (o lei) si sente a disagio, e che se resiste o protesta è un cattivo bambino…
Obbligare i bambini a effusioni che non desiderano o rimproverarli se sono riluttanti come si trattasse di una maleducazione, come se le loro sensazioni fossero sbagliate, è una pessima idea, perché disconferma il loro senso interno di limite corporeo, inibisce il loro istinto di rifiutare effusioni non volute, li fa sentire colpevoli e sbagliati invece che nel pieno diritto di difendersi da confidenze fisiche non richieste, aprendo la porta a potenziali abusi da parte di adulti, dei quali magari il bambino non parlerà perché teme di essere “sgridato” per l’ennesima volta.
Quello con cui ho più occasione di confrontarmi nel mio lavoro riguarda il rispetto del corpo e delle emozioni del bambino, quindi è cruciale non consentire né tanto meno incoraggiare il fatto che gli adulti debbano avere la disponibilità dei bambini se hanno voglia di toccarli, prenderli in braccio o baciarli.
La pretesa che i bambini accettino il contatto e le effusioni fisiche anche quando non vogliono o si sentono a disagio va contro questi principi di delicatezza e rispetto, e li rende vulnerabili agli abusi, predisponendoli a diventare vittime della pedofilia. Gli adulti abusanti infatti giocano proprio sulla convinzione comune che sia il bambino ad essere cattivo se si sottrae al contatto, e lo minacciano che se andrà a dirlo in giro verrà sgridato. Un bambino già educato in tal senso più difficilmente riferirà un episodio di abuso, e sarà facile vittima dei ricatti e delle intimidazioni di tali individui.
Che messaggio diamo allora quando minimizziamo o addirittura biasimiamo la ritrosia di un bambino o di una bambina al contatto, o la etichettiamo come “timidezza”, ossia come un difetto da superare?
Il messaggio che si dà minimizzando è: “Quando un adulto vuole toccarti o baciarti, non fa nulla di male, anzi significa che ti vuole bene, ha diritto di farlo, e se provi fastidio sei tu che sei esagerata, e se ti rifiuti sei maleducata”.
Davvero si vuole che questo tipo di messaggio si imprima nella mente di una bambina o di un bambino? Riflettiamoci: vogliamo veramente che i nostri figli si abituino a fidarsi e andare in braccio o accettare baci anche da persone che conoscono appena o che li mettono a disagio?
L’argomento è terribilmente serio. Ogni volta che si scopre con costernazione di un adulto che abusa di bambini, tutti si chiedono come mai nessuno si fosse accorto, come mai nessun bambino si era ribellato o aveva riferito la cosa… in genere il bambino che rompe il silenzio e parla è proprio l’unico che non è stato forzato all’intimità non voluta, su cui non si sono mai allungate o alzate le mani, che è stato rispettato, che è abituato ad essere ascoltato e a cui si dà credito di bisogni e sentimenti.
Prevenire gli abusi
Al mondo esistono brave persone e malintenzionati, e i pedofili si annidano dove ci sono bambini lontano dallo sguardo dei genitori. Questi adulti approfittano dell’autorevolezza e della confidenza che ottengono dai bambini per abusarne. La maggior parte delle donne ha avuto nell’infanzia almeno un’esperienza di abuso o molestia, e nei casi di violenza o abuso serio sui bambini si tratta in prevalenza di adulti conosciuti, nella cerchia familiare o di amicizie. Con questo non sto accusando chi si accosta ai bambini affettuosamente e pieno di buone intenzioni, né sto dicendo che si debba vivere nel sospetto e nella paura, ma sto dicendo che nel momento in cui smettiamo di osservare e ascoltare i bambini e minimizziamo le loro reazioni di rifiuto li rendiamo più vulnerabili a ciò che potrebbe succedere loro in futuro da parte di adulti meno “ingenui”, li esponiamo di più a un rischio al quale tutti, ma in particolare le donne, sono esposti.
L’unica difesa è educare il bambino al rispetto del suo corpo e delle sue percezioni, in primo luogo non abituandolo noi a subire baci e abbracci non richiesti dai vari parenti, a ingoiare cibo non voluto, a farsi vestire quando ha caldo, ad essere gentile e socievole con persone (non importa quanto della cerchia familiare) con le quali in quel momento si sente a disagio.
A ciascuno dei miei figli ho sempre enfatizzato che le sue sensazioni erano la guida più affidabile per capire se un comportamento dell’adulto andava bene o no, se un altro (che sia adulto o altro ragazzo più grande ad es) aveva passato il limite. Gli ho ripetuto spesso che se sentiva disagio nei confronti di un adulto, anche che non aveva “fatto nulla”, anche se non capiva perché si sentiva così, questa sua sensazione era della massima importanza, e sarei stata felice di parlarne con lui (o lei).
Questo era accompagnato dal concetto che il suo corpo era suo e non di altri, era qualcosa di privato a cui nessuno aveva diritto di accedere senza il suo permesso. E che certe parti erano più private di altre.
La prevenzione vera è solo questa, da cuccioli rispettarli, da bimbi più grandi spiegar loro che il corpo appartiene solo a loro e che se si sentono a disagio con una persona, anche fosse l’adulto più autorevole del mondo, la loro sensazione ha valore e va seguita, e che noi genitori siamo sempre pronti ad ascoltare i loro dubbi e i loro disagi.
Si deve partire da lì, rispettare i corpi e le anime dei nostri piccoli, insegnar loro che le loro sensazioni contano e sono veritiere, che hanno un loro spazio privato e una loro intimità che non va violata… se hanno caldo non obblighiamoli a coprirsi, se sono sazi non imbocchiamoli a forza, se non vogliono essere baciati dalla zia facciamo sì che questo loro bisogno sia rispettato, invece di rimproverarli perché il loro bisogno di rispetto è sciocco, sbagliato e dire di no a un adulto è scortese e maleducato.
Spieghiamo a parenti e amici che quel bebè non è il loro bambolotto, ma è un individuo che appartiene a se stesso. Il neonato va rispettato, e non è un giocattolo riguardo al quale si discute chi e quanto ci possa giocare.
Rifiutare la cultura della predazione
Viviamo in una cultura che equivoca i messaggi delle donne (e dei bambini) svalutando e mistificando i “no” come se fossero in realtà dei sì. Rappresentazione di questa idea sono i classici bavaglini “non baciatemi”, che sottintendono proprio invece lo status di “tirabaci”, tanto che spesso specificano “non baciatemi troppo”, oppure “mamma è gelosa”. La ritrosia del bambino è reinterpretata come una schermaglia d’amore in cui l’oggetto dei baci è consapevole di essere desiderabile ma vuole essere “conquistato”. E se la mamma interviene a proteggerlo è perché lo vuole tutto per sé.
Questa idea, che sembra divertente, tenera e affettuosa, è però totalmente avulsa dalla realtà dei desideri del bambino, che ama il contatto e la tenerezza, ma attuati nel rispetto dei suoi tempi, bisogni, situazioni. L’imposizione dei baci diviene, specie per le bambine, addestramento a una remissività che farà parte delle aspettative maschili quando sarà adulta.
Credo sia esperienza di ogni donna trovarsi ad essere fraintesa e pentirsi di aver espresso simpatia, amicizia o confidenza con un membro dell’altro sesso, per dover poi frenare avances non previste e quasi sentirsi in dovere di scusarsi e giustificarsi per l’equivoco e per il proprio rifiuto; come anche il sentire la necessità di misurare le espressioni di amicizia o interesse (magari intellettuale) nei confronti di un uomo, per timore di essere fraintesa. Credo che sia ugualmente esperienza diffusa la frustrazione di non riuscire a dare un messaggio chiaro di rifiuto a un approccio, senza che venga frainteso come “schermaglia d’amore”, anche perché ci è stato precocemente insegnato a non essere scortesi e a dire no con delicatezza per non mortificare l’ego del corteggiatore.
Quanto abbiamo introiettato di questa cultura del “dire no per dire sì” anche noi donne, fino a non essere più sicure se le nostre sensazioni di disagio o di paura siano legittime o siano in realtà un “difetto” causato dalla nostra emotività? Troppo spesso aderiamo all’idea preconcetta che si tratti solo di un costrutto difensivo tipico della donna che poi, in fondo, persino senza saperlo, vuole essere conquistata.
Nascono così, con l’avallo della cultura della predazione, lo stalking, gli apprezzamenti volgari per strada, la mano morta, l’uomo che “forza amorevolmente” una donna senza picchiarla o minacciarla, ma solo facendole pressione e vincendo una sua resistenza. Non viene riconosciuto come abuso, non si è consapevoli che la donna magari cede per fragilità, una fragilità che le è stata innestata in età così giovane da averne persino perso la memoria.
Gli uomini vengono cresciuti immersi in questa cultura violenta, in cui loro sono definiti predatori e le donne prede; e il corteggiamento è un gioco di caccia in cui la preda sfugge ma in realtà ama essere catturata. I segnali che dicono “basta” non vengono recepiti se non come schermaglie, e l’idea che le donne “se la cerchino” è talmente radicata da avere un indegno spazio persino nelle aule dei tribunali ai processi per stupro.
Ecco perché rispettare i segnali di stop di un bambino, anche molto piccolo, che non vuole essere toccato è una questione molto, molto seria, per niente futile o limitata ai “capricci”. Avallare il diritto di “spupazzarsi” un bambino riluttante sottintende e coltiva l’idea generale che un individuo possa accampare il diritto di toccarne e baciarne un altro senza consenso, di “rubare” un bacio e che questa sia in fondo una cosa carina, una schermaglia d’amore. Che sia una donna o un bambino, lo schema è quello, e viene precocemente insegnato proprio inducendo il bambino ad essere remissivo quando viene toccato dagli adulti, anche quando non vuole.
Forse nelle vittime di abuso, o semplicemente nelle persone che subiscono e accondiscendono a concedere il loro corpo anche senza desiderarlo, quel senso di svalutazione del proprio sentire, del proprio senso di giustezza interna nasce dalle esperienze infantili di abuso… e non parlo di quel tipo di abuso, ma della banalità del male, dei piccoli abusi del bambino a cui viene imposto di farsi sbaciucchiare e abbracciare dal nonno o dalla zia quando non vuole, del bambino a cui viene ficcato un cucchiaio in bocca, di quello a cui viene infilato a forza un maglione quando non ha freddo… di quello a cui viene mandato il messaggio reiterato “tu credi di non avere bisogno di questo, ma ti sbagli”… Forse quel senso di vergogna, di colpa, di svalutazione nasce, nel bambino che subisce lo “schiaffetto” o lo “sculaccione”, assieme al messaggio che “se l’è meritato”, e che è lecito che l’adulto alzi le mani sul bambino, che lo fa anzi proprio perché “lo ama”. Un messaggio paradossale, che fa sì che quella vergogna non ricada su chi ha effettuato l’azione violenta o di abuso, ma su chi l’ha subita.
Cominciamo dunque dalle piccole cose. Dal rispettare i confini che il bambino con chiarezza e competenza emotiva esprime. Non sono un rifiuto nei confronti dell’adulto, non significano che quell’adulto vale meno. Sono solo l’espressione del bisogno del bambino di essere rispettato, ascoltato, accolto con sensibilità, con garbo, senza fretta o pretese, ma solo con la gioia di essere apprezzato così com’è, e non “consumato” e accolto solo nella misura in cui si adegua alle pretese dell’adulto.
Accostarsi a un bambino con rispetto e discrezione permetterà di scoprire un tipo di relazione diverso, assistendo con meraviglia al dispiegarsi di uno slancio di affetto autentico, fiducioso e rilassato, dove c’è spazio per l’ascolto reciproco e per l’accettazione incondizionata.
Interessante articolo; ho sempre detestato gli “spupazzatori”, avendo anche io da piccola odiato essere toccata da sconosciuti e parenti invadenti e ho sempre permesso alle bimbe di dire di no e di essere lasciate in pace, ma non avevo mai riflettuto sulle conseguenze piu’ profonde di tollerare l’invadenza altrui.
Fra l’altro,viviamo all’estero e qui c’e’ la sconcertante abitudine da parte di perfette sconosciute di accarezzare la pancia di una donna incinta. Le volte che mi sono trattenuta da dare un ceffone ad una persona anziana per questo non si contano…
grazie Emanuela per aver condiviso… anche io ricordo quando da bambina mi volevano strizzare abbracciandomi o dare pizzicotti alle guance o sbaciucchiare… lo detestavo e mi nascondevo sotto i letti!!
Poi, capisco che certe abitudini dettate dalla cultura sono difficili da contrastare e magari la signora anziana che ti mette la mano sulla pancia si porta pazienza, perché in fondo noi siamo adulte. Ma sui piccoli no perché il loro disagio è assoluto, e dobbiamo proteggere il loro senso di spazio privato!