Allattare non significa essere fuori dal mondo

Allattare non significa essere fuori dal mondo

L’immagine di questo articolo mostra a confronto il modo in cui, in un catalogo di prodotti dell’infanzia, venivano rappresentate rispettivamente la mamma che allatta al seno e quella che alimenta suo figlio con il biberon. Il catalogo è ormai datato, ma le rappresentazioni di oggi non si discostano molto da questa iconografia. Basta fare una rapida ricerca per immagini su Google con le parole chiave “Breastfeeding” e “Bottle feeding” e si noterà una marcata differenza nell’iconografia della donna che dà il seno rispetto a quella che dà il biberon. Come nelle due immagini di questo articolo, l’allattamento al seno è rappresentato in modo romantico, rarefatto, decontestualizzato. I toni sono pastello, prevalgono il bianco, i veli, i pizzi, la morbidezza. Sulle 40 prime immagini mostrate, solo 5 indossano abiti da giorno, colorati, e non si trovano a letto o su divani. In realtà, la metà delle donne rappresentate è in camicia da notte o sottoveste, e si trova a letto. Soltanto un’immagine mostra una donna che allatta fuori di casa, anche se persino questa immagine è sfumata e rarefatta. La donna è rappresentata sempre da sola. I bambini allattati sono tutti neonati o al massimo bimbi di due o tre mesi. La mamma guarda rapita il suo bambino.

Le donne che danno il biberon invece indossano abiti normali, per uscire, a colori vivaci, sportivi, e così i loro bambini; l’ambiente intorno è spesso quello domestico anche in questo caso, ma è più definito, e si tratta spesso del soggiorno; si visualizzano finestre sullo sfondo, ambienti di lavoro, librerie, arredi; diverse di loro si trovano fuori casa, e spesso sono presenti altre persone: il partner, un’amica, un gruppo di donne. La donna a volte fa anche altro: chiacchiera al telefono, legge, cammina, si guarda intorno.

Il messaggio è chiaro: allattare al seno è una cosa poetica, delicata, intima, che avviene nel segreto delle mura domestiche, un idillio che dura pochi giorni o al massimo poche settimane, finché il bambino non passa al biberon e la mamma può riprendere la sua “vita normale”.

Una vista scandalosa

Qualche anno fa fece discutere l’editoriale di una scrittrice e giornalista che criticava aspramente una scena vista per strada: una donna che camminando in una strada affollata allattava il bimbo in fascia mentre parlava al telefono. La giornalista era scandalizzata di come si potesse prestare così poca attenzione al proprio bambino mentre si stava facendo una cosa così importante; compativa il piccolo immaginandolo stressato dalla confusione intorno, dagli sballottamenti, dal rumore. Biasimava la mamma che chiacchierava al telefono di chissà quali futilità invece di sedersi in un luogo tranquillo e allattare come si deve.

Queste reazioni, quando si vede una mamma che allatta in pubblico e fuori casa, ricorrono spesso, e ci si chiede se la mamma non poteva “organizzarsi meglio” in modo da allattare prima di uscire, o portarsi un biberon con il suo latte tirato (sulla questione dell’allattare in pubblico, potete leggere questo articolo).

Non è solo lo “scandalo” di allattare in pubblico, è piuttosto lo sconcerto di vedere che una donna che allatta può anche fare la sua vita, essere nel mondo, relazionarsi, magari persino studiare o lavorare mentre accudisce anche il suo bambino con il gesto più antico del mondo.

È interessante constatare che una donna che dà il biberon è ben accetta nel consesso sociale, e che nessuno pensa stia trascurando suo figlio se non è occhi negli occhi mentre lo nutre e lo tiene fra le braccia. Così come nessuno si sente in dovere di commentare criticamente una coppia di fidanzati che se ne va per strada in mezzo al caos, e magari uno dei due sta telefonando o messaggiando, invece di camminare a mezzo metro da terra, abbracciati e guardandosi teneramente negli occhi per tutto il tempo.

Regole astruse riguardanti come “si dovrebbe” allattare, ad esempio dando quantità definite di latte, allattando in posizioni accuratamente curate, con cuscini adatti, prese asimmetriche, tecniche raffinate di porgere il seno, penombra, orari, rafforzano questa idea che dare il seno sia un’attività delicata e complessa, da effettuare nel privato della propria casa, con un rituale preciso e tanta attenzione ai dettagli.

Allattare fa parte della vita quotidiana

Allattare è un atto quotidiano e una volta passato il periodo di “rodaggio” diviene anche un gesto semplice e automatico, come prendere in braccio o cullare.

Non c’è nessun motivo che impedisca a una mamma che allatta di effettuare anche le sue attività quotidiane, di uscire con il suo bambino, di leggere, guardare la TV, partecipare a una riunione o a una manifestazione, fare shopping, passeggiare con le amiche, telefonare, usare i mezzi pubblici, viaggiare, mangiare fuori casa, fare un’escursione, prendere un aereo: con il suo bambino, magari in fascia quando è il caso, con il seno pronto a disposizione quando serve.

Non solo questo è possibile, ma è esattamente ciò di cui i bambini piccoli hanno bisogno: essere con la loro mamma, ma essere anche nel mondo, e non segregati lontano dalla vita e dalla società.

Non sappiamo se quella mamma che allattava camminando e telefonando stesse facendo chiacchiere futili, o non stesse invece parlando di massimi sistemi, o sbrigando una commissione non rimandabile, o ascoltando le ansie di un parente o di un’amica in crisi, o magari parlando con il suo amante. Ma anche fossero state chiacchiere, chi ha detto che quando una mamma allatta debba chiudersi in una bolla e stare occhi negli occhi? Il contatto e la relazione con il bimbo attraverso l’allattamento avviene a volte con la brezza di primavera, lo scambio di sguardi e la musica in sottofondo; ma altre volte succede con le risate degli amici intorno, la mamma che sfaccenda per casa col bimbo in fascia, o cammina nella confusione di una strada o di un mercato affollato. Di tutte queste cose il bambino gode immensamente, perché ha bisogno non solo degli sguardi nel silenzio e nella penombra, ma anche del movimento e del vociare del mondo, di ascoltare la mamma che parla ad altre persone (fondamentale per lo sviluppo del linguaggio!), insomma di essere “dentro” il mondo della mamma e partecipare alla sua vita. Le poppate sono innumerevoli nel corso della giornata e non è che si fermi il mondo ogni volta, né lo vedo come una mancanza di riguardo verso il bambino, anzi. Significa che per questa mamma l’allattamento fa parte dei normali gesti di accudimento ed ha smesso di essere quella cosa speciale ed eccezionale (cioè fuori della norma) che solo le mamme che hanno una suite sul mare con maggiordomo annesso possono permettersi.

Fuori dalla trappola

Quanta della retorica sulla “liberazione della donna”, che rivendica il diritto femminile di emanciparsi dall’impegno di prendersi cura dei figli, visto come fattore totalizzante, nasce dall’equivoco di aver identificato l’essere madre che allatta, porta in braccio e accudisce i suoi figli, con la rappresentazione distorta dell’angelo del focolare, della madre che si annulla e si segrega in casa, come se accudire i figli e vivere fossero due mondi incompatibili?

La retorica della “buona madre” che sta chiusa in casa e allatta, magari solo in pizzi e trine, senza esporsi agli sguardi altrui, dedicandosi con mille attenzioni al suo bimbo, è una trappola ben congegnata per segregare le madri che vorrebbero invece conciliare l’allattamento e le cure amorevoli con il vivere la propria vita. È un modo per trasformare l’esperienza della maternità, che dovrebbe essere un arricchimento della vita, in un periodo di sacrifici, privazioni, deprivazione sociale e sensoriale. La mamma non ha bisogno di questo, e nemmeno il bambino ha bisogno di questo. Il bambino non ha bisogno di essere separato dal resto del mondo, né di avere una vita ovattata e scandita da ritmi precisi e abitudini rigorose. Che il bambino abbia bisogno di regole, orari, ambienti ripetitivi, pochi stimoli è una mistificazione ed è un’altra trappola (o forse la stessa), che porta poi a incoraggiare quei distacchi precoci dal bambino, ad accelerare la sua “emancipazione” dalla mamma per permettere a quest’ultima di “ricominciare a vivere” e al bambino, magari, di andare all’asilo “perché ha bisogno di socializzare”.

Beh non funziona così. Non è necessario che vada così. Mamma e bambino possono essere felicemente insieme, in simbiosi, e relazionarsi al resto del mondo. La vita continua, e può continuare anche col bambino accanto. Il bambino ha bisogno di una sola costante nella vita: la sua mamma, presente e viva che lo abbraccia, lo allatta, lo porta con sé.

Antonella Sagone, 9 ottobre 2021

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