Analgesia o insensibilità?

Analgesia o insensibilità?

Come è noto, la capacità umana di provare empatia è connaturata nel nostro sistema nervoso: possediamo arre cerebrali i cui neuroni, detti neuroni specchio, si attivano non solo quando viviamo in prima persona sensazioni od emozioni, ma anche quando osserviamo (vediamo, udiamo o pensiamo) altre persone provare tali sensazioni od emozioni.  Alcuni ricercatori quindi si sono chiesti se sostanze in grado di ridurre la percezione del dolore potessero influire anche sui circuiti dell’empatia, riducendo la capacità umana di entrare in risonanza con gli altri e provare compassione. È stato quindi preso in esame l’effetto del Paracetamolo (la ben nota tachipirina), un farmaco antifebbrile e antidolorifico ampiamente usato nella popolazione .Circa un adulto su quattro negli Stati Uniti assume settimanalmente questa sostanza, e in Italia è considerata un farmaco particolarmente «leggero» e quindi dato con estrema facilità anche ai bambini per ogni piccola alterazione febbrile o stato di malessere. Questo farmaco ha poi ricevuto ulteriore popolarità (ma anche sollevato un acceso dibattito accademico) dal fatto di essere stato adottato dalle linee guida per la gestione precoce dell’infezione da SARS_Co-vi2.

Lo studio statunitense è stato disegnato accuratamente, confrontando due gruppi dei quali uno assumeva il farmaco, l’altro un placebo (un liquido in tutto e per tutto simile ma che non conteneva la sostanza). Lo studio era a doppio cieco, cioè né i soggetti, né gli esaminatori, sapevano a quale dei due gruppi apparteneva ciascun soggetto; era inoltre randomizzato, cioè l’assegnazione all’uno o all’altro gruppo avveniva con un sistema casuale.

I soggetti sono stati sottoposti a una serie di situazioni in cui assistevano a scene (o leggevano storie) relative a eventi spiacevoli o dolorosi (sia fisici che psicologici) riguardanti altre persone, come schiacciarsi un dito nella porta, subire un rumore dolorosamente forte, ricevere la notizia della morte di un genitore, o essere bullizzato. La loro percezione delle emozioni altrui (cioè la reazione empatica) sono state poi misurate con appositi test.

I risultati hanno mostrato con evidenza che il paracetamolo ha un effetto di attenuazione della capacità di provare empatia, cioè di percepire e valutare correttamente la sofferenza degli altri. «L’empatia per il dolore e la sofferenza altrui – commentano gli autori – è un motivatore importante per le azioni compassionevoli. La cognizione ed emozione empatica possono anche servire a contenere gli impulsi aggressivi e violenti. Basandoci sulla riduzione, qui rilevata, dell’empatia come effetto farmacologico, il paracetamolo (e forse altre sostanze antidolorifiche) potrebbero interferire con processi sociali di importanza critica per la promozione dell’ordine e dei legami sociali».

Data l’enorme diffusione di questa sostanza e il suo uso spesso promosso proprio come trattamento elettivo anche in bambini piccolissimi, anche neonati, il cui cervello è ancora tutto in formazione e i tracciati dell’empatia tutti da costruire, sarebbe opportuno fare una seria riflessione sull’impatto di questo e analoghi farmaci sul funzionamento emotivo e sociale degli individui e comprendere meglio i meccanismi con i quali agisce, anche per elaborare strategie che riducano il dolore senza avere simili conseguenze.

Il testo integrale(in inglese) dello studio può essere letto qui.

Antonella Sagone, 17 maggio 2022

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