Ritrovare la via dell'amore incondizionato (II parte)
Nella prima parte di questo articolo si è parlato di come la struttura della società si rispecchia nella famiglia, che la trasmette alle generazioni successive; l’approccio educativo è insieme lo specchio e il presupposto di una determinata tipologia sociale.
In una relazione parentale il modo in cui è concepito l’amore è un elemento cruciale. Laddove l’amore dei genitori verso i figli è incondizionato, cioè i figli si amano per come sono, proprio per la loro unicità e caratteristica, l’approccio educativo sarà una guida gentile, temperata dal rispetto per i bisogni e la sensibilità per i sentimenti dei bambini, improntata sulla fiducia reciproca e sull’autenticità.
Dove invece l’amore è condizionato, esso diviene merce di scambio in una relazione in cui l’adulto pretende dal bambino non solo certi comportamenti, ma anche certi sentimenti e pensieri, elargendo affetto solo laddove il bambino si conforma alle aspettative degli adulti.
L’amore condizionato impedisce l’autenticità, e spinge il bambino a rinnegare la propria essenza, per conformarsi alle aspettative dei genitori, fino a dimenticare il suo vero Sé e a rimuovere dalla memoria i ricatti emotivi e le manipolazioni a cui è stato sottoposto.
Questa educazione alienante diviene un addestramento all’obbedienza e alla dipendenza fideistica verso l’autorità, che può rendere l’individuo, una volta adulto, facile preda di analoghi condizionamenti e manipolazioni da parte di regimi totalitari.
Sollecitare uno sguardo critico su questi fenomeni, promuovere un approccio empatico e rispettoso verso il bambino prima e il cittadino poi, diviene particolarmente difficile quando si ha a che fare con una cultura fortemente permeata di pedagogia nera e di demagogia.
Non c’è peggior sordo…
Quando ho incominciato a interessarmi di approcci educativi, mi è apparso come immediatamente evidente che non si può educare un bambino alle buone maniere urlandogli contro, alla gentilezza picchiandolo, alla generosità attraverso i ricatti e all’onestà attraverso le minacce. E pensavo che fosse altrettanto evidente a tutti; ma su questo mi sbagliavo.
“Uno sculaccione non ha mai ucciso nessuno”. “I miei genitori me le hanno suonate e sono venuto su benissimo”. “Me le meritavo, anzi, avrebbero dovuto darmene di più”. “I miei genitori mi volevano bene e proprio per questo mi punivano quando mi comportavo male”. “Oggi i ragazzi crescono viziati e maleducati perché gli si dice sempre di sì”.
Di fronte al tentativo di spiegare che con la violenza, l’imposizione, il ricatto, le minacce non si può educare un bambino alla gentilezza, l’altruismo, l’onestà e la collaborazione, ecco che immancabilmente salta fuori qualcuno che argomenta in modo vivace attraverso queste frasi fatte. Ho scoperto che non è semplice spiegare che la disciplina dolce, la guida gentile come approccio educativo, non significa essere accondiscendenti in ogni occasione con i propri figli, ma rispettare i loro sentimenti e bisogni, tanto quando si dice loro di sì quanto le volte in cui si dice di no. Chi non ha avuto esperienza diretta di questo approccio fatica molto ad uscire da una visione bidimensionale della relazione parentale, in cui c’è chi ha il potere e comanda e chi non ha il potere e deve ubbidire. In questa visione il rapporto fra genitori e figli è una lotta, una prova di forza in cui gli adulti devono mostrare di essere loro a comandare, e l’obbedienza è considerata un valore fondamentale dell’educazione. Questa visione non solo è radicata ma sembra essere indiscutibile, esiste cioè una regola non scritta per cui certe regole educative non possono essere messe in discussione, anzi, non devono nemmeno essere considerate regole, ma “concetti naturali”: le cose stanno così e basta.
La negazione e la rimozione fanno parte dei processi che permettono al bambino di sopravvivere emotivamente in una realtà in cui l’amore dei genitori è condizionato al suo adeguarsi ai loro modelli e aspettative. I meccanismi difensivi possono essere così forti da impedire di vedere la realtà, non solo nell’infanzia, ma anche nell’età adulta. Per questo è abbastanza inutile insistere a cercare di convincere chi fraintende l’educazione rispettosa o ribadisce la giustezza di un’educazione repressiva, inutile portare argomenti scientifici o razionali, perché il motivo della reazione di negazione od opposizione violenta di queste persone non è razionale. Stanno disperatamente evitando, dal loro punto di vista, di soffrire un grande dolore che hanno già provato, anche se non lo ricordano. La verità per loro è una minaccia.
…di chi non vuol sentire!
Negli ultimi due anni mi sono trovata a sperimentare, come cittadina, stati d’animo molto simili a quelli che provo quando cerco di spiegare la guida gentile ad adulti cresciuti con la manipolazione. Ai miei occhi appare più che evidente che l’attuale stile di governo, che stiamo sperimentando nel nostro Paese, è inquietantemente simile a quello che viene esercitato nelle famiglie che utilizzano la pedagogia nera.
I cittadini vengono messi di fronte a un modello univoco di comportamento, opinione, stato emotivo, e ci si aspetta che tutti si allineino secondo la narrazione proposta e si adeguino alle aspettative dello Stato, accettando le ripetute imposizioni come se fossero proprie scelte personali (con tanto di liberatoria). Ogni critica, dubbio, obiezione viene etichettata come deviazione e punita con l’esclusione più o meno esplicita dalla società civile e, se l’opposizione persiste, con il biasimo e la persecuzione, sempre etichettate come azioni effettuate per il bene e la sicurezza della società. La rabbia e la frustrazione delle masse viene alimentata con costanti allarmismi, e dirottata poi sui dissidenti stessi. Così come l’amore, che per sua definizione non può che essere incondizionato, si trasforma in merce di scambio nella famiglia manipolatoria, e viene elargito solo se il bambino si comporta come richiesto, allo stesso modo nel totalitarismo i diritti fondamentali perdono la loro natura intrinseca e diventano un bene da elargire solo a chi si conforma alle richieste delle autorità. i media manipolano le emozioni delle masse suscitando a loro piacimento emozioni positive o negative: dall’euforia e l’entusiasmo fideistico fino all’odio, la paura, l’incertezza. Le autorità utilizzano un linguaggio ambiguo, intrinsecamente contraddittorio, basato su incongruenze e ingiunzioni paradossali. Tutto questo crea disorientamento, ansia, dipendenza e rinforza una vera e propria trappola emotiva fra il cittadino e le istituzioni.
Chi nell’infanzia ha subito un’educazione manipolatoria, se non ha effettuato un percorso di consapevolezza e di rielaborazione, è più facilmente vittima della manipolazione di massa e con maggiore difficoltà può difendersi dai condizionamenti. Coloro invece che per loro fortuna sono cresciuti in una famiglia rispettosa ed empatica, ricevendo amore incondizionato e sostegno a protezione del loro Sé più autentico, presenteranno una sorta di “immunità naturale” verso la demagogia, e non saranno così facilmente manipolabili, vivendo una condizione di “non responder” nei confronti del bombardamento mediatico. Per loro sarà dura rassegnarsi ad essere una minoranza, e prendere atto della refrattarietà della maggioranza della popolazione a qualsiasi appello alla ragione o all’empatia.
Cambiare paradigma
Se facciamo parte della categoria dei pensatori divergenti, capaci di connessione con il proprio nucleo più autentico e quindi difficilmente preda della suggestione collettiva, dobbiamo acquisire consapevolezza che per indurre un cambiamento nella società, per spiegare un diverso approccio educativo, per incrinare la narrazione dominante – tetragona e priva di sfumature, per proporre un recupero del pensiero critico non possiamo utilizzare gli stessi strumenti che vengono usati dai prevaricatori e dai manipolatori delle coscienze. Dobbiamo uscire dalla logica del giusto e sbagliato, del buono e cattivo, del bene e del male e portare il nostro interlocutore entro uno spazio nel quale possa sentirsi abbastanza al sicuro da riprendere contatto con le sue emozioni e i suoi bisogni profondi.
Biasimare i genitori violenti è legittimo ma poco efficace ai fini di un cambiamento di paradigma educativo. Giudicarli non porterà a un cambiamento ma a un rinforzo di certi comportamenti reattivi come rabbia, derisione o negazione, perché questo è funzionale alla cultura dell’odio e della divisione. Per innescare un cambiamento occorre attivare l’empatia.
Occorre andare oltre il biasimo per le botte o le urla e cercare di arrivare al cuore del problema, che per me è quella cecità nei confronti della sofferenza che la violenza educativa genera. La mia priorità allora non è schierarmi in “difesa” dell’adulto o del bambino. La mia priorità è spezzare la catena di violenza e di negazione che si trasmette da una generazione all’altra.
Per la salvaguardia dei prevaricati, dei deboli, dei bambini vittime di violenza educativa, occorre per prima cosa rendere palese la catena di trasmissione della violenza. Questo significa anche aiutare i violenti e i prevaricatori ad aprire gli occhi e vedere il dolore che stanno causando; il che richiede riuscire a riconoscere il dolore che è in loro e che li spinge al comportamento violento.
Allo stesso modo, sul piano sociale e culturale, se ci si trovasse all’interno di una distopia sarebbe ingenuo pensare di poter proporre una visione diversa da quella costituita, facendo appello ad argomentazioni basate sulla ragione e sulle informazioni obiettive. Non c’è possibilità di confronto razionale quando i costrutti emotivi e i paradigmi che descrivono la realtà si basano sulla paura di essere esclusi, biasimati, aggrediti, di restare senza sostegno fisico o sociale, di ammalarsi e morire. Di fronte a un sistema che ha creato dipendenza dall’autorità per poter ottenere il benessere, il riconoscimento e la sicurezza, qualsiasi discorso volto a contestare l’ordine costituito verrà percepito come una minaccia, e la sofferenza e la coercizione subite verranno ancora una volta rimosse, mentre il sistema di ricatti verrà negato e ridefinito come elargitore di libertà basate sul merito.
Se vogliamo mostrare una via differente, dobbiamo prima indicare una via di uscita dal labirinto. E farlo con gentilezza, offrendo l’esperienza concreta dell’accettazione e dell’amore incondizionato, per permettere di sperimentare un altro modo di vivere, per poter toccare con mano che una vita autentica, integra e piena d’amore è davvero possibile.
Il bambino autentico
Il bambino autentico è quello che ha potuto svilupparsi e fiorire senza essere fuorviato da pressioni volte a plasmarlo diversamente dalla sua vera natura; un bambino che ha ricevuto amore incondizionato, cioè è stato accolto nel mondo senza pretese o aspettative, ma unicamente per la gioia di crescere un nuovo individuo, prezioso proprio per la sua autenticità.
Se vogliamo recuperare quel bambino, è importante sapere che lui, o lei, è proprio dentro di noi e aspetta di essere finalmente riconosciuto e amato.
L’amore incondizionato è lo strumento fondamentale per proteggere, accudire e far emergere questo bambino autentico, anche e soprattutto nei momenti storici che più mettono alla prova l’empatia e il rispetto per ogni essere umano.
Questo tema così importante, riassunto in questo articolo, è ora diventato un libro, il mio nuovo libro!
Il bambino autentico è in prevendita a prezzi promozionali fino all’8 giugno, e sarà in libreria dal 21 giugno 2022. Lo potete già prenotare qui, e potete anche leggere un estratto delle prime pagine a questo link.