Per amore, e non per paura

Per amore, e non per paura

Da cosa nasce l’ansia o la sicurezza dei genitori? Cosa fa sì che una madre o un padre possano guardare al proprio bambino fiduciosi che stia bene e che avrà il meglio nella vita? Come trovare un punto di equilibrio fra l’ansia di proteggerlo e la gioia di vederlo sbocciare nel mondo?

Lo psicoanalista Donald Winnicott aveva sintetizzato questo equilibrio con il termine di “madre sufficientemente buona”: una madre cioè non perfetta, ma capace di essere presente e di affiancare il bambino nel suo sviluppo, offrendo sostegno e contenimento ma senza soffocarlo con l’ansia o lasciarlo troppo precocemente a cavarsela da solo.

Ma cosa fa la nostra società, la nostra cultura per sostenere i genitori, aiutarli ad aumentare il loro senso di competenza e quindi diminuire l’ansia e le insicurezze?

Dal boom economico alla società delle emergenze

Qualche giorno fa mi sono imbattuta in una serie di pubblicità degli anni ’70 rivolte ai genitori di allora. Erano i tempi in cui la formula poteva venire apertamente pubblicizzata, e l’allattamento al seno aveva toccato i punti più bassi di diffusione e durata. Per incoraggiare le madri a nutrire i loro figli con i sostituti del latte materno, le industrie inondavano le riviste per neogenitori con immagini di bimbi paffuti, con le “pieghe” ai polsi, sgambettanti e pieni di salute: tutto merito della nuova farina lattea o del nuovo omogeneizzato! Le pubblicità, in generale e quindi anche riguardo ai bambini, si incentravano su immagini incoraggianti, ottimistiche, che mostravano quanto bene avrebbe fatto ai bambini il prodotto X o Y, e quanto felici e avvantaggiate sarebbero state le loro madri.

Era il tempo in cui i prodotti alimentari venivano pubblicizzati perché avevano qualcosa in più degli altri: più proteine, più zuccheri, più latte, più uova, più carne. I bambini venivano svezzati con la pastina glutinata, cioè addizionata di glutine, quindi più proteica. Cosa c’è di meglio di una bella minestrina di brodo di pollo con le stelline glutinate, con aggiunta di tuorlo d’uovo e di parmigiano grattugiato, per far crescere tuo figlio bello ciccio?

Adesso, dagli scaffali del supermercato occhieggiano prodotti che si vantano di essere privi di questo o quell’altro ingrediente: senza zuccheri, senza glutine, senza lattosio, senza proteine animali. Oggigiorno un’immagine di bambino come quelle di quegli anni sarebbe immediatamente scartata perché richiamerebbe alla mente il timore dell’obesità; oggi il genitore preparato sullo svezzamento non è più quello che ha la migliore ricetta della nonna su come mascherare la carne nella minestrina, ma quello che conosce il modo “sicuro” di tagliare i bocconi di cibo per il suo bambino ed ha fatto il corso di disostruzione, ed è quindi pronto a salvare la vita di suo figlio, se malauguratamente dovesse soffocarsi mentre mangia.

Che cosa è successo?

Gli anni 60 e 70 erano ancora figli del dopoguerra, e i genitori di allora erano stati quelli che, come mia madre, avevano un solo pezzetto di pane da farsi durare tutta la giornata: a pranzo ci facevano la scarpetta solo succhiando il sugo, e a cena finalmente lo mangiavano. SI proveniva da uno scenario di bambini smunti e di gente che campava con le provviste della tessera o con l’uovo comprato di nascosto al mercato nero. Mostrare bimbi grassi e massaie felici era il modo migliore per invogliare i genitori ad acquistare prodotti inutili, per una pura e semplice brama di benessere e abbondanza.

Ma alle soglie del 2000 la nuova generazione di genitori faceva già i conti con l’avanzare delle patologie del benessere e del cibo industriale: ipertensione, obesità, malattie cardiovascolari, allergie e intolleranze, malattie autoimmuni. E le industrie, come anche i professionisti che vendevano la loro consulenza nel campo della salute, hanno scoperto che la paura faceva comprare di più della gioia. Le emozioni negative erano un eccellente propulsore per indurre ad acquisti compulsivi: di tutto pur di salvare la vita ai propri figli e non far loro mancare nulla!

Questa virata a favore dell’angoscia collettiva ha governato la transizione dagli anni dell’entusiastica fiducia nel progresso e nell’espansione economica, a quelli dell’incertezza, della precarietà del futuro e di una narrativa tutta incentrata sulla paura, e sull’illusione di poter controllare in modo totale i rischi della vita attraverso misure preventive sempre più pervasive sia sul piano della salute che su quello esistenziale.

La paura è una cattiva consigliera

Dagli anni ’90 in poi ho assistito nel mio lavoro a un crescente clima di ansia e paura nei nuovi genitori. Mentre si perdeva gradualmente la competenza e la fiducia verso le risorse innate di adulti e bambini, prendeva sempre più piede il timore di sbagliare, di causare danni, di avere come genitori il bisogno di una guida “esperta”, spesso identificata nel pediatra o in altro specialista sanitario. Dall’approccio anarchico al cibo del secolo scorso, si è giunti oggi alla scuola dei “tagli sicuri” (quanti millimetri per lato?) e ai corsi di disostruzione, mentre il rischio della morte inspiegabile nel sonno (SIDS) veniva (volutamente?) confusa con la morte per schiacciamento, facendo da propulsore per una campagna a favore del sonno solitario del bambino, con tanto di ciuccio e lontano dal letto dei genitori: tutto fondato su raccomandazioni OMS a loro volta basate su studi finanziati da aziende produttrici di ciucci e di lettini per bambini.

Le ultime generazioni di genitori sono state a loro volta bambini già privati delle esperienze più spericolate, come arrampicarsi sugli alberi, sbucciarsi le ginocchia su carretti improvvisati lanciati giù per i vicoli, giocare a rotolarsi nei prati, a tuffarsi in mare nei cavalloni o a scavare piste nella sabbia o nel fango. Genitori quindi che non avevano esperienza diretta né dell’immensa gioia vitale di essere liberamente selvatici, né della consapevolezza che il rischiare e il farsi male non comporta necessariamente la malattia e la morte, ma anzi in una certa misura fa parte dell’essere vivi e sani.  

La ricerca della sicurezza, l’illusione di poter controllare il futuro attraverso una meticolosa prevenzione di ogni possibile rischio (illusione totalmente avulsa dalla realtà), ha portato i genitori a pensare di avere diritto e possibilità a un costante stato di benessere e felicità mai turbata da incidenti, delusioni, errori o dispiaceri. Purtroppo, tuttavia, le emozioni non si possono bandire in modo selettivo: rinunciare a dolore e collera porta con sé anche la perdita del piacere e della gioia. E alla fine il rimosso si accumula sottotraccia causando un senso di rabbia e di paura indefinite ma costantemente presenti.

I genitori non si accontentano più di essere “sufficientemente buoni”, e in un vano inseguimento della perfezione sperimentano un senso di inadeguatezza irrimediabile, con la ricerca di indicazioni sempre più semplicistiche e stringenti su cosa fare in ogni frangente.

Su questa insicurezza si inseriscono le aziende che devono vendere i loro prodotti, che siano oggetti o servizi, creando nuove malattie, nuovi pericoli, nuove carenze sempre più minacciose, ma facilmente prevenibili con semplici integratori, apparecchi per monitorare e decodificare i pianti del bambino, costosissimi omogeneizzatori, farmaci preventivi miracolosi, tabelle e regole sempre più prescrittive e limitanti. Gli esperti prendono in mano la situazione e, infantilizzando i genitori, assumono il ruolo paternalistico di guidarli in tutto e per tutto, salvo essere a loro volta, specie in ambito sanitario, anch’essi svuotati di competenza autonoma e trasformati in meri esecutori di protocolli e linee guida, che dovrebbero proteggerli dal rischio di essere denunciati se una qualsiasi cosa “andasse storta”.

Riprendiamoci la Vita

La paura è una cattiva consigliera, che allontana dalla connessione con i propri sentimenti, bisogni, legami affettivi, e conduce a scelte e comportamenti di autolimitazione e di mortificazione degli slanci più vitali. Il senso di sicurezza viene delegato a regole rigide e strumenti tecnologici, e si affianca a una profonda sfiducia nelle proprie competenze e in quelle dei bambini di sapersi autoregolare e gestire saggiamente la propria vitalità. In altre parole, la sicurezza si ricava da una sorgente esterna, creando dipendenza da altre persone e da oggetti, invece di incentrarsi sul proprio senso di giustezza interna e sulla connessione con i propri istinti vitali.

Ma una autentica e duratura sicurezza si basa invece sulla competenza e sulla fiducia reciproca. Occorre che i genitori prendano coraggio e si mettano ad osservare i loro figli mentre si muovono liberamente nell’ambiente. Se non ci sono adulti intorno a dir loro “Attento, cadi!” difficilmente cadranno; se hanno la possibilità di gestire il cibo con le mani invece di essere imboccati in posizione semidistesa, difficilmente soffocheranno; se possono contare sull’amore incondizionato dei loro genitori, difficilmente resteranno segnati emotivamente dalle avversità e dalle inevitabili delusioni della vita.

Accettare la componente di rischio della vita non significa essere incoscienti o noncuranti, ma essere discretamente presenti nella vita dei propri figli, affiancandoli senza trattenerli dallo sperimentare, offrendo esempio più che regole, comprensione più che consigli, ascolto più che prediche.

Per ritrovare la connessione con la vita nell’educazione dei nostri figli, non servono metodi o ricette, basta scegliere di farsi guidare non più dalla paura ma dall’amore e dalla fiducia in loro e in noi stessi.

Antonella Sagone, 4 giugno 2022

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