O mangi questa minestra…

O mangi questa minestra...

…O voli dalla finestra! Minacciavano i nostri genitori con piglio feroce.

E quasi sempre, almeno per un po’, almeno entro certi limiti, ci piegavamo ad accontentarli, sia pure sulla base della paura e non per convinzione.

Da psicologa, da madre e da persona che è stata una bambina forzata a mangiare, ho molto da dire su questo argomento.

Sono stata una bambina vittima del dover mangiare per forza, ossessionata dal piatto da vuotare. Che odiava il momento del pasto, temeva il suo avvicinarsi. A tavola erano lacrime, urla, filastrocche, favole, ricatti, promesse di premi, minacce. Ancora oggi, vedere bambini imboccati mi evoca il ricordo del boccone proteso verso la mia bocca e mi fa venire voglia di buttare tutto all’aria.

Cosa c’è di peggio dell’essere ingozzata a forza con un cibo che ti disgusta? Ve lo dico io: è subire questo abuso proprio dalla persona che più ami e che più ti ama.

L’atavica paura della fame

Ma perché tanto accanimento a forzare i bambini a mangiare quando manifestano chiaramente che non vogliono?

Ci sono tanti aspetti da considerare. Il primo aspetto è che la nostra cultura è convinta che i bambini resistano sempre ai cambiamenti, che siano bloccati dall’abitudine e quindi che ogni nuova acquisizione vada forzata. Per quanto riguarda il cibo, la pratica di introdurre alimenti solidi troppo presto (prima dei 6-7 mesi), quando il bambino non è ancora pronto né interessato, ha rafforzato questa idea erronea che egli non voglia mangiare. Agli adulti viene inculcata la falsa idea che spetti a loro “far mangiare” i propri figli, altrimenti non lo farebbero mai di loro iniziativa.

Vi è poi l’altra errata convinzione, che dopo i primi mesi il latte materno non sia più nutriente, ed ecco nascere l’ansia che i bambini mangino da subito grandi quantità di cibo, e la paura che si lascino morire di fame se non si interviene.

E le scorse generazioni lo sapevano bene cosa significava patire la fame, essere malnutriti, essere cagionevoli per mancanza di proteine e di calorie. Mia madre ha vissuto gli anni della guerra: fare la spesa con la tessera annonaria, le zuppe di crescione raccolto nei prati, il pane che scricchiolava sotto i denti perché c’era il gesso, e con cui faceva la scarpetta, succhiava il condimento e poi lo incartava nel tovagliolo per mangiarlo solo a sera.

Intere generazioni che hanno vissuto precarie condizioni alimentari, per cui dar da mangiare ai propri figli era una lotta quotidiana per la sopravvivenza, hanno lasciato forse non solo un istinto a sovralimentare, ma anche forse una traccia epigenetica. Alla guerra è seguita una generazione facile preda della cultura dell’ingrasso, quando il bambino sano era quello coi rotoli di ciccia e la formula per lattanti era al suo massimo splendore pubblicitario.

Ma tutto questo era un incubo per tutti quei bambini forzati a mangiare.

Autoregolazione, questa sconosciuta

Le madri che forzano i loro figli a mangiare nonostante l’evidente e disperata opposizione dei bambini sono state obnubilate dalla pressione sociale e culturale, o forse sono a loro volta vittime di analoghi abusi. Sono dominate dalla paura di sbagliare e far del male ai loro figli, ma paradossalmente spinte a farlo proprio forzandoli. Sono come quegli altri genitori che lasciano piangere i bambini da soli di notte, piangendo anche loro in un’altra stanza.

Come quei genitori, anche quelli che forzano i figli a mangiare sono fuorviati da “esperti” più o meno accreditati, gli stessi che terrorizzavano le loro madri quando erano delle piccole bambine: perché senza carne ogni giorno, senza latte ogni giorno, senza il brodo di pollo grondante grasso, senza l’uovo sciolto nella minestrina, sarebbero certamente morte di fame o quantomeno cresciute stentate e malaticce.

Ma è davvero possibile che i bambini siano così ostinati da non voler mangiare fino a lasciarsi morire di fame? Che siano così incapaci di capire di quali nutrimenti hanno bisogno, da spingersi fino a rifiutare cibi indispensabili così, per capriccio?

Nel suo best seller Il mio bambino non mi mangia, il pediatra Carlos Gonzales parla diffusamente di questo aspetto, sottolineando come le capacità di autoregolazione dei bambini siano ampiamente sottovalutate. Cita inoltre (p. 69) delle ricerche che mostrano come, lasciati liberi di scegliere fra un sano assortimento di cibi, i bambini in realtà si nutrono bene nel medio periodo, anche se con modi apparentemente caotici:

I bambini mangiavano la quantità che volevano dell’alimento che volevano, senza che nessun
adulto condizionasse in qualche modo la loro scelta. Per mesi, la crescita dei bambini fu normale e l’apporto di fattori nutrienti a media scadenza fu adeguato, sebbene le variazioni tra un pasto
e l’altro fossero tremende: “l’incubo di un dietologo”. I bambini mangiavano a volte “come un uccellino” e a volte “come un cavallo” e passavano attraverso periodi nei quali mangiavano solo
uno o due alimenti per alcuni giorni, per poi dimenticarli. In una maniera o nell’altra, alla
fine, riuscivano a combinare il tutto in maniera da consumare una dieta equilibrata.

Naturalmente, la capacità di autoregolazione dei bambini si è messa a punto in millenni di selezione in ambienti naturali, che non offrivano l’opportunità di cibi che, in poco volume, concentrassero alti livelli di zuccheri o proteine, come è invece per i cibi industriali. Questo significa che ci si può aspettare nel medio periodo un’alimentazione adeguata dal punto di vista calorico e nutrizionale, da bambini che possono liberamente scegliere fra un assortimento abbastanza ampio (almeno una dozzina) di cibi non artefatti, il più vicino possibile al loro stato naturale; ma se l’assortimento comprende dolciumi, cibi iperproteici, snack molto salati ma con pochi nutrienti, questo meccanismo di autoregolazione può saltare.

Per gli adulti è difficile credere nella capacità di autoregolarsi, se si soffermano a osservare i singoli pasti dei bambini, dato che invece nel breve periodo i pasti sono spesso molto diversi l’uno dall’altro per calorie, quantità, valore nutrizionale, tipo di cibi scelti. Per non parlare dell’impegno che spesso il genitore ha messo nella preparazione di un pasto sano, equilibrato e ricco delle quantità raccomandate dei vari nutrienti… maggiore è l’impegno, più acuta sarà la frustrazione e la delusione davanti a un rifiuto. Ed ecco che le scelte del bambino vengono definite “capricci”, e si procede a forzarlo a mangiare.

Forzare a mangiare è un abuso

Sono parole forti, ne sono consapevole, ma vorrei fosse chiaro che non implicano un giudizio o una colpevolizzazione dell’adulto che forza a mangiare. La cultura dominante si adopera per rafforzare il fraintendimento dei segnali del bambino, bollandoli come capricci o ricatti emotivi, minimizzando l’impatto sul bambino di un boccone introdotto in bocca a forza, enfatizzando rischi del non vuotare il piatto e benefici di fornire una “buona educazione” a tavola.

La cultura del “far mangiare” è alla base di possibili futuri disturbi alimentari, perché lega l’assunzione del cibo a una serie di aspetti che nulla hanno a che fare con la necessità di nutrirsi, ma riportano alla relazione con le figure parentali, a questioni come l’essere accettato, amato, ascoltato o al contrario doversi adeguare ad aspettative che vanno contro il proprio senso di fame e sazietà, accettare di subire una violenza “amorevole”, legando l’idea di cura a quella di abuso.

Io non condanno mia madre per come ha gestito il momento del cibo, perché so cosa c’è dietro.

Ma ora vi racconto come si sente una bambina a cui viene infilato in bocca un cucchiaio con qualcosa che non voleva mangiare né inghiottire.

Sente un’intrusione nel suo corpo. La prima impressione è di panico, per la paura di soffocare. Poi subito dopo il disgusto e la costernazione che questo brutto tiro viene da chi più ami al mondo, e di cui ti dovresti fidare. Senso di tradimento. Disperazione, perché vorresti sputare ma sai che è inutile, ti verrebbe ficcato in bocca di nuovo il disgustoso boccone. Voler fuggire, essere altrove. Sperare che sia l’ultimo e invece no, vedi nel piatto gli altri bocconi e sai che questa violenza ti toccherà ancora molte volte. Sapere che è meglio arrendersi che lottare, tanto non puoi vincere. Meglio muovere la bocca il meno possibile, così forse puoi anche far finta che il boccone non sia lì… finché non ti viene imposto di inghiottirlo. Fiumi d’acqua, sorso dopo sorso, deglutiti tentando di mandar giù, mentre tua madre ti incoraggia dicendoti che puoi farcela. Trattenere il senso di disgusto. Pensare ad altro mentre mandi giù e ancora e ancora arriva un altro boccone. Il tutto con una mamma che resta amorevole ma determinata.

Imparare che da chi ami puoi subire violenza e che questa violenza è amore.

Quanti danni emotivi nascono da questo braccio di ferro intorno a un piatto? E pensate anche ai danni per i genitori, che si sentono a loro volta giudicati come negligenti se non si impegnano a far mangiare il loro bambino. Nonostante tutto nel suo comportamento segnali la sofferenza e il rifiuto, “devono” imporgli questa violenza, pensano, o ne avranno dei danni. Anche per loro il momento dei pasti è un incubo, e una volta terminato, fra lacrime, minacce, blandizie, trucchi per distrarre, la loro autostima è un po’ meno di quando hanno cominciato, e così la fiducia nelle capacità del bambino di sapere cosa è bene per lui o lei.

Conclusioni

Accompagnare i bambini ad apprezzare i cibi solidi è un percorso che oggigiorno ha bisogno a volte di un accompagnamento per i genitori, per recuperare un sapere ormai dimenticato riguardo a ciò che un bambino può fare, sa fare, vuole fare quando impara a nutrirsi. Alcune informazioni su una sana alimentazione sono utili per sapere come offrire un buon assortimento di cibi salutari, tuttavia è importante sapersi discostare dalle indicazioni troppo tecniche, medicalizzanti e ansiogene con le quali la nostra cultura, dietro anche la spinta di enormi interessi degli alimenti per bambini, assilla i genitori nella fase dell’introduzione dei cibi solidi.

Tornare a confidare nell’autoregolazione dei bambini può offrire l’occasione di scoprire, anche per quelli che non avessero già sperimentato l’autoregolazione dell’allattamento al seno a richiesta, le incredibili capacità del bambino di gestire il cibo secondo le proprie necessità nutrizionali. Questo approccio innesca un circolo virtuoso che aumenta l’autostima di genitori e figli, incrementa il senso di autoefficacia e crea un clima piacevolmente conviviale a tavola, facendone un momento di piacevole e rilassato scambio sociale.

Nel prossimo articolo, tratteremo su che cosa fare quando effettivamente il bambino si rifiuta di mangiare.

Per un approfondimento sull’apprendimento a mangiare, leggete questo articolo.

Se avete bisogno di affiancamento, sostegno, chiarimenti o aiuto in relazione al passaggio ai cibi solidi, potete richiedere una consulenza presso una IBCLC.

Antonella Sagone, 13 aprile 2023

2 thoughts on “O mangi questa minestra…”

  1. Simona ha detto:

    Condivido in parte il suo discorso e mi piacerebbe invece che Lei, indicandomi quale parte del mio ragionamento non è funzionale al giusto approccio all alimentazione del bambino,mi desse la capacità di condividere in toto il suo discorso. Per me l alimentazione è salute,l alimentazione è nutrimento non riempire la pancia, pertanto offro ai miei figli 5 e 9 anni,gli stessi pasti che preparo per noi, ovvero le giuste porzioni di verdure accompagnate da cereali, proteine sali minerali ecc. prediligo le proteine dei legumi, ma alterno anche con proteine animali, comunque non le mischio mai.prediligo i cereali che apportano anche sali minerali e proteine,proprio per sopperire alle poche assunte per limitazione delle proteine animali…tutto questo per dirle che non lascio al caso la preparazione dei pasti…lavoro e non ho il tempo di preparare 5/6 portate…ho giusto il tempo di preparare piatto unico x pranzo e piatto unico ma diverso x cena,merende, zaini e borsoni…Se non vogliono mangiare,nessun problema,ma poiché ritengo che non mangino perché non hanno fame,non offro alternative…la sera si ricomincia da dove hanno lasciato…si saltano le merende e via dicendo…Il problema è che non mangiano non perché non hanno fame,ma perché iniziano ad essere selettivi,schifiltosi e condizionabili(quando erano piccoli mangiavano tutto senza tante storie…dalla quinoa alle bietole a tutti i legumi)…ecco,condivido sul jon insistere…di fame non muoiono, si autoregolano per le quantità ma che siano capaci di stabilire cosa è più o meno nutriente per il loro organismo,davvero no

    1. Antonella Sagone ha detto:

      Cara Simona,
      mi stai descrivendo uno stile alimentare senz’altro molto sano ed adeguato. La fase selettiva mette in crisi tutte le famiglie, ma sembra sia una tappa abbastanza obbligata… che si recupera nella pre-adolescenza, se nel frattempo non si è instaurato qualche meccanismo disfunzionale intorno al cibo. Il tuo approccio rilassato quanto basta mi sembra un buon compromesso. Certo si fa del nostro meglio, comunque l’autoregolazione del bambino non è sul singolo pasto ma nel medio periodo. Un buon assortimento di frutta e altri cibi a pronto consumo possono offrire una certa scelta a tavola anche senza dover preparare più portate. Comunque per rispondere a domande come la tua ho in preparazione un altro articolo, che dovrebbe essere pubbicato il 27 aprile. Tieni d’occhio la bacheca!

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