Ma che bisogno hanno le madri di allattare?

Ma che bisogno hanno le madri di allattare?

Quando una mamma dà il seno a un bambino non più neonato, specie se già parla e cammina, molti presenti restano sconcertati e si chiedono il senso di questo gesto. Una delle idee che sorgono, a causa dei pregiudizi culturali con cui l’allattamento viene visto nella nostra società, è che la mamma stia forzando il bambino in una relazione regressiva, che il bambino non abbia bisogno del seno ma sia la mamma a soddisfare un suo bisogno.

Possono essere definite morbose, con delirio di onnipotenza, egoiste, iperprotettive, narcisiste e qualsiasi altro aggettivo che sottindenda una ragione disfunzionale materna per il “prolungamento” di un allattamento che si presume superfluo dopo che il bambino ha imparato a mangiare.

Dove sta la fisiologia

Quando 40 anni fa sono uscita fresca di laurea dalla facoltà di psicologia, anche io avevo delle idee diciamo lontane dalla realtà per quanto riguarda l’allattamento, e mi davo varie spiegazioni psicologiche rispetto all’allattare “troppo” o “troppo poco”. Però io ho avuto la fortuna, negli ultimi 30 anni, di conoscere tante mamme che allattavano, i loro padri, le loro famiglie, veder crescere quei bambini e quelle bambine (attualmente alcune di loro hanno figli che allattano), e questo mi ha permesso di capire meglio quale sia lo standard fisiologico dell’allattamento. La nostra cultura purtroppo fornisce degli standard falsati e ci fa percepire come stranezze o comportamenti aberranti pratiche che sono semplicemente il nostro standard psicobiologico.

Dai commenti di molte persone sembra di capire che ritengano l’allattamento semplicemente un modo per nutrire il bambino che dunque, a una certa età, si presume passi al cibo solido e abbandoni l’allattamento. Se questo non succede, quindi, ci si chiede perché non lo fa.

La realtà biologica è tuttavia un’altra. Il latte materno è una forma di sostegno biologico totale per il bambino nei primi anni di vita, di cui la parte nutritiva è circa il 15-20%. Dopo la metà del primo anno il bambino comincia a mangiare cibi solidi e dopo un certo tempo farà pasti a tavola, ma l’allattamento continua (a meno che non venga interrotto per qualche motivo), e per una quantità di buoni motivi.

I bisogni del bambino

A volte ci si chiede quali altri bisogni soddisfa il bambino chiedendo il seno, come se il seno stesse sostituendosi a modi più opportuni di soddisfare bisogni diversi da quello nutritivo. Ebbene, prima di tutto poppare, anche dopo i primi mesi, risponde a bisogni di salute (grazie a tutti i componenti non nutritivi del latte materno: di protezione, di modulazione dei sistemi biologici e immunitari, con i fattori di crescita e molto altro). Ma certo il bambino non va al seno solo per nutrirsi, anzi non va “per nutrirsi”: va perché poppare al seno è bello, piacevole, lo fa star bene e se ha fame o sete gli passa quel senso di malessere, se ha sonno lo aiuta a dormire, se è nervoso lo calma, e così via. Poppare risponde a tanti bisogni, non ultimo quello di relazione, contatto e connessione con la mamma. Un bambino grande, che parla e cammina, continua ad andare al seno esattamente per gli stessi motivi di quando era più piccolo: fame, sete, salute, sonno, bisogno di suzione, di contatto, di tenerezza. Contemporaneamente, fa una quantità di altre cose che prima non faceva: mangiare, giocare, andare a scuola, relazionarsi col papà e con una quantità di altre persone, esplorare l’ambiente, imparare. Perché l’allattamento è un affiancamento, non una competizione con tutte le altre funzioni evolutive del bambino.

I bisogni della mamma

Ma ci si chiede anche quale sia il bisogno della mamma quando offre il seno a un bambino oltre l’anno. Per rispondere devo prima dare un’altra informazione che spesso non si conosce sull’allattamento: è il bambino che sceglie di poppare, non la mamma che decide di dare il seno. Poppare è un’azione attiva. Allattare è qualcosa che il bambino fa alla mamma e non viceversa. Un bambino che non desidera poppare in un dato momento, non poppa, e non c’è modo di forzarlo, come potrebbe invece succedere infilando in bocca un biberon o un cucchiaio di cibo. Ci sono proprio problemi tecnici, perché il seno è morbido e senza collaborazione non può essere poppato.

Quindi la mamma che offre il seno a quel bambino “troppo grande” agli occhi di molti, sta rispondendo a una richiesta, esplicita o anche non verbale (come tante altre volte in cui magari lo prende in braccio, lo bacia, lo culla, gli chiede cos’ha, anche se il bambino non ha “parlato”). E se la mamma ha frainteso, possiamo stare sicuri che il bambino la guarderà come a dire: “Ma che vuole questa?” e se ne andrà a giocare.

Quali sono dunque i bisogni di una madre che “ancora” allatta un bambino grande? Che cosa la spinge a offrire il seno al figlio nonostante questo significhi tempo, energia, ma soprattutto lo sfinimento di sopportare occhiatacce, domande futili e commenti, o sostenere discussioni infinite e ripetitive con amici, parenti, pedagogisti, maestre, pediatri, fisioterapisti, avvocati, psicologi, osteopati, dentisti, negozianti, perfetti sconosciuti? (DISCLAIMER: non ce l’ho con nessuna categoria in generale, ma in ciascuna ci sono molti che restano perplessi o criticano apertamente l’allattamento dopo i primi mesi).

Forse il bisogno della mamma è andare incontro alla richiesta del figlio, perché non le sembra una cosa così strana. Così come lo prende in braccio quando tende le braccia, o lo consola quando lo vede agitato o triste. È il bisogno che nasce da quella “preoccupazione materna primaria” che noi psicologi abbiamo studiato per l’esame di psicologia dell’età evolutiva, ma più semplicemente e in senso più ampio è il bisogno di far qualcosa quando vediamo un’altra persona in stato di necessità e noi abbiamo una risposta che può aiutare. Si chiama empatia; si chiama responsività materna.

E no, non mi risulta che allattare faccia sentire “potenti” in modo particolare. Non dopo che hai allattato per un migliaio di giorni, una media di 8 volte al giorno, e poi magari ancora per altre decine di mesi. Queste mamme, quando il figlio si disinteressa definitivamente (e succede sempre, posso garantire, e molto prima della sua laurea o del suo matrimonio), possono provare un po’ di malinconia nel constatare quanto in fretta il loro cucciolo è cresciuto, così come farebbero al suo primo giorno di scuola, ai suoi primi passi, al suo primo viaggio da solo, alla sua prima fidanzata o fidanzato. Ma non per questo lo trattengono, anzi, un respiro di sollievo un po’ ci sta.

Allattare oltre i primi mesi è rischioso?

Rischi per il bambino:

che cresca con una base affettiva sicura, un solido senso di integrità ed autoefficacia; che non abbia paura della tenerezza, che sia fiducioso e aperto verso il mondo, che abbia sensibilità ed empatia da vendere… tutte cose insomma un po’ rischiose in questo mondo così cinico, materialista, competitivo, anaffettivo, permeato di narcisismo. Saranno un po’ delle mosche bianche, se questo è per loro un bene o un male potranno dirlo solo loro stessi, ma tendo a pensare che l’autenticità e l’integrità affettiva siano comunque un vantaggio anche in tempi difficili.

Rischi per le madri:

di essere continuamente giudicate, dover rispondere a domande sciocche, dover decidere ogni volta quando non vale la pena di aprire una spiegazione infinita e si fa prima a lasciar perdere (che non significa scappare dai confronti, ma scegliere), e quando invece vale la pena di mettersi a discutere, col pericolo però a volte di esprimersi con esasperazione e passare da “intolleranti alle critiche”.

Insomma scegliere di accompagnare il bambino nel suo percorso di allattamento fino al suo termine naturale, crescendo insieme a lui anche in questo cammino, è impegnativo e socialmente faticoso. Ma di fatto, molte mamme lo fanno, come fanno altre cose legate al prendersi cura dei figli, non per chissà quale bisogno profondo, ma semplicemente perché lo sentono come la cosa giusta e ovvia da fare… nonostante tutto!

Antonella sagone, 20 luglio 2023

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