Come fare perché mio figlio si "svegli" un po'?
Luigi è un bambino contemplativo, di carattere mite, che ama i giochi tranquilli come le costruzioni, e preferisce starsene per conto suo a disegnare piuttosto che tuffarsi nella mischia di un gioco rumoroso con gli altri bambini. Nonostante questo è socievole, ma ha selezionato le sue compagnie fra bambini come lui ed evita le situazioni di competizione.
Laura è timida e molto sensibile, e spesso subisce prepotenze da parte dei compagni, come vedersi sottratto un giocattolo; le sue proposte di gioco sono poco seguite e lei finisce per adattarsi sempre alle pretese degli altri.
I loro genitori sono preoccupati che i figli non riescano a “farsi valere” o che vengano facilmente bullizzati; ma non sanno bene cosa dire o fare. Esortare Laura ad essere più assertiva? Ma come insegnarlo? Oppure spronare Luigi a cimentarsi di più nelle attività coi compagni? E se subiscono una prepotenza, devono rispondere a tono? Rivolgersi all’adulto? O devono trovare da soli il loro modo di cavarsela?
Ogni bambino ha il suo carattere
A volte il carattere di un bambino non risponde alle aspettative dei genitori. Certe ritrosie e timidezze possono essere indice di difficoltà relazionali in un bambino; ma in altri casi si può semplicemente trattare di un’indole di un certo tipo. Un bambino fisico, irruento pieno di energie, che socializza facilmente e preferisce i giochi d’azione, ma anche perde spesso le staffe e reagisce in modo aggressivo nei conflitti, non si può trasformare in un piccolo filosofo che ama la lettura e la contemplazione: ma può essere aiutato a modulare le sue emozioni e a relazionarsi in modo più verbale e mediato nei conflitti con i coetanei. Una bambina tranquilla che predilige i giochi solitari o a due, scegliendo per amici bambini tranquilli come lei, e che è sempre conciliante con gli altri, anche con i prepotenti, non diventerà probabilmente una lottatrice ma può essere aiutata a divenire più assertiva.
Nessuno dei due potrà cambiare indole, ma potrà espandere le sue competenze relazionali per diventare più efficace quando interagisce con gli altri, specialmente in situazioni di conflitto. Se l’indole di un individuo è di un certo tipo, occorre lavorare con ciò che ha vedendolo come un punto di forza, piuttosto che come un difetto che andrebbe corretto.
È molto importante che il genitore comprenda e accolga il modo di essere di suo figlio, perché farà la differenza nella percezione che il bambino avrà rispetto all’aiuto che l’adulto può dargli, la differenza fra il contenimento che nasce da un amore incondizionato, e le pretese che nascono da un amore condizionato all’adeguarsi alle aspettative altrui.
Non affrettiamoci a cercare di “aggiustare” tutto!
Quando si vede un bambino “in difficoltà” si tende a cercare di aiutarlo affannandosi a dargli consigli su come “aggiustare” la situazione.
I genitori ovviamente sono addolorati nel vedere che il proprio bambino subisce prepotenze, e vi proiettano i sentimenti che proverebbero loro stessi in tali situazioni. Ma questi interventi di “riparazione” raramente sortiscono i risultati sperati. Si rischia di proporre soluzioni che sono quelle che hanno funzionato per noi genitori, oppure semplicemente sono quelle che conosciamo meglio, ma che potrebbero non adattarsi al modo di sentire dei nostri figli.
In primo luogo, è sempre necessario intervenire? La questione è percepita come un problema dal bambino oppure no? Un bambino può avere un carattere che per l’adulto è eccessivamente conciliante, ma è la strategia che funziona meglio per lui o lei. Altre volte il bambino è chiuso e sofferente anche se non sempre sulle prime è aperto a comunicare le sue difficoltà. Prima di affrettarsi a dare consigli, è importante ascoltare bene i suoi sentimenti perché sotto di essi ci sono sfaccettature del suo vissuto che ancora non sappiamo, eventi che non ci ha raccontato, bisogni che non sono stati espressi.
Piuttosto che mettere il problema esclusivamente nel bambino, pensando o esprimendo cosa lui non è o non fa, proviamo a vedere le cose da un punto di vista sistemico, cioè di relazione, e capire cosa non va fra lui e altri bambini.
Attenzione alle richieste paradossali
A volte l’adulto si sente spinto a sollecitare nel bambino un atteggiamento meno remissivo. Questo assume la forma di esortazioni come: “Se fanno i prepotenti con te, tu rispondigli a tono, fai anche tu la prepotente!” oppure: “Devi essere più tosto, farti valere, non farti comandare dagli altri!”
Per prima cosa, questo tipo di interventi comunica al bambino che i genitori non sono soddisfatti del suo modo di essere e di agire. I suoi sentimenti non sono accolti. Il suo bisogno di accettazione nel gruppo, a cui sacrifica le sue esigenze, non è riconosciuto. È un po’ una conferma di essere debole e incapace. La mamma o il papà chiedono al bambino di essere qualcosa di diverso da ciò che è e che sente, e i bisogni che sottendono ai suoi comportamenti non vengono ascoltati nemmeno da quegli adulti (genitori, insegnanti) che dovrebbero invece essere loro alleati.
Ma il problema più grosso di queste esortazioni, specie quando richiedono un atteggiamento più indipendente e deciso, è che contraddicono la richiesta proprio nel momento in cui la formulano.
Mi spiego meglio. Se desidero che un’altra persona sia meno remissiva, posso ORDINARGLI di non esserlo?
Chiederle di essere “più aggressiva” o “più decisa” non è utile, non solo perché non si può cambiare a comando il modo di sentire o di reagire, e non solo perché la violenza non è mai la soluzione. Ma anche perché esortare un bambino ad essere più deciso e autonomo è una richiesta “paradossale”, cioè a cui, qualsiasi sia il modo in cui rispondi, non puoi che perdere.
“Devi essere più assertivo” significa non farsi comandare, non subire imposizioni. Ma nel momento in cui un adulto “ordina” a un bambino di essere più autonomo, se disobbedisce all’ordine non è autonomo, ma anche SE OBBEDISCE all’ordine non è autonomo!
La violenza non è la soluzione ma parte del problema
A volte si dice a un bambino che ha subito una prepotenza: “E tu ridagliele più forte!” esortandolo a rispondere al prepotente con la stessa moneta.
Questo significa implicitamente dar ragione al prepotente. Se è giusto rispondere con la violenza, come farà il bambino a distinguere i comportamenti virtuosi da quelli inadeguati? E se il bambino, anche giustamente, rifugge la violenza, questo consiglio che effetto avrà su di lui, se non quello di farlo sentire ancora più inadeguato?
L’aspetto più distruttivo del comportamento prepotente è infatti quello di far sentire l’altro come debole, incapace, stupido o sbagliato.
Questo non significa rassegnarsi e lasciare il bambino al suo destino. Il primo passo è ascoltare veramente il proprio figlio e chiedere come si sente in queste situazioni, e cosa ne pensa. Le sue strategie di gestione sono forse guidate dalla prudenza e dal desiderio di accettazione nel gruppo, per il quale sacrifica i suoi desideri? Anche quelle sono strategie e non necessariamente “perdenti”, dipende da come le vive il bambino e da cosa è più importante in un dato momento. Si tratta invece di scarsa fiducia nelle proprie capacità, paura dell’aggressività altrui, timore di essere emarginati? Qui c’è spazio prima di tutto per empatizzare con il proprio figlio, e poi ragionare insieme su come trovare modi socialmente accettabili di far valere le proprie ragioni senza necessariamente assumere il ruolo di vittima o di bullo a propria volta.
La violenza non è una soluzione ideale, perché anche quando risolve in fretta un conflitto, non aiuta le persone a sviluppare la capacità di confrontarsi sul piano dei sentimenti e dei bisogni e di trovare soluzioni che potrebbero soddisfare entrambi i contendenti.
Cosa fare allora?
Quello che si può fare è dare strumenti efficaci di comunicazione con i quali il bambino potrebbe attuare nuove strategie di negoziazione dei conflitti, per esprimere più chiaramente i suoi bisogni e fare proposte più efficaci, senza restare intrappolato nel dualismo “subire o reagire”.
Riformulare per lui la situazione facendo una descrizione del problema: “Non vuoi più andare al parco perché temi che quel bambino ti picchi di nuovo”. Gli comunichiamo così che non è lui ad essere sbagliato, che non si è in qualche modo “meritato” quello che gli è successo. “Quel bambino ti ha dato una spinta perché voleva la tua palla: poverino, non è capace di chiederla in un altro modo”. Saprà così che non è lui ad essere sciocco o sbagliato, ma che è l’altro bambino ad avere un problema. Saprà che i genitori hanno fiducia in lui e prendono molto sul serio quello che gli succede e i suoi sentimenti.
Questo lo aiuterà a cercare con maggiore fiducia in sé dei modi per far fronte ai conflitti, che sia affrontare il prepotente parlandogli con calma, o liquidarlo con una battuta e un’alzata di spalle. Sarà lui a trovare la maniera, con il suo stile e le sue soluzioni – non le nostre! Ma prima dobbiamo dargli tempo, e permettergli di rafforzarsi e di imparare a gestire i conflitti e le difficoltà, anche per prove ed errori, ma sempre con noi al suo fianco.