Il volo

Il volo

Alessandra si spinge con impegno e concentrazione sulla lunga altalena sospesa. Le funi oscillano tese fino al grande ramo orizzontale, là in alto sotto la chioma fitta del noce. Su, giù, indietro, avanti, con una determinazione che va oltre il semplice gioco, il semplice passare il tempo. Alessandra vuole ucciderlo, il tempo. Cancellare in una sola grande oscillazione tutta l’attesa che la separa dall’arrivo di suo padre, che forse proprio ora, forse proprio fra pochi istanti, varcherà la soglia del cancello verde alle sue spalle che lei non può e non vuole tenere direttamente d’occhio.

L’altalena è un pendolo, una metafora concreta che scandisce questo suo ricorrente stato di attesa: in basso con la pesantezza della realtà, in alto con l’euforia della speranza.  Il suo ampio oscillare è ripreso da altri cicli, più brevi: il suo respiro, i colpi regolari del cuore, l’ossessivo e tronfio frinire delle cicale.

Tutto questo Alessandra non lo sa consapevolmente, ma lo sente il suo corpo di bambina, che si tende e si rilascia perfetto all’unisono con il moto dell’altalena.

Indietro: la molla si raccoglie, l’energia si accumula nelle ginocchia piegate, nel busto proteso in avanti. Via! giocando d’anticipo di una frazione di secondo sull’avanzata del seggiolino, il corpo si inarca con un colpo di reni, le gambe si tendono puntando in avanti di scatto ma fluidamente. Poi si gode lo slancio, come un arco capovolto: giù a farsi risucchiare dalla forza di gravità, su a librarsi senza peso.

Le cosce aderiscono alla tavoletta in modo così compatto da fondersi con essa, le funi sono tese, dure come lance. Alessandra si leva in alto verso il punto morto, quell’istante fuori dal tempo e dallo spazio in cui il peso scompare e si è veramente liberi dal legame con la terra. Momento inafferrabile, come l’intervallo fra inspirazione ed espirazione, ah se potesse farlo suo per sempre, sgusciare in quello spazio e fuggire libera, affrancata dalla ciclica caducità delle cose! Ma invece ad ogni oscillazione il peso ricompare, e la bambina lo segue raccogliendosi obbediente per la spinta successiva, mentre viene risucchiata ancora una volta indietro.

La molla; lo slancio; il volo; la molla, lo slancio, il volo. Su nelle nuvole, giù nella conca, in un moto elastico senza fine. Avanti, indietro. Viene, non viene. Dio fa’ che non succeda come l’estate scorsa, fa’ che stavolta, per una volta, mantenga la promessa. Il pomeriggio è quasi alla fine, fa’ che non chiami per disdire tutto, non può dare un’altra delusione. Sarebbe come uno slancio portato troppo avanti, fino al brusco ricadere del seggiolino.

Ora l’altalena fende l’aria con un sibilo, è una falce per tagliare, dividere, cancellare.

La bambina, il capo gettato all’indietro, sbircia ad occhi socchiusi l’ombrello verde del noce. Attraverso la trama scura il sole disegna anche lui un arco oscillante, lampeggiando fra i varchi del fogliame senza mai mostrarsi del tutto. Per quanto lei si sforzi, non riesce a spingersi oltre il confine della chioma, per incontrarne senza barriere la luce e il calore.

Lontano, nella casa, suona sinistro un telefono. Una figura esce poco dopo, incamminandosi verso di lei. Anche se Alessandra non può vederle il viso, sa già che l’espressione è compunta e falsamente dispiaciuta.

No, non questa volta! Aumenta, se possibile, la spinta. Ora chiude gli occhi, perdendo quasi la conoscenza della direzione; c’è solo il suo corpo asciutto che esegue teso e perfetto la danza, è moto puro adesso, mentre il sole dardeggia caldo su e giù sulla sua pelle.

Ed ecco che qualcosa inizia a succedere. Qualcosa nel tessuto dello spazio e del tempo si dilata, come se la fune che unisce la bambina all’albero si stesse allungando, fosse elastica; il movimento si prolunga, la curva diviene sempre più ampia e stesa.

Ora risale in alto, è quasi al limite della chioma del noce, dovrebbe essersi già capovolta eppure questo non succede. Le cicale gridano e la loro ritmicità sembra rallentare, mentre anche la figura sul sentiero appare come cristallizzata nel suo avvicinarsi. Il tempo si ferma, questa volta l’intervallo è tangibile, Alessandra lo può quasi afferrare mentre fissa capovolta quel mondo congelato, dal quale si è staccata librandosi così in alto.

Ma poi inesorabilmente il moto riprende, il corpo riacquista ancora una volta il suo peso e la sua appartenenza alla terra, e la persona sul viottolo affretta il passo, come colta da un presentimento.

Troppo tardi. Lo slancio è ripreso invincibile, il corpo fende l’aria come una freccia, levandosi nella prova decisiva. Alessandra scivola giù lungo la curva ardente che la porterà in alto, verso il sole. La discesa si approfondisce fino allo spasimo, spingendola contro la dolorosa resistenza della tavoletta. Ma infine il moto si trasforma e risale in una sempre maggiore leggerezza, e nonostante stia ormai salendo da un tempo incalcolabile questa volta l’ascesa non termina, la curva si distende fino a divenire una retta, e il momento senza peso diviene eternità, la fine di ogni oscillazione, di ogni ciclo, il tempo è sospeso, il respiro è sospeso, il cuore è sospeso, l’alterno frinìo delle cicale è sospeso in un’unica stridula nota, ed è il volo, verso il sole, a braccia spalancate, a corpo aperto, e lei sa che non ci sarà più una discesa, una caduta, una mancanza, una disillusione, qualcuno che torna indietro con aria compunta a dire che no, anche per questa volta, anche per questa estate papà non sarebbe arrivato.

Antonella Sagone – 7 maggio 2021

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.