Il metabolismo del ferro nel bambino allattato al seno

Il metabolismo del ferro nel bambino allattato al seno

Nel primo anno di vita uno dei parametri che viene attentamente monitorato è lo stato del ferro nel bambino. Il ferro è fondamentale perché è la componente principale dell’emoglobina, quella sostanza che dà colore rosso al sangue e permette ai globuli rossi di agganciare e trasportare l’ossigeno dai polmoni a tutto il resto del corpo.

Quello che le mamme si sentono dire spesso verso la metà del primo anno è che è importante introdurre cibi solidi per fornire ferro e prevenire l’anemia nel lattante. In questo articolo vedremo come funziona il meccanismo che permette al bambino di essere sempre rifornito a sufficienza di ferro e qual è l’approccio corretto, nelle varie età e situazioni, per prevenire l’anemia continuando a proteggere l’allattamento al seno.

I tre aspetti del bilancio del ferro

La questione dell’anemia va sempre valutata su tre fronti:

  1. l’apporto di ferro (e di sostanze coadiuvanti per il metabolismo del ferro)
  2. la perdita di ferro (cioè per esempio sanguinamenti occulti, eccetera). 
  3. le scorte di ferro (che dipendono da fattori legati al periodo prenatale e al parto)

L’apporto di ferro include tutto il ferro ricevuto dal bambino attraverso il latte, i cibi solidi e/o gli integratori. Include anche l’apporto di sostanze coadiuvanti per assimilare questo ferro; infatti il ferro di per sé non è facilmente assimilabile, ma ci sono molti elementi che ne favoriscono l’assorbimento, in particolare lo zinco, la vitamina B12, la vitamina C e la lattoferrina (un enzima presente nel latte materno).

Sono presenti nei cibi due tipologie di ferro, quello eme e quello non-eme. Per assimilare il ferro non-eme serve l’aiuto di altre sostanze, come ad esempio la vitamina C. La maggior parte del ferro presente nei cibi è non eme, tranne una piccola percentuale di quello contenuto nelle carni. Il ferro contenuto nel latte materno è facilmente assimilabile grazie alla lattoferrina.

La perdita di ferro si ha quando c’è un’emorragia, anche piccoli sanguinamenti occulti come quelli che possono verificarsi nel sistema gastrointestinale del bambino, quando c’è una condizione infiammatoria (ad esempio un’intolleranza al latte vaccino o altre sostanze). Uno studio a riguardo può essere letto qui.

Le scorte di ferro nel neonato derivano dalla quantità di sangue fetale che ha al momento della nascita. Nelle prime ore di vita il bambino compie un adattamento alla vita extrauterina, e il suo sangue cambia per poter svolgere la funzione di prelevare l’ossigeno dai polmoni (per ulteriori dettagli, vedi l’articolo sull’ittero). Nel processo di smaltimento dei globuli rossi fetali (gradualmente sostituiti da quelli adatti alla respirazione polmonare) una parte del ferro verrà accantonata nella milza e costituirà le scorte del bambino nei primi mesi di vita.

I bambini prematuri hanno una scorta inferiore di ferro, e così avviene se il taglio del cordone è effettuato rapidamente, senza attendere fino alla cessazione delle pulsazioni (si è visto che un taglio precoce priva il bambino di quasi un terzo del volume di sangue placentale).

Quindi l’allattamento incide solo in senso positivo: fornisce infatti parte del ferro, assimilabile grazie alla transferrina, fornisce B12 (se la mamma non è carente), zinco, vitamina C, vitamina K (antiemorragica), insomma le varie sostanze utili per metabolizzare il ferro al meglio e prevenire le perdite.

Fonti di ferro nel bambino allattato

Molto spesso alle donne che allattano esclusivamente un bambino di 4 o più mesi, viene detto che occorre al più presto iniziare ad introdurre cibi solidi, perché il ferro del latte materno “non basta più” dopo il quarto mese. L’idea sottintesa (o a volte espressa esplicitamente) è che dopo i primi mesi il latte umano diventi povero di ferro. Come sempre, sembra che Madre Natura non ne faccia una giusta!

Cosa c’è di vero in questa idea?

Nei primi mesi, l’apporto di ferro nel neonato viene fornito da:

  • latte materno
  • scorte di ferro.

in questa prima fase, all’incirca 6 mesi, il ferro si ricava quindi in una quota dal latte, e per il resto si consumano pian piano le scorte di ferro ricavate dal sangue fetale che il bambino ha al momento della nascita.

Verso la metà del primo anno (un po’ meno o un po’ più) le scorte finiscono; e quindi a quel punto il ferro si ricava da:

  • latte materno (esattamente come prima)
  • cibi solidi.

Quindi non è che dopo i sei mesi non basta più il latte materno, non bastano più le scorte!

Non è vero che il latte materno dopo i sei mesi diventa carente di ferro. Continua a fornire tutto il ferro che forniva prima, e la transferrina per assimilarlo… quello che succede intorno alla metà del primo anno è che si esauriscono le scorte di ferro che il bambino ha ereditato dalle riserve di emoglobina fetale alla nascita. Quindi i cibi solidi non devono andare a sostituire il latte materno, ma ad affiancarlo per fornire quel plus di ferro che le scorte endogene non danno più.

Questo bisogno di un ulteriore apporto di ferro dai cibi solidi è perciò fisiologico, non va considerato come una “carenza”, semplicemente cambia la fonte di una quota del ferro.

Questo discorso vale infatti altrettanto per i bambini alimentati artificialmente. Anche la formula contiene ferro (in quantità maggiori del latte materno, perché si assimila molto meno!). E non è che dopo i sei mesi ce ne sia di meno, c’è sempre lo stesso quantitativo di ferro, proprio come nel latte umano c’è sempre lo stesso quantitativo di ferro. Ma il bambino a sei mesi deve cominciare anche in quel caso a mangiare cibi solidi oltre la formula; perché anche in quel caso le scorte del suo organismo stanno finendo.

Per questo è importante che i primi cibi solidi siano qualitativamente ricchi di ferro, mentre importa poco che siano grandi quantità, perché almeno inizialmente le poppate (che devono continuare a richiesta) forniscono ancora i nutrienti in abbondanza.

In situazioni normali bastano piccole quantità di cibi ricchi di ferro, ce ne sono tanti per tutti i gusti e tutte le età. Per non parlare delle pappe già arricchite di ferro per chi le preferisce… anche fra i cibi vegetali ci sono tanti alimenti ricchi in ferro, dalle lenticchie al sesamo all’uva passa alle verdure a foglia verde… accompagnandole con vitamina C (un po’ di succo di limone incorporato nella minestra, o un po’ di arancia spremuta, ad esempio, ma anche il latte materno stesso che è molto ricco di vitamina C) anche il ferro vegetale (e la quota non-eme di quello di origine animale) viene ben assimilato.

Come ci si regola dunque?

Ma quindi a che età è opportuno iniziare i cibi solidi per poter soddisfare il fabbisogno di ferro del bambino? Non si può fornire una regola generale, perché come abbiamo visto prima il bilancio del ferro dipende da tanti fattori. Ci possono essere bambini sanissimi che assumono solo latte materno persino oltre l’anno, tuttavia generalmente dopo la metà del primo anno le scorte si esauriscono. Tuttavia, l’OMS ricorda che i cibi solidi non andrebbero comunque introdotti prima dei sei mesi compiuti, e comunque occorre aspettare i segni di prontezza del bambino.

I bambini prematuri presentano un dilemma particolare. Hanno una scorta minore di ferro e quindi si possono effettivamente trovare nella situazione di aver bisogno di introdurne altro coi cibi prima dei bambini a termine; d’altro lato invece considerato che sono più piccoli dell’età anagrafica, dovendo recuperare il tempo minore di gestazione, può succedere che a sei mesi non siano ancora pronti per assaggiare i cibi solidi.

Se il bambino è pronto a mangiare può ottenere il ferro da una integrazione di cibi solidi (in aggiunta e non in sostituzione delle poppate); se non è pronto per i cibi solidi ma per qualche motivo è in carenza di ferro, il medico può decidere di prescrivere un integratore. La carenza di ferro nel bambino si accerta con i relativi test del sangue e non in base a teorie o impressioni soggettive o a generalizzazioni basate sull’età.

Insomma la carenza di ferro è una condizione che va valutata caso per caso, dal medico, sulla base di segni obiettivi ed eventuali accertamenti, e non solo presunta perché il bambino “non mangia ancora” o solo perché è allattato al seno. Gli eventuali integratori di ferro vanno prescritti solo dove necessario, perché se non c’è anemia il ferro finisce per depositarsi nei tessuti o negli organi, oppure non viene assimilato e va nell’intestino, dove finisce per nutrire una serie di ospiti indesiderati, alterando il delicato equilibrio del microbioma del lattante.

E se la mamma è anemica?

Perché la carenza di ferro possa rispecchiarsi nel latte, deve essere davvero una situazione seria, perché finché la mamma ha ancora scorte di ferro, è il suo organismo a venire sguarnito, ma il latte viene rifornito di tutto il ferro necessario. Insomma bisogna essere molto anemica per avere una minor quota di ferro nel latte, ma raramente può succedere. Piuttosto, il problema è anche un altro: se la mamma è stata anemica anche in gravidanza, il figlio può essere nato con scorte più basse di ferro, e quindi potrebbe avere bisogno di integrazioni di ferro anche prima dell’età dello svezzamento. Anche in questo caso la situazione va valutata individualmente.

Togliere il seno non è mai una buona idea

Spesso si incolpa l’allattamento se il bambino è anemico, pensando che il latte materno sia carente in sé e competitivo coi cibi solidi, e si consiglia di svezzare.

Sarebbe saggio, prima di tutto, aspettare ad avere una diagnosi prima di prendere decisioni di cui ci si può pentire, in particolare svezzando dal seno, dato che questo

  • non renderà il bambino più mangione di prima;
  • priverà il bambino del cibo più nutriente che ha attualmente a disposizione, anche riguardo a ferro, ferritina, B12 e vitamina C, tutti elementi fondamentali nel bilancio del ferro;
  • se anche si forzasse di più a mangiare c’è il rischio che mangi proprio quei cibi a cui magari è intollerante, se prima non si capisce quali sono;
  • il cibo solido non risolverebbe una vera carenza, che va compensata con integratori;
  • ci sono alimenti che riducono l’assorbimento, altri che sono infiammatori per l’intestino (il latte vaccino è fra questi) e quindi creano microemorragie nella mucosa intestinale, per cui alla fine aumentano le perdite di ferro.

I bambini possono essere anemici per vari motivi, ma non certo a causa dell’allattamento! E la terapia è modificare la dieta e/o dare integratori (a seconda della gravità della situazione), non certo interrompere l’allattamento, che oltre a fornire SEMPRE (ad ogni età) la sua quota di ferro, fornisce anche la transferrina che aiuta il ferro ad essere assimilato.

Allattare non è competitivo con il mangiare cibi solidi, se un bambino di più di sei mesi rifiuta i cibi solidi c’è da fare un approfondimento su questo aspetto: cosa mangia, quanto mangia, come le viene offerto il cibo, perché non mangia (peraltro uno degli effetti dell’anemia è l’inappetenza stessa). Oppure, semplicemente, non è ancora pronto! Non tutti i bambini sono uguali, e dipende da tanti fattori. Ma orientativamente, a 4 mesi un bambino non è pronto per mangiare cibi solidi, né come capacità di masticare il cibo e non soffocarsi, né come metabolismo (cioè capacità di produrre certi enzimi). Alcuni sono pronti anche più tardi dei sei mesi.

In tal caso, il medico valuterà e semmai darà un integratore. Ma forzarli non vale la pena e in genere non si riesce nemmeno, in questi casi, a fornire il ferro forzando, perché le quantità di cibo sono comunque piccole. Inoltre, se c’è un’anemia importante non è certo l’omogeneizzato di manzo che risolve il problema, occorre dare integratori.

Che fare allora se per qualche motivo quel bimbo finisce le sue scorte di ferro prima del momento in cui è pronto a mangiare? Inutile forzarlo a mangiare la carne frullata, o tantomeno la frutta o il brodo vegetale! Se c’è una reale carenza, il medico deve accertarla e poi prescrivere un integratore.

Se invece siamo nella fisiologia, non c’è fretta e si può aspettare i sei mesi o a volte anche un po’ di più.

Conclusioni

In estrema sintesi:

  • normalmente non ci sono carenze di ferro prima dei sette-otto mesi nei bambini sani nati a termine; alcuni bambini possono non avere problemi anche più avanti, ma più passano i mesi e più aumenta il rischio di carenza di ferro;
  • tale carenza spetta al medico accertarla (non darla per scontata) con l’esame obiettivo del bambino ed eventuali analisi se le ritiene necessarie;
  • se non c’è carenza di ferro non c’è fretta di fare alcunché e il latte materno può rispondere ai bisogni nutrizionali del bambino;
  • se il bambino non è pronto a mangiare, non conviene forzare; se c’è carenza non è con il cibo che si risponde, ma con integratori, seguendo le indicazioni del medico.

In ogni caso, non è il latte materno che diviene meno nutriente o meno ricco di ferro col passare dei mesi. Nel latte umano non ci sono carenze mai, in nessuna fase dell’allattamento. Smettiamo di attribuire al latte materno la causa di ogni problema di salute reale o presunto del bambino e della madre, e soprattutto quando c’è un problema smettiamo di togliere subito al bambino le salutari poppate al seno, meno che mai sostituire la poppata col cibo, perché nessun cibo sarà mai nutriente quanto il latte umano.

Una Consulente professionale in allattamento materno potrà affiancarvi e sostenervi ogni volta che la bontà del vostro allattamento viene messa in dubbio o subite pressioni per svezzare.

Antonella Sagone, 25 aprile 2021

2 thoughts on “Il metabolismo del ferro nel bambino allattato al seno”

  1. Manuela ha detto:

    Bellissimo articolo grazie!
    Ho però una domanda, la mia bimba, 1 anno da una settimana mangia davvero pochissimo e prende ancora tanto seno potrebbe essere presente una carenza di vitamine o ferro, unghie fragili e pochi capelli, e siamo già al secondo episodio di spasmo affettivo.. Il pediatra oggi dopo visita solo dopo mia domanda ha detto di dargli betotal sciroppo ma il ferro no, perché sta cambiando emoglobina…
    Grazie mille

    1. Antonella Sagone ha detto:

      salve Manuela!
      le valutazioni su una eventuale carenza di ferro vanno fatte dal medico, e nel caso anche con opportuni test ematici; sono se la carenza di ferro è accertata si valuta i pro e i contro di una eventuale integrazione.
      mangiare poco da una settimana non è certo di per sé sufficiente a causare carenze, che si vedono solo nel lungo periodo. Inoltre la carenza di ferro dipende più dalla qualità che dalla quantità di ciò che mangia. Alimenti ricchi di ferro possono essere accompagnati da fonti di vitamina C (dalla semplice spremuta di arancia a altre fonti – agrumi, verdure ecc) ai pasti, in modo da facilitare l’assorbimento; ma si tratta di un discorso complesso da effettuare assieme allo specialista.
      L’allattamento abbondante in sé non preclude assumere la giusta quantità di altri cibi; e il latte materno contiene una quota importante di vitamina C oltre a una parte di ferro biodisponibile, assieme, alla transferrina che aiuta l’assorbimento anche del ferro introdotto con altri cibi. Quindi è un alleato e non un competitore dei cibi solidi.

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