Ma quanto è arrabbiato questo bambino?

Ma quanto è arrabbiato questo bambino?

È tardi; bisogna uscire e la mamma infila una scarpina a una bimba recalcitrante. Questo scatena una crisi di proporzioni irragionevoli: “NOOOOO! DA TEEEE!” urla la piccola.

“Ma è quello che sto facendo!” replica la mamma con due toni di voce più alti della media, cercando di metterle l’altra scarpa.

A questo punto si scatena uno tsunami che rende l’impresa impossibile: ormai la bimba si è trasformata in una furia in preda a una collera soverchiante, che la devasta di urla e lacrime, lasciando la madre prima furiosa e poi sconfortata.

Ma cosa è successo alla mia dolce bambina? – pensa la madre – Avrò sbagliato tutto?

Cosa succede a due anni?

Intorno al secondo anno di vita, la maggior parte dei bambini attraversa un periodo turbolento, che li vede protagonisti di scenate plateali in cui si gettano a terra scalciando o mordendo, con strilli e pianti inconsolabili “per un nonnulla” – così almeno sembra agli occhi dell’adulto. Sono i cosiddetti “capricci”, parola che tradotta significa: non capisco perché stai facendo tanto chiasso, ma certamente è un motivo futile.

In realtà, quello che succede è che i bimbi di questa età vivono intensamente tutto, hanno una nuova coscienza di tutto quello che accade, possono immaginare tutto ciò che vorrebbero fare ma sono ancora così piccoli e limitati e possono fare ben poco di ciò che vorrebbero. Vorrebbero esplorare il mondo, arrivare sul monte più alto, attraversare l’oceano… avere le parole per dire tutto quello che provano… ma sono piccini e le loro mani ancora non riescono a fare cose complicate, le loro parole sono troppo semplici per potersi spiegare, le loro gambe fanno piccoli passi, non arrivano nemmeno al terzo piano dello scaffale. Hanno una volontà fortissima, ma tante frustrazioni, anche se hanno una mamma dolcissima. Non basta la presenza della mamma, perché vogliono anche fare da soli… e provano emozioni forti che non sanno capire né spiegare.

Come ulteriore carico, amici, parenti e sedicenti “esperti” imperversano e, se fino a quel momento avevano tollerato le scelte educative dei genitori, ora che si è soffiato su quelle due candeline ritengono che sia ora di intervenire e dire “basta” a quella mamma e quel papà così indulgenti, scatenando i mastini della guerra contro presunti “vizi” e debolezze nello stile genitoriale. I genitori si trovano così fra due fuochi: un bambino improvvisamente molto esigente, e intorno a loro persone che, invece di essere comprensive verso questa fase di sviluppo (e anzi, rimboccarsi le maniche e dare una mano agli stanchi genitori, offrendo aiuto e solidarietà), si esprimono in modo molto giudicante e fanno pressione, instillando dubbi e insicurezze.

Non solo i genitori, ma anche i bambini in questa fase possono percepire come se si fosse spezzata una magica armonia, e finiscono per esprimere anche quella parte di stress, stanchezza e frustrazione che i loro genitori non riescono o non possono esprimere in tale momento, per mancanza di sostegno sociale.

Dal suo punto di vista

Ma proviamo a vedere la faccenda dal punto di vista del bambino. Quando era più piccolo, non poteva fare nulla da solo, e nemmeno immaginava che in futuro sarebbe stato in grado di camminare, arrampicarsi, afferrare e manipolare gli oggetti, mangiare da solo. Era un piccolo “disabile” e tuttavia nella maggior parte dei casi le tenere cure della mamma, il suo tocco affettuoso, la sua voce carezzevole lo confortavano, accudivano e rassicuravano.

Ora però cammina, tocca, pensa. Il mondo gli ha spalancato le sue porte e lui brucia dalla voglia di esplorarlo tutto. Vorrebbe seguire gli adulti passo dopo passo e toccare quello che loro toccano, fare quello che loro fanno. Vuole essere come loro, imparare a fare tutto! Ma invece la sua vita si è trasformata in una scalata piena di ostacoli e di divieti. Ultimamente non glie ne va una giusta, e quando si sente scoppiare deve per forza urlare, perché non può spiegare con calma quel tumulto che a stento capisce!

I piccoli disastri che provocava quando era più piccolo ora fanno arrabbiare mamma e papà, e le sue prodezze compiute nell’esplorazione del mondo vengono accolte con visi corrucciati o peggio urla e rimproveri. Non capisce perché non gli permettono di arrampicarsi sul davanzale per scrutare il ritorno del papà, infilare i pennarelli nel buco del lavandino che sembra fatto proprio apposta per loro, assaggiare quella pasticca profumata contro le zanzare, o nascondere un pezzo di prosciutto fra le pieghe del divano per poterlo ritrovare in un momento di fame. Le sue mani sono goffe e non riesce a fare le cose per bene, ma se gli oggetti gli vengono continuamente strappati dalle mani come può imparare? Soprattutto non capisce perché le cose che pochi mesi prima facevano sorridere teneramente la mamma e il papà ora li fanno arrabbiare. Dicono che lo fa “apposta”, una parola che non capisce ma che sembra qualcosa di brutto.

Il bambino piccolo ha una sola prospettiva: la sua

Parliamo di questa faccenda del “fare apposta”. Si dice spesso che i bambini sono furbi, che vogliono manipolare gli adulti, che mentono, che “vogliono provocare” o attirare l’attenzione. Ma è davvero così?

Per mentire, per manipolare le emozioni degli altri, per influenzarli intenzionalmente, occorre per prima cosa una consapevolezza di come funziona la mente; e soprattutto, il bambino deve essere consapevole del fatto che i pensieri che sono nella mente degli altri sono differenti dai propri, che ognuno ha suoi pensieri, idee, emozioni, intenzioni.

Il bambino piccolo non ha ancora raggiunto la maturità emotiva e neurologica per avere questa comprensione. Per lui (o lei) la “realtà” manifesta corrisponde al suo sentire, ai suoi pensieri, al suo punto di vista. Non è consapevole che si tratti, appunto, di un semplice punto di vista, non è consapevole della sua soggettività, ma gli attribuisce valore assoluto. In una parola, presume che gli altri abbiano evidente quanto lui ciò che gli passa per la testa. Non riesce ancora a spostarsi mentalmente e immaginare il punto di vista di un altro. Questa abilità, detta capacità di mentalizzazione o teoria della mente, si forma non prima dei 3 anni, in molti bambini anche qualche anno più tardi.

È facile comprendere come senza questa capacità il bambino sia fisiologicamente incapace di mentire, almeno nel modo in cui lo concepiamo noi adulti (un’ampia trattazione di questo aspetto si trova nel mio articolo “Le sincere bugie dei bambini”).

Ecco che alla luce di questa verità le bizze dei bambini assumono un’altra dimensione. Non più comportamenti di sfida o compiuti per ricattare o fare dispetto, ma espressione di grande frustrazione. Perché dal punto di vista del bambino, il suo cruccio è così evidente che non capisce perché mai la mamma o il papà non provvedono subito a risolvere il problema; anzi sembrano arrabbiati con il bambino a causa del modo in cui si sente; cosa per lui impensabile.

Non è una guerra

Questa comprensione di come funziona la mente del bambino è fondamentale per l’adulto, perché gli permette di non considerare più suo figlio come un antagonista da battere – come invece vorrebbero intensamente spingerci a pensare certi manuali, che descrivono la relazione coi figli come una faccenda di potere e controllo e una guerra il cui obiettivo è ridurre il bambino all’obbedienza.

Ma i bambini non sono i nostri nemici. Non siamo su due fronti opposti. Siamo sulla stessa barca, e possiamo prenderci cura della relazione fra di noi, in modo che la comunicazione fluisca e si alimenti la fiducia reciproca.

E torniamo alla bambina che, su tutte le furie, grida “Da te!” e più la mamma cerca di accontentarla, più alimenta la sua collera.

In realtà quella bimba (che fra parentesi, ero io da piccola!) stava cercando di spiegare alla mamma, che evidentemente non capiva le cose ovvie, che voleva mettere le scarpe senza aiuto. La sua comprensione parziale del linguaggio, e in particolare dei pronomi personali (che richiedono appunto almeno un accenno di teoria della mente per poter essere usati!) le fa dire “da te” ripetendo a pappagallo ciò che le ha detto la mamma in altre occasioni, quando le chiedeva: “Vuoi fare da te?”.

Senza una comprensione dei motivi della rabbia, e il distacco necessario ad ascoltare e osservare con calma la bambina, la mamma non avrebbe potuto raggiungere questa comprensione, e il capriccio sarebbe lievitato oltre misura.

Nel prossimo articolo svilupperemo quindi questa prospettiva, per mostrarvi modi alternativi di fronteggiare le crisi di collera dei nostri figli in modo da aiutarli a riprendere il controllo di sé, e rispondere ai loro bisogni profondi, che sono all’origine dell’intensità emotiva che ha scatenato il capriccio stesso.

Antonella Sagone, 5 novembre 2022

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