Scienza: alleata, non tiranna

Scienza: alleata, non tiranna

Giorni fa mi ha contattato una mamma con una richiesta che ricevo molto di frequente. La mamma allattava una bimba grandicella e le era stato detto che gli studi psicologici dimostravano che questo avrebbe danneggiato lo sviluppo psico-emotivo della bimba. “Avete – chiedeva – degli studi scientifici che dimostrino che questo non è vero?”

Chi fosse interessato a una risposta che sfata i miti negativi riguardo all’allattamento oltre i primi mesi, può leggere questo articolo. Tuttavia, al paragrafo “Se l’allattamento dopo i primi mesi fa bene, dove sono le prove?” potrà anche leggere una spiegazione del perché sia alquanto difficile “provare scientificamente” asserzioni riguardanti cose così complesse come la relazione madre-figlio attraverso l’allattamento e il suo impatto sullo sviluppo psico-affettivo del bambino.

La scienza, la ricerca, sono preziosi alleati. Ma sono anche strumenti che occorre saper maneggiare; altrimenti si può rischiare di fraintendere i risultati degli studi scientifici, o non saper distinguere le evidenze scientifiche solide da quelle che non lo sono, o infine si rischia di ficcarsi in un battibecco tecnico perdendo di vista l’essenziale: i sentimenti e i bisogni di quella mamma, di quel bambino e sì, anche dei loro detrattori.

Ultimamente il concetto di scienza viene usato in un modo decisamente improprio, data la sua natura: si citano “evidenze scientifiche” come fossero verità indistruttibili e indiscutibili, e la scienza viene proposta come un insieme di dogmi ai quali bisogna credere perché è, appunto, Scienza (con la maiuscola). Tutto questo non ha molto senso, dato che la scienza è prima di tutto dubbio, senso critico, umiltà di non sapere e anche di sapere di potersi sbagliare. Le cosiddette verità scientifiche si evolvono e mutano con il mutare delle informazioni raccolte in modi sempre più raffinati; e delle certezze che abbiamo oggi, sappiamo che molte si riveleranno false in futuro: ma non possiamo prevedere quali.

Questo non significa che le scoperte scientifiche non siano preziose: ci offrono modelli di spiegazione della realtà e possono aiutarci a verificare la validità di una teoria.

Ma in cosa consiste il metodo scientifico? Come si fa a capire se una ricerca è valida oppure no? Cosa significa la frase, tanto spesso pronunciata dai media, “La scienza dice che…”?

Idee e miti sulla scienza

Molte persone credono che la misura di una “evidenza scientifica” provenga dalle opinioni autorevoli di esperti del campo, che concordano su una certa questione e la esprimono. Non funziona così. Le evidenze derivano da una raccolta sistematica di dati e dalla loro interpretazione. La ricerca va progettata; i dati raccolti ed elaborati; i risultati vanno interpretati. In ciascuno di questi passaggi le cose possono andare storte, oppure si possono commettere errori o imprecisioni. Proprio per questo, si sono stabilite delle regole internazionali sulle quali la comunità scientifica è d’accordo, e che servono a misurare la solidità di una ricerca, cioè il suo livello di evidenza. Ci sono studi di basso livello di evidenza ed altri che sono condotti in modo impeccabile. Poi ci sono studi che a loro volta selezionano solo gli studi più rigorosi e li mettono a confronto, accorpando i dati. È in base a queste evidenze, che sono su numeri elevatissimi (si parla di migliaia o decine di migliaia di casi) che si fondano le raccomandazioni più serie, come quelle degli organismi internazionali che si occupano di salute.

Per saperne di più sui criteri che determinano il livello di evidenza di uno studio, potete consultare questa FAQ.

Chi non concorda o non comprende questo approccio, ma ne fa una questione di “opinioni”, le quali hanno tutte lo stesso diritto di esistere, spesso rifiuta questa logica e contrappone una teoria ad un’altra. Ma le teorie, fino a che non sono messe alla prova da uno studio scientifico, restano appunto ciò che sono: teorie!

Ho letto una volta in una discussione: “Se ci mettiamo qui a etichettare le ricerche come di serie A o di serie B, o di bassi, medi e alti livelli di evidenza scientifica, non credo che arriveremo lontano”. Ma è proprio etichettando le ricerche come di serie A, B o C che si arriva lontano… non siamo noi ad etichettare arbitrariamente, ma i criteri che classificano il livello di forza delle ricerche scientifiche. La massima evidenza ce l’hanno studi fatti in modo ineccepibile, su grandi numeri, e che non siano finanziati da chi ha interesse a vedere certi risultati. La minima evidenza ce l’hanno gli studi mal condotti, interessati, su numeri piccolissimi di soggetti, le opinioni degli esperti e i dati cosiddetti “aneddotici”, cioè basati su casi singoli osservati qua e là. Per saperne di più sulle varie tipologie di ricerca e la loro affidabilità, potete leggere questa FAQ

Linee Guida o Evidenze?

Un conto sono le linee guida, un conto sono le evidenze scientifiche. Sarebbe auspicabile che le linee guida rispecchiassero le evidenze, ma questo non necessariamente avviene.

Le linee guida sono l’espressione di una politica sanitaria, cioè sono raccomandazioni emesse da un ente sanitario o società medica in base a una serie di considerazioni, allo scopo di contenere i rischi per la salute delle popolazioni. Tengono conto dei comportamenti della gente, dei costi di una campagna di salute, degli aspetti logistici, di quanto certe indicazioni saranno facili da seguire da parte della gente comune, di un bilancio fra rischi e benefici, e spesso queste indicazioni sono generalizzanti, perché a volte è più facile vietare od obbligare tutti a un certo comportamento, ritenuto “sicuro”, piuttosto che fare distinguo e dare indicazioni differenziate per diverse tipologie di persone.

Questo significa ad esempio che non tutti i bambini hanno bisogno della vitamina D (e ci saranno studi scientifici che mostrano come diverse tipologie di bambini hanno carenze o meno); ma è raccomandato che tutti i bambini la assumano, perché è ritenuto troppo difficile discriminare chi ne ha bisogno e chi no.

È facile allora capire che le linee guida, le raccomandazioni e i protocolli risentono pesantemente della cultura e dei pregiudizi sociali e anche della “cultura medica” del momento. Quindi se in un dato periodo storico ci sono linee guida che vietano il co-sleeping, questo ci mostra solo che le attuali politiche sanitarie hanno scelto di non raccomandarlo. Ma non è una prova che sia SEMPRE pericoloso. Anzi in alcuni casi le raccomandazioni possono anche andare contro le evidenze scientifiche, purtroppo, perché viziate da bias culturali, come quando si raccomanda il ciuccio per prevenire la SIDS (invece di raccomandare la suzione), basandosi su studi scarsi e mal condotti (e non indipendenti, ma viziati da conflitti di interesse).

Uso e abuso della validazione scientifica

Per spiegare come gli studi scientifici, per essere validi, debbano avere un senso, faccio spesso l’esempio del paracadute; si tratta del riferimento a un articolo del British Medical Journal. In tempi più spensierati, a fine anno questa rivista scientifica faceva sempre un numero speciale con gli studi più bizzarri – ma rigorosamente disegnati, allo scopo di far riflettere sul significato profondo della ricerca scientifica. Uno di questi studi sottoponeva a verifica scientifica la teoria che gettarsi dall’aereo sena paracadute aveva esiti mortali. Per mettere alla prova questo assunto, gli studiosi avevano passato in rassegna i motori di ricerca per trovare studi sperimentali rigorosi su questo tema; ad esempio studi che mettessero a confronto due gruppi di persone, lanciatesi dall’aereo con o senza paracadute. Naturalmente, non avevano trovato nemmeno uno studio sperimentale; gli autori quindi concludevano che non ci sono prove che gettarsi dall’aereo senza paracadute fosse rischioso.

Questo studio, metodologicamente corretto, serviva a far riflettere sul fatto che le evidenze scientifiche vanno accompagnate sempre da una ratio, cioè da un senso di quello che si sta facendo. Tante volte si tira in ballo la scienza per dimostrare, o peggio, per confutare l’ovvio, per mettere in dubbio il buon senso e la fisiologia, invocando l’assenza di prove scientifiche. Vi suona familiare?

Ad esempio, tornando alla storia di quella mamma di cui raccontavo all’inizio, c’è chi dice che non sono dimostrati i benefici o almeno la non-dannosità di allattare dopo i 3 anni. Ma attenzione: la mancanza di evidenze scientifiche riguardo a una convinzione è solo, appunto, mancanza di risposte; non prova che quella convinzione sia falsa.

Detto in altri termini: la frase “NON è dimostrato che questa cosa sia vera” ha un significato completamente diverso dalla frase “è dimostrato che questa cosa NON è vera”!

Nel mondo reale, spesso le evidenze scientifiche vengono invocate a sproposito, o si pretendono le “prove” di fatti della vita assolutamente ovvi, come il beneficio della mamma e del bambino nello stare vicini, o la semplice idea che un processo fisiologico si svolga meglio se non si interferisce.

Troppo comodo invocare l’evidenza scientifica per osteggiare il buon senso, o viceversa invocare il buon senso mettendo in ridicolo la richiesta di evidenze… secondo il tornaconto del momento!

Il concetto è che la fisiologia, fino a prova contraria, dovrebbe essere benefica e le sue alterazioni dovrebbero essere provate come innocue; non il contrario.

Specie quando queste alterazioni non interessano un gruppetto di fan del lancio dagli aerei, ma l’intera popolazione di ogni età in ogni momento della propria vita sociale.

I dati vanno interpretati!

Una volta effettuata la ricerca, raccolti ed elaborati i dati, resta ancora da fare il passo più importante: interpretarli!

 Anche se lo studio è ben fatto, se si parte da un preconcetto si leggeranno questi risultati in modo distorto. Un esempio classico è quello dell’inversione fra causa ed effetto. Ad esempio se emerge una associazione fra asma e allattamento prolungato si può pensare che l’allattamento causi l’asma, mentre in realtà i genitori di bambini allergici tendono ad allattare più a lungo per proteggerli. Se si associano i risvegli alle poppate notturne, chi è contro l’allattamento notturno dirà che il bambino si sveglia per poppare, quando in realtà si sveglia e basta, e chiede il seno per riaddormentarsi. Se un bambino che piange molto viene preso in braccio molte volte, invece di concludere che si ha di fronte una mamma amorevole che risponde in modo appropriato ai bisogni di suo figlio, spesso si afferma che è proprio il comportamento sollecito della mamma a rendere il bambino nervoso e farlo piangere molto.

Anche questi esempi immagino che vi suonino familiari!

La piaga della medicina difensiva

La tendenza odierna della cultura sanitaria a farsi legge, spingendosi a dettagliare in modo ossessivo ogni prassi e ogni situazione, al solo scopo di proteggersi legalmente nel caso di contenziosi legali, sta causando la morte della medicina e della psicologia, che non sono una tecnica, ma un’arte.

Le linee guida e le evidenze scientifiche possono essere un utile ausilio per il professionista sanitario, orientandolo nel suo lavoro, ma quando vengono calate nella pratica quotidiana il medico o lo psicologo non può dimenticare che il suo compito è proprio l’ascolto e la valutazione del singolo paziente, nella sua unicità e particolarità. Se si lascia prendere dalla paura, ben alimentata dalle norme assicurative, che coprono il sanitario solo se segue le linee guida, finirà per abbandonare l’approccio umano per inserirsi in un algoritmo. Questo porta a uno svuotamento di significato nella relazione fra caregiver e paziente, togliendo loro proprio tutto ciò che c’è di più autentico e vitale nella relazione terapeutica.

La scienza e le sue evidenze debbono essere alleate nella pratica dell’operatore sanitario, ma non devono diventare tiranne e totalizzanti: nella relazione di cura c’è molto, molto di più che non la formulazione di una diagnosi, l’applicazione di un protocollo di accertamenti e la prescrizione di una terapia.

Ma di questo parleremo nel prossimo articolo.

Antonella sagone, 8 dicembre 2022

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