Nel mondo selvaggio

Nel mondo selvaggio, con i nostri bambini

Riprendono le belle giornate; e per ritrovare il contatto con il mondo naturale, non c’è nulla di meglio di una bella passeggiata nel bosco. Ma non una semplice passeggiata; quello che propongo oggi è un percorso di vera riscoperta della natura selvaggia, per ritrovare il contatto e la connessione con l’essenza stessa della natura. È un percorso che faremo insieme a loro, imparando insieme. Possiamo accompagnarlo con gesti semplici e autentici, come questa passeggiata in un bosco, lungo un fiume, in riva al mare. Si tratta di un viaggio che possiamo fare insieme a loro, mostrando un modo di accostarci alla natura che anche loro possono comprendere e seguire; i bambini a loro volta ci mostreranno aspetti del mondo naturale che i nostri occhi disincantati non sono più in grado di vedere, dandoci la chiave per ritrovare assieme quell’intimità con la natura che ci è stata tolta con la vita alienata di tutti i giorni.

Cominciamo

Ecco che ci prepariamo. Ci siamo vestiti in modo non vistoso, per passare inosservati e non spaventare gli animali che potremmo incontrare; non siamo forniti di coltellini, seghetti, ceste per la raccolta di frutti o funghi: questa volta vogliamo semplicemente fare una visita, e non venire per prendere qualcosa.

Questo può essere un buon inizio per preparare i bambini a un incontro con la natura, in modo che diventi un’esperienza vitale e non una semplice passeggiata. Con noi porteremo solo alcuni piccoli “oggetti” che avremo scelto insieme al bambino: un sasso preso per terra, una foglia raccolta in giardino, una manciata di cenere del focolare. Mostreremo più tardi ai nostri bambini lo scopo di queste cose, per il momento diciamo solo che si tratta di un “regalo” per il bosco e scegliamoli assieme ai nostri figli.

Ma… aspetta un momento, manca qualcosa… Ah, sì: spegnere i cellulari!

Ritrovare il continuum

Ma perché tanti preparativi? Non basta semplicemente andare?

A volte è così: alcuni bambini non hanno bisogno di guida per comunicare con il mondo delle piante e degli animali. In fondo i bambini hanno un contatto istintivo con la natura. Approdano nel nostro mondo ancora connessi al quel continuum che ha forgiato la nostra specie milioni di anni fa, e non hanno bisogno di aiuto per collegarsi con la comunità vivente naturale.

Tuttavia, questo continuum può venire turbato o interrotto molto presto a causa delle condizioni di vita della comunità umana in cui il nuovo nato nasce e si sviluppa. Noi adulti per primi a volte erigiamo barriere, limitando il contatto del bambino con il suolo, l’acqua, gli elementi del clima. L’ambiente in cui abitiamo è spesso profondamente urbanizzato e lontanissimo da quello che ha forgiato la nostra tipicità di esseri umani; e non si può ritrovare il continuum perduto da un giorno all’altro. Così, nasce l’esigenza di ricondurre il bambino nella natura e aiutarlo a ritrovare quella connessione che nasce dai suoi istinti più vitali.

Eccoci dunque ai margini del nostro bosco; ma prima di entrare, fermiamoci un attimo a “salutare” la comunità vivente che lo abita, piante e animali, e a presentarci: per il bambino questo non sarà affatto strano, per noi forse un po’, però in fondo stiamo entrando in casa d’altri e occorre rispetto e buona educazione… e questo per un bambino deve essere manifestato in modo semplice e tangibile.

Per i bambini la natura è viva

Per i bambini la natura è “viva” in senso letterale. Le piante crescono perché vogliono farlo. Le onde vogliono bagnare la spiaggia. Il vento lo provocano gli alberi scuotendosi forte.

Questa visione “animista” può essere una chiave per spiegare loro i fenomeni naturali in un modo a loro immediatamente comprensibile. Può essere usata come una metafora per descrivere loro concetti complessi: l’interdipendenza, l’habitat, l’evoluzione delle specie. In un certo senso, la tendenza naturale di ogni specie, animale o vegetale, a muoversi fra equilibrio ed evoluzione, può essere vista proprio come un “intento”.

Così, davanti a un arbusto carico di frutti, possiamo usare il linguaggio del bambino e dire che quelle bacche, quei frutti gustosi, la pianta li ha destinati a tante creature diverse. Possiamo permettere alle piccole mani di cogliere qualcuno di quei frutti, perché quelli alla sua portata sono effettivamente per lui; tuttavia, quelli più bassi sono per qualche piccolo animale del bosco, così come i più alti sono per gli uccelli, quelli caduti a terra per le formiche e le lumache, e quelli ancora acerbi… appartengono all’albero.

Anche il concetto di interdipendenza è intuitivo per un bambino: per lui tutto è connesso e nessuno stupore che cogliere un fiore possa disturbare una stella, come recita un antico detto. Come è evidente per lui che ogni specie desidera una casa giusta per sé, e l’alterazione dell’ambiente possa distruggere o cambiare questa casa in modo tale da indurre l’animale a cambiare residenza.

Il rispetto non è distacco

A volte l’irruenza con cui i nostri figli entrano in contatto con la natura ci spaventa. Non tutti sono delicati e discreti; alcuni strappano piante o strapazzano gli animali domestici. Non sempre questo dipende dall’educazione. Ci sono bambini che sono altrettanto “fisici” anche con i coetanei. In genere questa violenza è fatta senza intenzione di far male, e dipende dalla scarsa capacità del bambino, in certi momenti, di esprimere in modo diverso le emozioni che prova o il desiderio di entrare in intimità con la natura che lo circonda. Spesso questa fase termina quando il bambino inizia a parlare meglio, a riprova del fatto che si tratta di un modo, seppure rude, di comunicare.

Possiamo impedirgli di tirare i baffi al gatto, ma la cosa migliore è insegnare al bambino il linguaggio del gatto, in modo che possa capire da sé quando il suo intervento è gradito o meno. E nel nostro bosco? Se siamo fortunati, avremo un incontro con qualche animale selvatico; però dobbiamo essere discreti e pazienti. La nostra presenza può aiutare il bambino ad apprendere, come in un gioco, a muoverci silenziosamente per cogliere la vita intorno a noi.

Non proibiamogli di prendere qualcosa, di cogliere un fiore, di staccare un ramoscello: però diamogli la possibilità di comprendere che ogni specie vive e desidera mantenere la sua integrità, per cui ciò che prendiamo deve essere fatto nel rispetto di questa esigenza. Se nostro figlio vuole staccare delle foglie o cogliere dei fiori, lasciamo che ne colga solo uno o due per pianta, evitando di lasciare una pianta completamente spoglia; se vuole mangiare dei lamponi, non facciamone incetta ma cogliamo solo quelli che effettivamente sappiamo di poter mangiare sul posto. Queste azioni fanno parte del cerchio della vita; però è importante che siano commisurate ai bisogni dell’individuo, e non vadano oltre diventando un gesto gratuito. Non siamo qualcosa di separato dalla natura, non siamo né i suoi distruttori né i suoi difensori: entrambe le posizioni ci porrebbero all’esterno e al di sopra di essa, ma noi siamo invece un elemento che ne è parte integrante. Entro i limiti del rispetto e dell’equilibrio, lasciamo che sia il bambino a insegnare a noi come diminuire la distanza con il mondo selvatico: toccando, annusando, rotolandosi, arrampicandosi e, perché no, anche parlando agli alberi, ai fiori, alle api e alle lucertole.

Alcuni giochi da fare nel bosco

Siamo tutt’orecchi

Proviamo a stare immobili e in silenzio. Chiudiamo gli occhi. Scopriremo che il bosco è tutt’altro che silenzioso! Ci sono i suoni degli animali – cinguettii, ronzii, versi di ogni tipo; e ci sono i suoni degli alberi stessi: i cigolii e gli scricchiolii dei rami, il fruscio delle fronde, il bisbiglio del vento, che si sente arrivare da lontano e che passa come un’onda. Nel silenzio persino una foglia che cade fa un rumore forte e distinto! Dopo aver ascoltato, se abbiamo con noi un gruppo di bambini possiamo fare il concerto del bosco: ogni bambino riprodurrà uno dei rumori che abbiamo sentito. Diventeremo anche noi il bosco!

“Noi eravamo alberi”

Quante braccia servono per abbracciare un albero? potremmo scoprirlo insieme cingendolo in un cerchio di braccia. Se poggiamo un orecchio contro il tronco, probabilmente noi adulti non sentiremo nulla; ma un bambino forse sì e potrà dirci cosa ha “sentito” e comunicarci il messaggio dell’albero. Possiamo fare il gioco degli alberi: capire un po’ cosa significa vivere fissi in un posto per tutta la vita. In piedi, meglio se scalzi, immaginiamo che sotto i piedi le radici si prolunghino a intrecciarsi nel sottosuolo. Là sotto, sono tutte intrecciate le une alle altre, forse è così che una foresta comunica al suo interno, chissà… possiamo sollevare un po’ le braccia per capire cosa significa contrastare la forza di gravità e quale possanza deve avere un ramo di quercia per mantenersi dritto, parallelo al suolo. Possiamo chiudere gli occhi e oscillare sul posto, appena appena, comprendendo l’importanza di mantenersi flessibili ma saldi.

Più lenti della lumaca

Un altro gioco divertente è la camminata lenta. Si tratta di muoversi come se si fosse al rallentatore: un passo deve impiegare almeno 5 secondi. un piede non si stacca da terra finché il peso del corpo non si è spostato sull’altro. Tutto questo per un bambino può essere un gioco che, mentre insegna l’equilibrio e la pazienza, permette di inoltrarci nel sottobosco senza disturbare gli animali selvatici, che spesso si muovono proprio davanti ai nostri occhi.

I bambini ci insegnano

A pensarci bene, insegnare ai nostri figli il rispetto e l’amore per la natura presuppone un percorso da parte nostra. Noi per primi dobbiamo recuperare questo rispetto e questa confidenza, liberandoci dai due maggiori ostacoli che ci separano dai nostri fratelli animali e vegetali: l’avidità e la paura. Quella paura del contatto diretto con il sole, il vento, il fango, l’erba, la pioggia, che ci è stato inculcato da bambini e che ora potremmo rischiare di trasmettere ai nostri figli. E l’avidità, il desiderio di possedere, che reifica i viventi, li rende simili ad oggetti che possono essere portati via, comprati, venduti – e cos’è questo se non di nuovo paura, di mancare del necessario, di non essere in grado di tenere sotto controllo l’ambiente che ci circonda e ci compenetra?

Alcuni di noi hanno recuperato, con un lungo lavoro su di sé, questa capacità di intimità con il mondo naturale: camminando scalzi o praticando il naturismo ad esempio. Per un bambino questo passo sarebbe molto più semplice, perché i suoi condizionamenti sono molto più recenti dei nostri. Bisogna ricordare che il bambino nasce nel ventunesimo secolo, ma proviene direttamente dalla giungla dei nostri antenati. In quel luogo di milioni di anni fa, per un bambino camminare (o persino gattonare) senza le scarpe era del tutto ordinario e non suscitava alcun allarme negli adulti. 

Accomiatarsi

E se il bambino vuole portarsi via con sé qualcosa del bosco? Non è di per sé sbagliato, certo nei limiti di ciò che non danneggia e depaupera l’ambiente. SI può portare via un rametto, una pigna, una pietra. Ma è il momento di cedere a nostra volta qualcosa, di utilizzare il “dono” che ci siamo portati da casa: un po’ di cenere per restituire, come fertilizzante, ciò che abbiamo ricevuto come legna da ardere; una foglia per arricchire il sottobosco; un sassolino o una conchiglia per fare da riparo a qualche minuscolo insetto.

Ed eccoci giunti alla fine del nostro percorso. Stiamo per lasciare il bosco; ma manca ancora una cosa, i saluti. Come all’inizio ci siamo presentati e abbiamo chiesto il permesso di entrare, alla fine possiamo ringraziare, e abbracciare per un istante con lo sguardo il meraviglioso mondo che ci ha accolto generosamente e con il quale, per qualche tempo, abbiamo condiviso il flusso della vita. Grazie, Bosco!

Antonella Sagone, 23 febbraio 2023

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.