Allattamento: il codice violato

Allattamento: il codice violato

La volontà delle madri di allattare al seno incontra spesso ostacoli; ma uno dei fattori più limitanti, che più pesantemente incide sulla rinuncia ad allattare, è la pubblicità di prodotti sostitutivi del latte materno e delle attrezzature (biberon, tettarelle) usate per somministrarli.

Un marketing aggressivo

Sin dagli anni ’50 una martellante pubblicità ha promosso l’uso di prodotti che andavano a sostituire il latte materno. In quegli anni, fino alla metà degli anni ’70, il “latte artificiale” veniva sfacciatamente proposto come migliore di quello materno perché “arricchito” e più nutriente. In un’epoca non molto lontana dalla fine della guerra, il bambino grasso, con i rotolini di ciccia, era ancora un valore positivo e la formula certamente favoriva il sovrappeso, mentre il latte materno, con il suo aspetto così opalescente, veniva sminuito e dipinto come un segno di povertà, riservato a chi non poteva permettersi il lusso di un cibo più moderno.

Questa linea è stata poi abbandonata con l’avanzare delle malattie del benessere, ed è qui che si è iniziato a minare la capacità delle donne di allattare, sia sul piano ideologico che concreto. Negli anni ’70 e ’80 era prassi comune negli ospedali separare immediatamente il neonato dalla mamma dopo il parto e tenerlo per 24-48 ore sotto osservazione e senza venire allattato, in quanto si riteneva dovesse smaltire gli eventuali muchi e il liquido amniotico deglutito, e potesse per un certo tempo vivere “di rendita” con i nutrienti ricevuti nel grembo materno; il colostro era disprezzato, spesso ritenuto nocivo, e attaccare il bambino prima dell’arrivo della montata considerato “inutile” perché tanto la mamma “ancora non aveva latte”. A quel tempo il ricovero dopo il parto era appunto fino a qualche giorno dopo la montata e quindi nella prima settimana/5 giorni il bambino era tenuto nella nursery e portato alla mamma per le poppate (mezz’ora di tempo) ogni 4 ore e mezza circa.

Già questo era sufficiente a mandare all’aria molti allattamenti, oltre ai consigli ricevuti per incoraggiavano la mamma a tenere questi orari anche a casa e a fare un abbondante uso di ciuccio e camomille per allungare gli intervalli fra le poppate.

Ma è dal punto di vista culturale che le pubblicità della formula hanno inciso di più. Qualsiasi situazione veniva letta come la prova di una scarsità di latte materno o della sua qualità nutritiva. “Il latte materno è l’alimento migliore per il neonato – recitava qualsiasi pubblicità – ma se scarseggia, allora il nostro latte artificiale è ugualmente buono e perfettamente adeguato”.

Nelle farmacie, nei negozi per bambini, sulle riviste femminili, sui cartelloni stradali, sulle confezioni della formula per lattanti, negli studi pediatrici, fin dentro i reparti di maternità, ovunque un genitore potesse posare gli occhi facevano bella mostra di sé manifesti, depliant, cataloghi e riviste recapitate direttamente a domicilio.

Un codice a protezione dell’allattamento

Proprio per questo è nato il Codice internazionale di commercializzazione dei sostituti del latte materno, una direttiva dell’OMS del 1981, ampiamente sottoscritta dai Paesi membri (con astensione di Stati Uniti, Germania e Svizzera), che regolamenta la promozione e il marketing di tutti i sostituti del latte umano.

Il Codice vieta la pubblicità di ogni tipo di sostituto del latte materno o altro alimento o bevanda se proposto in alternativa al latte della mamma; la raffigurazione di neonati di meno di sei mesi che assumono sostituti (formula o anche liquidi non nutritivi); o l’uso, al posto dell’allattamento al seno, di altri prodotti come biberon e tettarelle. Il Codice Obbliga a pubblicare sulle confezioni un disclaimer che attesta la superiorità del latte materno rispetto a qualsiasi sostituto, e a raccomandare di consultare il medico prima di somministrare sostituti, sia per verificarne l’appropriatezza, sia per conoscerne la corretta preparazione e uso.

Il Codice analizza e regolamenta ogni forma di promozione presente al tempo della sua compilazione: pubblicità su riviste e televisione, omaggi, promozioni, concorsi, confezioni accattivanti, pacchi dono, pubblicità postale, promozioni presso i punti vendita, promozione diretta fin nei reparti di maternità, informazione e altre forme di promozione dirette ai medici. A seguito dell’implementazione (anche se parziale) del Codice in Italia, ad esempio, è vietato fare pubblicità del latte formulato di tipo 1 (da 1 a 6 mesi), mettere sulle confezioni immagini di bambini, dare campioni omaggio alle madri o agli operatori o nei reparti di maternità, distribuire direttamente alle madri campioni di formula per lattanti, prescrivere marche specifiche di formula nelle ricette mediche o sul foglio di dimissioni dall’ospedale. Se fate caso, oggigiorno non si vedono più pubblicità dirette della formula, come avveniva negli anni ’70, anche se (grazie alla manica larga della legge italiana) possiamo ancora vedere pubblicità della formula di tipo 2, delle tisane, degli omogeneizzati, dei biberon e dei ciucci. La pubblicità si è fatta più sottile, promuovendo ad esempio prodotti per bambini più grandi, come il latte di crescita, con confezioni quasi identiche a quello per neonati, oppure raffigurando nelle pubblicità consentite bambini molto piccoli che succhiano un biberon di latte 2 o di camomilla.

Ma il vero salto di qualità, che ha permesso alle aziende di tornare ai tempi d’oro della deregulation, è stata la conquista del territorio vergine del mondo digitale.

I biberon nella rete

Il limite delle leggi restrittive sul marketing della formula è stato scavalcato e le aziende si sono avvantaggiate della mancanza di norme specifiche indirizzate al mondo del web.

I mezzi per promuovere digitalmente un prodotto sono innumerevoli e possono essere applicati nelle più diverse modalità in rete: sui social, nei blog, nei tutorial per genitori, attraverso i pop-up pubblicitari oppure con l’invio di mail o di messaggi privati. Servizi di informazioni e consigli per genitori, a cui gli utenti vengono indirizzati, sono in realtà canali di promozione per le industrie del cibo per l’infanzia; club di mamme sponsorizzati dalle aziende manipolano i consumatori e minano la fiducia e i corretti comportamenti per il mantenimento dell’allattamento al seno; incentivi vengono dati a gestanti e neomadri per trasformarsi in influencer che promuovano prodotti sostitutivi in una modalità “da mamma a mamma”, particolarmente efficace; sportelli di risposta alle domande “sulla cura dei neonati” vengono proposti con la formula di “chiedi alla I.A.” e ricevono decine di migliaia di accessi, a cui l’Intelligenza Artificiale offre poi appropriati consigli che dirottano a questa o quella marca di formula; le app per monitorare il peso del bambino o tracciarne le tappe di sviluppo possono contenere consigli inappropriati di ricorso alla formula, con tanto di marca del prodotto; pagine di “informazioni per i genitori” indirizzano direttamente alle pagine delle compagnie produttrici di sostituti del latte materno; video mostrano bambini di meno di sei mesi assumere formule di specifiche marche; falsi club e community ricevono compensi o facilitazioni per elargire consigli “da pari” su questo o quel prodotto; e quasi mai questi consigli vengono accompagnati dai disclaimer e dalle raccomandazioni prescritte dalle normative nazionali e internazionali, proprio grazie alla “delocalizzazione” tipica del web che permette un’infinita diluizione delle responsabilità.

Se la mamma non va al mercato… il mercato va alla mamma

I programmi di tracciamento e di estrazione di dati permettono alle aziende di profilare con estrema precisione le esigenze e i comportamenti degli utenti. Basta un annuncio di maternità su un social, o una ricerca sui motori di ricerca su temi legati alla gravidanza e maternità, per far sì che i futuri o neogenitori divengano il bersaglio per annunci pubblicitari mirati. Analisi predittive, geolocalizzazioni e uso dell’Intelligenza artificiale vengono combinati per creare pubblicità personalizzate, differenziate per tipologia di utente, tagliate su misura per diverse scale di valori, interessi, preoccupazioni o esigenze, o per indirizzare direttamente l’utente verso il più vicino punto vendita o quello più conveniente in ogni momento. Gli onnipresenti assistenti digitali che seguono ogni respiro del potenziale cliente dai cellulari, dai televisori e dagli altri dispositivi casalinghi, inviano un flusso infinito di dati alle aziende produttrici del dispositivo, che a sua volta li rivendono al miglior offerente, permettendo di fare proiezioni sempre più precise sulle esigenze, preoccupazioni e reazioni dei consumatori. programmi per l’analisi facciale delle emozioni saranno presto in grado di facilitare alle ditte l’invio di annunci modellati secondo l’umore del potenziale consumatore. I dati generati dai like e altri comportamenti e reazioni degli utenti sui social vengono raccolti direttamente o indirettamente rivenduti dai social stessi alle aziende interessate.

Il bisogno di nuove normative

Anche se sono ancora scarsi gli studi su questi fenomeni, è ben comprovato il loro effetto deleterio sulla propensione della madre ad allattare e, successivamente, sul successo e sulla durata dell’allattamento. Studi scientifici hanno mostrato l’efficacia di questi metodi, con l’incremento delle vendite fino a oltre il 30%.

Nonostante esistano le direttive OMS e anche leggi nazionali a limitare o proibire certe pratiche, questi strumenti localizzati ovunque e in nessun luogo, come può essere nella Grande Rete, sfuggono più facilmente alle normative e ai meccanismi di controllo locali e internazionali. Il monitoraggio delle violazioni al codice OMS (in Italia pubblicato ogni anno con il nome de “Il codice violato”), raccoglie sempre nuove e più numerose forme di trasgressione alle normative. Nuove norme e nuovi strumenti di monitoraggio contro le moderne violazioni delle leggi sul marketing sono necessarie per contrastare i potenti algoritmi delle ditte degli alimenti per l’infanzia. Meccanismi di autoregolazione degli ambienti digitali più popolari (come Facebook, Google, You tube, Instagram, Tik Toc eccetera), che limitano le pratiche scorrette o nocive per la salute, sono auspicabili ma non saranno sufficienti a frenare l’aggressività del marketing illegale sui sostituti del latte materno, che secondo numerosi studi riduce sensibilmente il numero di donne che scelgono di intraprendere l’allattamento al seno, e aumenta il numero di abbandoni precoci a favore della formula.

Accanto alla lotta per il rispetto del Codice e a tutela dei consumatori, è necessaria una rivoluzione culturale, che restituisca all’allattamento al seno il suo ruolo di standard per la salute nell’alimentazione e accudimento del bambino, e che informi gli operatori sanitari su come proteggere e sostenere l’allattamento attraverso un’informazione adeguata e un sostegno alle famiglie, affinché possano portare avanti questa pratica fisiologica senza ostacoli causati dai protocolli inappropriati di assistenza alla nascita o da normative sul lavoro che non tengono sufficientemente conto di questo diritto primario.

Antonella Sagone, 22 giugno 2023

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