Induzione del parto, troppo frequente

Gravidanza: perché tanta fretta di terminarla?

Numerosi sono i motivi per cui può essere deciso di praticare l’induzione del parto, invece di attendere il suo termine naturale. A parte le situazioni di urgenza, quindi di patologie in atto, esistono condizioni di rischio che fanno optare per cercare di avviare il parto di una gestante prima del termine; ad esempio il diabete materno o l’ipertensione. Esistono poi altre condizioni non patologiche in sé, ma che vengono considerate «a rischio» e pertanto portano a tentativi di induzione; ad esempio l’età materna o il protrarsi della gravidanza in presenza di una macrosomia fetale (bambino molto grosso).

L’induzione può essere tentata in vari modi, più o meno invasivi: si parte dal cosiddetto scollamento delle membrane (spesso effettuato senza nemmeno chiedere il consenso e senza preavviso durante la visita ostetrica) all’utilizzo di prostaglandine o di ossitocina sintetica. SI tratta di interventi difficilmente reversibili, nel senso che una volta avviato il processo di travaglio di parto, difficilmente si può cambiare idea e decidere invece di aspettare ancora. Le contrazioni indotte dall’ossitocina sintetica, non modulate da tutto il concerto di ormoni che naturalmente entrano in gioco in un travaglio spontaneo, sono notoriamente più dolorose, intense, ravvicinate e più difficilmente controllabili; possono inoltre aumentare in rischio di parto distocico, cioè di un parto in cui le contrazioni divengono caotiche e troppo prolungate, mettendo a rischio la salute del nascituro e l’integrità del tessuto uterino, il che aumenta la probabilità che un parto indotto possa finire con un cesareo.

I ricercatori islandesi hanno esaminato 85.620 nascite, dal 1997 al 2018, e hanno potuto constatare che il tasso di induzioni in questi due decenni è quasi raddoppiato (dal 12,5% al 23,9%).

Uno dei motivi di questo andamento è dato dal fatto che con il tempo sono sempre più aumentate nei protocolli le condizioni considerate a rischio. Questa situazione è tipica della medicina difensiva, sempre più pervasiva, e si fonda su due pregiudizi (o modi di intendere la pratica medica): il primo, che da un punto di vista legale, quando si verifica un danno, è più difendibile la posizione di un medico che abbia effettuato tutti gli interventi possibili, abbia cioè ipermedicalizzato, piuttosto che quella di un medico che abbia scelto di non intervenire. Questa idea a sua volta si radica nella convinzione che i processi naturali, come ad esempio il parto, siano più rischiosi dei loro corrispettivi interventi medici: l’induzione invece dell’avvio spontaneo del travaglio, il parto vaginale piuttosto di quello cesareo.

Uno dei dati preoccupanti, comunque, emersi dalla ricerca è che quasi una donna su 10 subisce in parto indotto senza alcuna motivazione specifica.

Il testo integrale L’abstract (in inglese) dello studio può essere letto qui

 Antonella Sagone, 30 agosto 2023

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