Allattamento: informare o colpevolizzare?

Allattamento: informare o colpevolizzare?

Immaginiamo un mondo di fantascienza nel quale nessuno sappia più come prendersi cura dei propri denti. Si raccomandano gomme americane e frequenti risciacqui ma nessuno sa più come e perché spazzolare denti ogni giorno. Le carie sono diffuse e i medici consolano i pazienti con la bocca danneggiata dicendo che al giorno d’oggi le cure dentistiche sono estremamente efficienti e un dente ben incapsulato è buono quanto quello vero, e che purtroppo non tutti nascono con denti sani e resistenti. Viene detto che parlare del problema delle carie sia non inclusivo per chi ha i denti cariati, e che le persone devono essere lasciate libere di scegliere, senza pressioni, se tenersi in bocca i denti naturali od optare per la dentiera.

In questo mondo ipotetico, la mamma che scopre costernata le carie nella bocca del suo bambino si sente probabilmente in colpa, perché le rimane il dubbio di aver sbagliato qualche cosa; ma i media e i sanitari sono pronti a dirle che non deve sentirsi una mamma di serie B e che quei fanatici dell’igiene orale la devono finire con il mito dello spazzolino, facendo così sentire in colpa le povere madri i cui bambini hanno lo smalto dei denti così fragile.

Sembra, appunto, fantascienza; eppure è proprio quello che avviene nei confronti dell’allattamento al seno.

Il problema si ripresenta tutte le volte che si mette a confronto allattamento e alimentazione con formula, abbandonando la prospettiva che mette la formula come standard. Queste reazioni mostrano quanto in profondità è arrivato un certo condizionamento, se dire che abbandonare la fisiologia ha un suo prezzo e un suo rischio suscita tanto clamore.

Molte madri che non hanno allattato quanto volevano si sentono arrabbiate, o peggio, addolorate e deluse, in colpa o inadeguate, e quando sentono parlare di benefici dell’allattamento, o di come riuscire ad allattare, lo possano vivere come un rigirare il coltello nella piaga.

Un aspetto che fa risentire e toccare sul vivo le madri è che viviamo in una cultura così giudicante, che appena si parla di una qualsiasi problematica (o persino se si parla dei benefici di un comportamento salutare) chi non ha seguito tale comportamento (e spesso in realtà per responsabilità altrui!) si sente sotto accusa, anche quando le informazioni vengono date in modo assolutamente non giudicante. È molto faticoso comunicare in questo clima pieno di giudizi e difensività.

Il femminismo è un’altra cosa

Perfettamente rappresentativo di questa posizione (che polemizza sulle madri di serie A e di serie B) è stato anni fa il libro di Elizabeth Badinter “L’amore in più”, in cui la filosofa francese attaccava pesantemente i sostenitori dell’allattamento al seno, tacciandoli di fanatismo, integralismo, di voler far sentire in colpa le donne che non riescono ad allattare, di voler stigmatizzare e giudicare le donne che scelgono in modo diverso per se stesse e i loro figli.

Entrano poi a volte in gioco anche i paradigmi di un certo femminismo che vede le attività più strettamente legate alla fisiologia di genere come un fardello legato a una condizione ghettizzante e stereotipata della donna. Si afferma che sia pericoloso affrontare la questione della maternità ponendo l’accento sugli aspetti biologici, perché questo approccio può trascinare con sé un retaggio antico di legame tra maternità e natura che rischia di sfociare in una pericolosa retorica del sacrificio materno. Ma il fatto che questo rischio esista non deve spingerci a rifiutare la realtà in sé, e cioè questo nesso biologico, ma solo a farci stare in guardia e respingere parallelismi fra maternità e sacrificio che non hanno proprio nulla a che fare con la natura e la fisiologia, ma sono costrutti della cultura patriarcale. Non confondiamo insomma la maternità con l’istituto della maternità, che è un costrutto culturale.

Questo è un grosso equivoco relativo al femminismo. Il femminismo era ben altro; c’erano, è vero, anche le componenti di rifiuto delle specificità biologiche femminili (partorire, allattare) ma si trattava di istanze nate da chi non aveva ancora imparato a distinguere fra il femminile e l’immagine maschilista del femminile, e buttava (letteralmente) il bambino con l’acqua del bagno.

“Femminismo” non è soltanto lotta per la parità dei diritti. È recupero della propria identità di donna, della propria unicità, specificità femminile, dei poteri interiori a lungo sopiti, fuorviati e repressi. È empowerment. È liberazione. È vedere il proprio essere donna con gli occhi, il cuore e la mente di una donna, e non con quelli dell’uomo.

Le mistificazioni dei media

Periodicamente sui media appaiono articoli volti in qualche modo a sminuire l’importanza dell’allattamento materno e ad attaccare in modo più o meno esplicito e più o meno astioso coloro che, fornendo informazioni e sostegno alle madri che allattano, promuovono la salute di mamme e bambini attraverso la difesa di questa pratica normale e fisiologica.

Anche sul fronte medico e scientifico ogni tanto, fra varie centinaia di studi rigorosi, spunta fuori uno studio, tipicamente poco significativo dal punto di vista delle evidenze scientifiche, effettuato su piccoli numeri, dotato di debolezze metodologiche, a volte viziato da finanziamenti non privi di interesse, che cerca di smantellare decenni di ricerche consolidate che comprovano i rischi dell’alimentazione artificiale, sminuendone l’importanza o traendo conclusioni arbitrarie da dati poco attendibili. Di queste ricerche, i cui limiti spesso sono evidenziati dagli stessi autori, si impadroniscono i media dando loro un risalto poco giustificato, se non alla luce del fatto che rafforzano le ideologie e le mitologie della nostra cultura relativamente all’allattamento.

Ancora oggi suscitano accesi dibattiti, sulle riviste patinate o in rete, affermazioni di apparente “difesa” della libertà di scelta delle donne, accompagnate da un “ridimensionamento” dei benefici dell’allattamento. Talvolta sono gli stessi esponenti della classe medica, in interviste rilasciate alla stampa o in televisione, a farsi difensori della sensibilità materna biasimando chi parla di benefici dell’allattamento e definendo tale promozione come ottuso integralismo, colpevolizzante nei confronti di chi non ha allattato. In un articolo on line di qualche tempo fa, intitolato “Allattare al seno, fine di un mito”, si esortava a non esagerare con i vantaggi per la salute dei piccoli, cercando di far passare le raccomandazioni più che trentennali di autorevoli organizzazioni nazionali e internazionali come suggerimenti buoni per le madri del terzo mondo. Sono molto comuni le affermazioni sminuenti di questo tipo, che cercano di ridurre l’allattamento materno, una funzione fisiologica che esiste da milioni di anni, a una moda nata meno di vent’anni fa, ed equiparabile ad altre “manie” del naturale a tutti i costi.

Nel mondo alla rovescia descritto in questi articoli, chi suggerisce scelte salutari forzerebbe le donne ad allattare, anche quando sono in difficoltà palese, con toni intimidatori e critici, arrivando a mettere addirittura a rischio la salute del bambino pur di proibire il latte artificiale: una narrazione del tutto scollata dalla realtà. Purtroppo è vero che c’è anche chi ha toni giudicanti nel parlare di allattamento (proprio per questo è importante informare in modo pacato ma onesto, senza mistificazioni); ma si tratta di una minoranza.

Chi cerca di fare informazione non ha nessuna intenzione di criticare o giudicare nessuno o, peggio, insinuare che le madri che non sono riuscite ad allattare siano meno amorevoli o materne per questo, o siano di serie B. Però lasciatemi dire che c’è una società (e una comunità sanitaria) di serie A e una di serie B, la seconda è quella che non è adeguata e non ha le competenze per affiancare e sostenere la mamma che allatta e che tante volte, pure animata da buone intenzioni, fornisce quelle indicazioni che alla fine portano al declino dell’allattamento.

I benefici dell’allattamento sono un mito?

Riflettiamo su questa parola. Secondo il vocabolario, MITO = Credenza sostenuta dalla convinzione popolare ma non fondata su fatti oggettivi.

Secondo questa definizione, dunque, il mito non è certo quello dei benefici dell’allattamento, suffragati dalla mole di migliaia (sì, migliaia) di studi, bensì quello che allattare dipenda da doti personali o dalla forza di volontà della donna (invece che da informazioni corrette e sostegno). È questo mito, e non certo la sacrosanta promozione dell’allattamento, a far sentire in colpa le donne (paradossalmente, proprio quelle che avrebbero voluto allattare!), e a permettere a chi non ha saputo sostenerle e aiutarle di continuare a ignorare le proprie responsabilità. Su questo tema potete leggere anche questo articolo.

Questo genere di campagne falsamente a difesa delle donne, in realtà a tutela di uno status quo, sono oltretutto ingiuste ed offensive nei confronti di tutti quegli operatori sanitari, medici, ostetriche, puericultrici, consulenti in allattamento, formatori e ricercatori, che hanno speso decenni ad aggiornarsi e a diffondere informazioni corrette, facendo soltanto il loro dovere e cioè mettendo in mano alla donna le informazioni più complete a tutela della sua salute e di quella di suo figlio, in modo da permetterle di fare la scelta più informata e adeguata per lei, e sostenendola poi in questa scelta con informazioni pratiche e aiuto competente nella risoluzione dei problemi. 

Tutte le donne sono pienamente libere e in grado di scegliere il meglio per sé, i propri figli, la propria famiglia, ma una libera scelta presuppone una informazione completa nel merito e nel metodo (il come fare), altrimenti non è più libera. La donna che, dopo aver appreso ogni informazione utile, valutando per sé i pro e i contro sceglie di non allattare, difficilmente poi ha rimpianti o si sente in colpa se legge informazioni sui rischi e i benefici di questa o quell’altra scelta; e certamente sceglie il meglio per lei in quel preciso momento, come approfondisco in questo articolo.

Concludo dicendo che si ha ragione a diffidare di ogni diktat e di chi dispensa consigli o dice a una donna quello che “deve” fare, e di tutte le situazioni in cui si esalta un percorso legato alla biologia femminile (partorire, allattare ecc) senza però dare alcun aiuto o informazione sul COME effettuare questo percorso nel rispetto della fisiologia, anzi non proteggendo bensì ostacolando tale fisiologia con azioni e suggerimenti inappropriati. Questo è il contrario dell’empowerment e del rispetto della persona, è ancora il vecchio approccio paternalistico e colpevolizzante con il quale non vogliamo aver nulla a che fare; ma che non è appannaggio né dei detrattori né dei sostenitori dell’allattamento ma è trasversale e pervasivo.

Ed è su questo che c’è tanto ancora da lavorare.

Antonella Sagone, 10 ottobre 2020

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