Disciplina dolce non è dire sempre di sì

Disciplina dolce non è dire sempre di sì

Spesso i genitori empatici, che preferiscono la via della comprensione, dell’ascolto e della gentilezza, vengono sminuiti e squalificati in molti modi, e il loro approccio viene ridefinito in modi deteriori, deformando i loro reali intenti. Si insinua ad esempio molto spesso che il genitore che segue il bisogno del bambino lo faccia per debolezza o pigrizia (come se una lettura attenta dei bisogni del bambino e una gestione contestualizzata delle sue emozioni fosse una cosa semplice e poco faticosa), paura (incapacità di gestire i sentimenti negativi del figlio) o per narcisismo (bisogno di essere e sentirsi una brava madre e valutarsi in base al grado di felicità del figlio).

Ma essere empatici e praticare la disciplina dolce non significa essere accondiscendenti o passivi. Si può essere empatici e nello stesso tempo dissentire, opporsi, prendere le distanze e dire no; nel rispetto dei sentimenti e bisogni di tutti.

Autoritarismo e lassismo: due facce della stessa medaglia

Quando parliamo di ascoltare e rispondere ai bisogni dei bambini non stiamo parlando del dire sempre di sì. Chi dice sempre di sì, cioè risponde – attenzione! – non al bisogno, ma all’esplicita richiesta o pretesa del momento del bambino, non si sta veramente sintonizzando su di lui, non sta facendo veramente ascolto. Si ferma in superficie. Quello è lassismo, “lasciar fare”, e i bambini non hanno bisogno che li si lasci fare, ma che si resti connessi con loro e li si accompagni.

Il lassismo è solo un’altra forma di abbandono, proprio come chi rifiuta, punisce, nega.

Tanto i genitori autoritari, che educano i figli con le punizioni, l’esercizio del potere, la negazione dell’amore verso il bambino quando si comporta “male, quanto invece i genitori che dicono sempre di sì e lasciano correre, sono spesso stati allevati con gli stessi metodi coercitivi e violenti. I genitori autoritari perpetuano la modalità violenta nell’educazione, perché per loro è doloroso ricordare la sofferenza provata da bambini e difficile mettere in discussione i propri genitori; i genitori permissivi invece cercano di distaccarsi da quelle modalità, perché ne ricordano la sofferenza, ma non hanno ricevuto un modello positivo di accudimento che fosse insieme amorevole ma anche autorevole.

Fare il duro e proibire e punire è un modo di non farsi carico di quel lavoro impegnativo che è l’educazione ai sentimenti e l’elaborazione di strategie condivise per rispettare i bisogni reciproci.

Dire sempre di sì, d’altronde, non è disciplina dolce: è accondiscendenza, un modo facile che però non si fa ugualmente carico di ascoltare i figli, approfondire con loro i loro bisogni, e lavorare tutti insieme per trovare soluzioni che rispettino i bisogni di tutti (non solo dei bambini). È anche questa una mancata assunzione di responsabilità.

Ragionare insieme

Eppure ci possono essere altri modi di gestire un conflitto di bisogni con il proprio figlio, lavorando sui sentimenti e i bisogni di ciascuno. Non è necessario che uno vinca e l’altro perda, che si stabilisca “chi comanda”. Si può lavorare insieme al bambino per trovare una soluzione che vada incontro ai bisogni di tutti, e in questo modo fornire un esempio positivo di rispetto, cooperazione e compassione, che un giorno il bambino ci restituirà. Si può cominciare descrivendo a voce con lui la situazione, quello che lui desidera fare in quel momento, quello che il genitore desidera invece. Come si sente lui, come ci sentiamo noi. È una proposta di ragionare insieme come si può fare a risolvere il problema, a trovare una terza soluzione.

A volte il bambino potrà sorprendere con soluzioni creative. Altre volte non si riuscirà a trovare una terza via e scoppierà la crisi; come adulti, quando i nostri figli perdono le staffe dobbiamo essere in grado di sopportare la cosa senza lasciarci risucchiare dal vortice di emozioni, restare calmi vicino ai nostri piccoli arrabbiati, consolarli semplicemente essendo presenti, non necessariamente accondiscendendo a ogni richiesta, ma restando connessi, in ascolto dei loro bisogni e sentimenti. I bimbi intorno ai due anni sono molto fisici quando esprimono rabbia o frustrazione; non dipende da come sono stati educati, ma dal fatto che ancora non hanno gli strumenti prima di tutto per capire il groviglio di emozioni che stanno provando, e controllarle; e poi per esprimere il problema chiaramente a parole.

L’importanza del contesto

Molti adulti sembrano concentrati esclusivamente sui comportamenti dei loro figli, e non interessati al perché si comportano in un certo modo. Se si è concentrati solo sul comportamento, un metodo coercitivo, violento per ottenere che il bambino si corregga può essere considerato un successo. Ma se ci interessa anche il motivo per cui un bambino si comporta “bene”, allora le cose cambiano.

Fattori chiave dell’approccio gentile sono il contesto in cui avviene una determinata situazione e il significato che diamo alle cose, cioè la motivazione intrinseca. Coloro che criticano l’empatia in genere non sono stati abituati a contestualizzare le situazioni, faticano a capire la flessibilità e preferiscono applicare regole rigide e definizioni che non mutano al mutare delle situazioni.

Giudicare, condannare, disprezzare non produce persone con il senso civico e la capacità di comprendere e rispettare il prossimo, ma solo persone amareggiate, rancorose, che giudicano e disprezzano a loro volta, e che se si limitano lo fanno solo per via delle conseguenze spiacevoli per loro, e non per le conseguenze spiacevoli per gli altri. Insomma che mancano di comprensione, gentilezza ed empatia, qualità naturalmente presenti nei bambini ma che vanno incoraggiate e coltivate, non buttate alle ortiche. Queste qualità si rafforzano e si apprendono solo attraverso l’esempio e non con prediche o peggio punizioni.

Il segreto è: si può dare dei limiti e delle norme, ma questo va tenuto separato dal modo in cui si trattano le persone, in primo luogo i bambini, che hanno sempre diritto a non essere giudicati ma ascoltati e compresi nei loro sentimenti e bisogni, trattati con gentilezza, amati anche quando si dice loro di NO.

La guida gentile

I bimbi intorno ai due anni sono molto fisici quando esprimono rabbia o frustrazione; non dipende da come sono stati educati, ma dal fatto che ancora non hanno gli strumenti prima di tutto per capire il groviglio di emozioni che stanno provando, e controllarle; e poi per esprimere il problema chiaramente a parole. La risposta dell’adulto deve andare oltre la manifestazione emotiva del bambino ed essere per prima cosa un atto di accettazione di ciò che il bambino sente, a prescindere da quello che in quel momento fa. Prima di dare un no “secco”, riflettiamo se quel no è davvero necessario, se l’indicazione su come vogliamo che il bambino si comporti non possa essere invece detta in altro modo (per esempio con una proposta alternativa); se la situazione possa essere prevenuta; se ci può essere un altro modo di andare incontro al bisogno del bambino (al bisogno che c’è dietro, non necessariamente alla richiesta esplicita). Questo non perché non si debba mai dire no, ma perché con un inarrestabile bimbetto ai primi passi di no ne scappano a tonnellate e bisogna ridurli al minimo possibile.

Poi, comunque, nel momento in cui siamo convinti che il no vada detto, accettiamo la contrarietà del bambino. Ma non certo dando il cattivo esempio per primi!! Come possiamo pretendere che accetti la regola che non si picchiano le persone, che non si urla, se noi per primi urliamo o alziamo le mani su una persona che è 5 volte più piccola di noi? La mano del bambino che si alza a colpire va trattenuta; con calma si dice che no, questo non si fa. Ma possiamo anche accettare l’emozione del bambino, le sue lacrime: “Sei arrabbiato perché volevi toccare quell’oggetto? Perché volevi restare al parco giochi?”. Si può essere empatici, gentili, rispettosi anche mentre si dice no. I risultati si vedono nel tempo, il bambino cresce e impara a sua volta a comprendere e a rispettare gli altri. Non c’è un altro sistema. O scegli di crescere un bambino capace di empatia e quindi di rispetto per il buon motivo che ama il suo prossimo e ne ha riguardo; o scegli di crescere un bambino che segue le regole perché altrimenti chi è più forte di lui lo punisce. Finché un giorno non sarà lui il più forte, e allora si sentirà forse in diritto di esercitare a sua volta questa forza verso i suoi figli o chiunque sia più debole di sé.

Scegliamo di guidare i nostri figli con gentilezza, nutriremo la loro sicurezza e ne faremo individui emotivamente solidi, capaci di affermare con calma le proprie posizioni, ma anche di adattarsi e accettare limiti quando la situazione la richiede; ma capaci anche a loro volta di empatia, gentilezza e rispetto verso il loro prossimo.

Antonella Sagone, 6 marzo 2021

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