Perché tante critiche sull'allattamento al seno?
Negli ultimi anni sulla mia pagina Facebook ho pubblicato una rubrica di grande successo, “Top Ten sull’allattamento materno”, che raccoglie ogni volta una decina di sciocchezze su questo argomento, così come le ho udite o lette io stessa o riferite dalle mamme. Lo scopo della rubrica è molteplice. In primo luogo, attraverso l’ironia è più facile metabolizzare la quantità di critiche e consigli sballati che ogni madre che allatta riceve costantemente. Inoltre è un’occasione per sfatare miti e pregiudizi comuni sull’allattamento e fare controinformazione. L’assortimento di strafalcioni è accompagnato ogni settimana da una vignetta che rappresenta, spesso attraverso l’assurdo e il paradosso, le tante situazioni surreali in cui si trova quasi quotidianamente una donna che allatta.
L’intera serie di Top Ten e vignette può essere visionata nell’album Top Ten della mia pagina Facebook a questo link.
A settembre 2021 si è celebrata la centesima Top Ten, che vale a dire mille “perle” sull’allattamento, con una diretta sulla fatica di allattare in una cultura non supportiva, diretta che potrete ascoltare a questo link.
Questa situazione spesso scatena sui social reazioni di critica generalizzata agli operatori sanitari, ma questo è un approccio semplicistico e non rende giustizia delle tante realtà in cui gli operatori della salute si trovano a formarsi e ad operare.
Non è mia intenzione screditare una determinata categoria professionale e capisco benissimo la legittima indignazione dei professionisti sanitari, quando leggono sui social affermazioni di squalifica o indignazione sui “medici” e sulla loro preparazione o buona fede: provo la stessa frustrazione e indignazione quando leggo analoghe affermazioni sugli “psicologi”, con generalizzazioni sprezzanti, a causa di prese di posizione di miei colleghi dalle quali io mi sento lontanissima.
Nella mia Top Ten perciò mi rifiuto di dire chi dice le singole stupidaggini, proprio perché non voglio si associ l’ignoranza e il pregiudizio a un’unica categoria, dato che ce n’è per tutti, e inoltre perché, come scrivo nel disclaimer che sempre l’accompagna, anche l’eccellenza è trasversale.
Ma l’eccellenza non fa mai notizia. Siamo nell’era delle generalizzazioni e dei giudizi a raffica, e chi lavora bene nel suo piccolo non è quasi mai visibile.
La formazione mancante
Riguardo allo stupore che operatori sanitari possano dire così tanti strafalcioni sull’allattamento, io stessa, da 40 anni psicologa, consulente e formatrice, lo condivido, ma purtroppo bisogna prendere atto della realtà: la conoscenza della fisiologia dell’allattamento non è inserita in nessun corso di laurea, né dei medici né degli psicologi; e dove manca la conoscenza, lo spazio vuoto si riempie con i pregiudizi comuni.
Gli operatori sanitari hanno l’obbligo di una certa quota di aggiornamento annuale, ma non è specificato su quali argomenti… dipende da cosa offre il territorio, la struttura dove lavorano o l’iniziativa e interesse personale del medico. I crediti ci sono ma si può scegliere qualsiasi argomento su cui formarsi e l’offerta formativa sull’allattamento è poco presente e poco ricercata, perché non è ben finanziata e viene vista come poco qualificante.
Dovrebbe essere implicito nel bagaglio di conoscenze di un pediatra conoscere la fisiologia. Che nei primi anni di vita include la nutrizione e la protezione fornita dal latte materno… in realtà dovrebbero fare un minimo di ore di formazione tutti gli operatori sanitari, in modo da sapersi regolare quando una loro paziente (o un piccolo paziente) è in allattamento. Ma non dovrebbe essere questione di corsi di aggiornamento, perché il problema nasce molto prima: quella che manca è la formazione a livello universitario.
È interessante su questo tema quanto emerge da uno studio dell’Università di Siena. Questa Università ha in corso un progetto che include l’allattamento fra le materie di insegnamento nei corsi di specializzazione in pediatria. Dal loro studio emerge che il 56% dei pediatri non ha ricevuto nessuna formazione durante il corso di laurea, il 42% ne ha ricevuta ma da aziende private (quindi non scevre da conflitti di interessi) e solo il 2% ha ricevuto formazione dall’azienda sanitaria o enti accreditati. In ogni caso, tale formazione non era mai durata più di due ore.
Nessuno vuole attaccare la professionalità di alcuna categoria, che siano ostetriche, medici, psicologi o infermiere puericultrici. Ma è un fatto che l’introduzione del 20 ore UNICEF nella formazione ostetrica sia molto recente; e che molto spesso la pratica clinica si effettui in ambiti ospedalieri dove la prassi è lontanissima dalle pratiche raccomandate OMS per proteggere l’allattamento (basta vedere quanti ospedali sono amici dei bambini in Italia, veramente una manciata); e allora che cosa può insegnare tale pratica?
È inoltre vero che ci si accosta, come professionisti, a certi temi portandosi dietro la propria esperienza personale. Le credenze e le conoscenze (vere o errate che siano) colorano la nostra esperienza e ne determinano il significato; e l’esperienza personale a sua volta colora le nostre convinzioni.
Speriamo dunque che iniziative come quella dell’Università di Siena escano presto dalla sfera sperimentale e divengano la prassi in tutte le Università!
Questioni di interesse?
Una delle cose che comunemente vengono dette, riguardo alla facilità con cui i medici consigliano di svezzare o prescrivono la formula a un bambino allattato al seno, è che lo facciano per interesse, cioè che “prendano una percentuale” sulle prescrizioni. Ma le cose non stanno esattamente così. Nessuna ditta di alimenti per l’infanzia “dà soldi” o “fa regali” direttamente ai medici, anche se possono offrire gadget o formazione od occasione di visibilità finanziando progetti o ricerche magari anche benefiche. I condizionamenti sono più sottili ed avvengono a un livello diverso. Naturalmente la malafede e la corruzione esistono, ma sono fenomeni isolati. le ditte non ricorrono alle ricompense in denaro sul singolo medico prescrittore, per il semplice motivo che non ne hanno bisogno. È più semplice condizionare i medici attraverso la formazione, facendo “cultura”, con i convegni spesati, con le donazioni ai reparti, con la pubblicità capillare, e poi tutti, dai medici ai pubblicitari agli articolisti, lavoreranno gratis per loro senza nemmeno rendersi conto.
Le aziende della formula si insinuano laddove lo stato è avaro di sostegno e finanziamento per la ricerca o l’assistenza medica, specie quella che richiede costose apparecchiature o farmaci preziosi. Tutto questo viene a costruire una maschera amichevole delle aziende, che il singolo medico assorbe in modo il più delle volte acritico, e senza un reale beneficio o guadagno. Gli informatori “informano” in modo accattivante durante i convegni da loro finanziati (anche se formalmente sarebbe vietato) sui loro prodotti e i medici assorbono queste informazioni, in parte corrette e in parte fuorvianti, senza rendersene conto, diventando gratuitamente prescrittori per le ditte. Le false informazioni si vanno a inserire in una narrazione distorta dell’allattamento che già esiste a livello culturale, e trovano spazio nel vuoto formativo di cui i sanitari spesso non sono nemmeno consapevoli.
Proprio per questo non è né giusto né utile biasimare un’intera categoria senza conoscere questi aspetti. Inoltre è mortificante per gli operatori sanitari – medici, ostetriche, infermieri, psicologi – che vanno controcorrente e che si formano, spesso a loro spese, sull’allattamento. Questi professionisti, consapevoli dei condizionamenti veicolati dai piccoli “favori” come il finanziamento della formazione, aderiscono ad associazioni come “No grazie!” che rifiutano questi favori, e dovrebbero essere maggiormente gratificati di un riconoscimento serio della loro correttezza e preparazione.
Perché tanta avversione?
Le affermazioni che le donne che allattano si sentono dire fin troppo spesso, specialmente se allattano ancora dopo i primi mesi, vanno oltre la semplice disinformazione. Non solo i contenuti ma anche le modalità, i toni sono spesso inappropriati e connotati da un’emotività negativa difficile da spiegare. Troppo spesso questi messaggi squalificanti o allarmanti si incastonano in una relazione con il medico che ricalca un modello asimmetrico, paternalistico, a cui la donna si conforma scivolando in una posizione di soggezione infantile o al contrario di ribellione adolescenziale.
Certe frasi ricevute sono connotate da toni alla “dottor House” che sfiorano la maleducazione, con sfumature di derisione, aggressività o disprezzo da lasciare senza fiato. Talvolta le critiche vengono dalla famiglia o dal proprio partner, lasciando la donna offesa, mortificata e sola. Altre volte semplicemente la madre che allatta riceve prescrizioni o consigli che vanno contro il suo allattamento, con superficialità e senza nessun ascolto per i propri sentimenti e senza alcuna attenzione a ciò che lei o il suo bambino desiderano.
Molti fattori contribuiscono a queste reazioni quasi ostili nei confronti dell’allattamento.
In primo luogo, lo standard culturale attuale per le cure al neonato nasce dal modello dell’alimentazione artificiale e al biberon, il che porta paradossalmente a guardare il gesto di offrire il seno come una stranezza o addirittura una pratica anormale, inutile o dannosa.
In secondo luogo, l’attribuzione di valenze erotiche al seno femminile ha fatto perdere di vista troppo spesso la consapevolezza che la sua funzione naturale è quella di produrre nutrimento e fattori protettivi per il bambino nei primi anni di vita. Specialmente quando il bambino che va al seno è più grandicello ecco allora che questo gesto del tutto fisiologico viene percepito con connotazioni morbose e innaturali.
In terzo luogo, le persone che si confrontano con la madre che allatta hanno una loro esperienza personale, che può essere anche stata sofferta o non soddisfatta, riguardo all’allattamento al seno. Gli operatori poi, oltre a confrontarsi sulla base della loro storia personale, come donne che hanno accudito i loro figli o padri la cui moglie ha allattato (o no) secondo criteri differenti, affrontano le nuove informazioni con scetticismo o rifiuto, perché accogliere certi concetti significherebbe per loro rimettere in discussione tutta la loro pratica clinica. Se infine la persona critica è un parente stretto della mamma, ad esempio il partner o la propria stessa madre, il confronto fra due modi di crescere ed accudire il bambino diventa doloroso, e il bisogno di negare modalità diverse dalle proprie diviene urgente per potersi proteggere da antichi fallimenti o rigidità educative date e ricevute.
Una dinamica perversa
Tante volte, quando si rivolge a figure sanitarie, la donna che allatta dunque si trova ad avere su questo argomento una controparte invece di un alleato. Teme la visita di controllo e il bilancio di salute perché sa che se i parametri di crescita del bambino (spesso tarati su tabelle differenti da quelle OMS) o la quantità di cibo solido che il bimbo accetta di mangiare non soddisferanno il medico, le verrà detto di svezzare dal seno o di integrare con la formula e il biberon. Teme (e spesso a ragione) di sentir svalutata la sua capacità di nutrire suo figlio, e anche di subire rimproveri, specie se il bambino è grandicello, sul fatto di allattarlo ancora, per egoismo, per debolezza, causando danni psicologici di ogni tipo, rovinandosi la salute o danneggiando il bambino stesso. Non è raro che la donna che allatta, magari anche felicemente e senza problemi, entri nello studio sorridendo ed esca in lacrime, mortificata nel suo operato o sconvolta dal timore di avere danneggiato la salute di suo figlio senza volerlo, piena di dubbi o di rabbia.
Qualcosa nel modo di comunicare in questi casi è andato molto storto!
Non è insolito che per questo motivo la donna menta al proprio medico o al pediatra del bambino, per proteggere se stessa dalle critiche o per non urtare una presunta suscettibilità del medico, non avendo seguito i suoi consigli. Ma mentire al pediatra, nascondergli il fatto che non si seguono le sue indicazioni, lamentarsi altrove senza che a lui/lei arrivi il malcontento, sono modi sterili e anche pericolosi di utilizzare un professionista della salute (per approfondire i motivi per cui NON si dovrebbe mai mentire al medico, leggete qui).
Dobbiamo davvero chiederci perché i pregiudizi sull’allattamento siano così duri a morire. Ma chiediamoci anche perché le donne non rispondono in modo adulto agli atteggiamenti paternalistici degli esperti o anche alla semplice maleducazione, e invece se ne vanno via piene di dubbi o rabbia, per poi venire a lamentarsi sui social, continuando però a non comunicare in modo diretto e assertivo con i propri consulenti (medici, ostetriche, avvocati, educatori, parenti o fattorini che siano).
Cambiare approccio
Quando si vive in una cultura che non è supportiva su certe scelte che sono in realtà scelte di salute e benessere, diventa problematico gestire i conflitti quotidiani che ne scaturiscono. La mamma che allatta si trova spesso a dover decidere se e quando mettersi a discutere, controbattere, confutare le critiche e spiegare le proprie scelte nel modo in cui nutre, accudisce ed educa suo figlio. L’inesperienza, la mancanza di sostegno intorno, l’ansia di far bene e di essere riconosciuta e apprezzata nei propri sforzi di essere una buona madre, la rendono particolarmente vulnerabile alle critiche e alle obiezioni.
La mamma che allatta può sempre rivolgersi a una Consulente professionale in allattamento materno per ricevere conferme, chiarimenti, sostegno o aiuto nel suo percorso di allattamento, specialmente quando questo viene minato da critiche o da dubbi altrui.
Nel prossimo articolo tratteremo più approfonditamente come sopravvivere alle critiche e sviluppare un approccio positivo verso gli altri, comprese le persone che esprimono le loro perplessità sulla scelta di allattare al seno.