Allattare in gravidanza

Allattare in gravidanza

Con il diffondersi della pratica dell’allattamento a termine, sempre più spesso accade che la mamma che allatta resti di nuovo incinta mentre sta ancora offrendo il seno a un bambino più grande. Allattare in gravidanza (BDP) è una pratica che pertanto è stata fatta oggetto di studi, in particolare per accertare se potesse in qualche modo mettere a rischio lo sviluppo del feto, o stimolare prematuramente le contrazioni uterine, causando un aborto o un parto prematuro.

Dopo aver confrontato i dati provenienti da 19 studi con buon livello di evidenza, gli autori della presente revisione sistematica concludono che allattare in gravidanza non mette a rischio né di parto prematuro, né di crescita subottimale del feto, quanto meno non nelle condizioni di normale salute e status nutrizionale dei Paesi industrializzati.

Questi dati confermano quanto emerso già da uno studio del 2014, al quale ho avuto il piacere di collaborare, effettuato dalla task force per l’allattamento al seno del Ministero della Salute Italiana.

In questo documento venivano effettuate considerazioni utili anche rispetto all’altro aspetto della pratica del BDP, e cioè la salute e la nutrizione del bambino allattato.

È noto che in gravidanza, generalmente verso il terzo trimestre in particolare, la secrezione di latte si riduce di volume, a volte drasticamente, e questo cambia progressivamente di composizione tornando a somigliare al colostro. Questo fa sì che alcuni bambini allattati si distacchino spontaneamente dal seno in gravidanza. Nonostante questo significhi che la quantità di latte che il bambino ottiene dal seno negli ultimi mesi di gravidanza può essere inferiore al suo fabbisogno giornaliero, occorre riflettere sul fatto che normalmente, se l’allattamento è ben condotto (a richiesta, frequente, con suzione efficace) oltre a fornire adeguato apporto nutrizionale induce anche un blocco della fertilità (amenorrea lattazionale) che impedisce nuove gravidanze. Quando il bambino riduce la frequenza al seno, la fertilità può riprendere; ma il fatto stesso che il bambino poppi meno significa che parte della sua alimentazione viene fornita in modo diverso dal seno, e cioè tramite formula oppure, nel bambino più grande, tramite cibi solidi. Quindi la riduzione del latte ottenibile dal seno della madre gravida non dovrebbe destare particolare preoccupazione, dato che il bambino avrà comunque altre fonti di nutrimento.

Dopo il parto, alcuni bambini riprendono a poppare assieme al neonato; e anche se non ci sono studi sui grandi numeri, emerge che in genere quest’ultimo trae giovamento dal fatto che il fratello maggiore anche poppi al seno, perché questo garantisce una buona montata lattea e successivamente un abbondante produzione.

L’abstract (in inglese) dello studio può essere letto qui.
Qui invece si può leggere la raccomandazione del Tavolo Tecnico per l’allattamento al seno del Ministero della salute, basata sulla seguente ricerca:

Cetin I, Assandro P, Massari M, Sagone, A, Gennaretti R, Donzelli G, MD5, Knowles, A.,Monasta L, Davanzo R on behalf of the Working Group on Breastfeeding, Italian Society of Perinatal Medicine and Task Force on Breastfeeding, Ministry of Health, Italy. Breastfeeding during Pregnancy: Position Paper of the Italian Society of Perinatal Medicine and the Task Force on Breastfeeding, Ministry of Health, Italy. J Hum Lact. 2014;30(1):20-7.

Per approfondire il tema dell’allattamento in gravidanza, leggere questo articolo.

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