Si può allattare in gravidanza?

Si può allattare in gravidanza?

Aumentando il numero di donne che allattano più a lungo, aumenta
anche la probabilità che una donna rimanga di nuovo gravida mentre sta ancora
allattando. A questo punto generalmente viene esortata a svezzare subito il
bambino, affermando che allattare durante la gravidanza possa essere in qualche
modo dannoso per la mamma, per il bambino allattato o per quello che porta in
grembo. Ma è davvero così? Uno svezzamento dal seno potrebbe mettere in crisi e
rendere difficili le giornate turbando la relazione col bambino non ancora
pronto, in un momento in cui sarebbe necessario riposare e stare serene il più
possibile, e ridurre gli effetti della gelosia nel bambino più grande.

La mamma che allatta può fare riferimento al Ministero della
Salute, che attraverso il suo Tavolo tecnico per l’allattamento al seno, si è
espresso con un documento (che si può leggere qui)
che è alquanto rassicurante riguardo all’allattamento in gravidanza, documento
che potrà condividere con il suo medico.

Vediamo ora cosa succede quando una donna continua ad allattare
e subentra una nuova gravidanza.

Cosa dice la fisiologia

Generalmente finché l’allattamento è esclusivo e frequente, è difficile che la mamma torni fertile; ma dopo il primo semestre, quando il bambino comincia a mangiare cibi solidi e a fare intervalli più lunghi, o anche più precocemente, se alle poppate al seno si alternano altre al biberon oppure si allungano gli intervalli fra le poppate utilizzando il ciuccio, può accadere che l’ovulazione riprenda e la mamma resti di nuovo incinta.

Con il progredire della gravidanza gli ormoni inducono alcune modifiche inibendo la produzione di latte e causando alcune variazioni alla sua composizione. Il latte oltre a diminuire può cambiare colore e sapore; alcuni bambini a questo punto si disinteressano del seno, altri continuano imperterriti e soddisfatti a poppare per tutta la gravidanza. Altri interrompono le poppate in gravidanza, per riprendere dopo la nascita del fratellino/sorellina.

Può capitare anche che i capezzoli diventino più sensibili, anche se non per tutte è così, e in genere non avviene per tutto il periodo della gravidanza, oppure può andare e venire: un altro fenomeno frequente e legato agli ormoni, un fastidio che cesserà dopo aver partorito, ma che può essere spiacevole o addirittura insopportabile negli ultimi mesi di gravidanza.

La mamma potrebbe provare un’avversione verso il contatto e l’allattamento del bambino grande, e sentirsi in colpa per questo. Può confortare sapere che sono sensazioni molto comuni e che sono transitorie, e che si può contrattare con il bambino grandicello: alcuni imparano a succhiare con più delicatezza o per periodi più brevi per andare incontro al problema della mamma.

Allattare mette a rischio la gravidanza?

Una delle cose che vengono dette alla mamma, e che più la mette in ansia, è che allattare aumenterebbe il rischio di aborto o di parto prematuro.

I timori, ma non consolidati da prove scientifiche, di un maggior rischio di aborto si basano prevalentemente sui presunti effetti del rilascio che l’ossitocina (che agisce sul riflesso di emissione del latte) avrebbe sulla contrattilità uterina. Sono pregiudizi basati sul fatto che i ginecologi spesso osservano l’allattamento solo nei primissimi giorni dopo il parto, e non conoscono a fondo la fisiologia di un allattamento che si protrae nel tempo. Si ignora spesso il fatto che gli stessi ormoni hanno effetti molto diversi sul corpo della donna, dipendentemente dalla sua condizione (allattamento, gravidanza, parto, mestruazioni, rapporto sessuale eccetera) e dal mix ormonale di quel momento. Di fatto, l’ossitocina rilasciata durante la poppata non causa contrazioni sull’utero gravido, a meno che non sia già iniziato di per sé il travaglio. Il medico che proibisce di allattare con queste motivazioni dovrebbe a maggior ragione proibire per tutta la gravidanza non solo i rapporti sessuali ma qualsiasi attività erotica che portasse la donna ad avere orgasmi (in cui l’ossitocina rilasciata è molta di più e il suo effetto sulla contrattilità uterina molto più intenso).

C’è uno studio pubblicato sul Journal of Human Lactation (che si può leggere a questo link), condotto dal Gruppo di Lavoro sull’Allattamento della SIMP (Società Italiana di Medicina Perinatale). Questo gruppo di studiosi ha effettuato una revisione della letteratura per determinare la compatibiità medica di gravidanza e allattamento. I ricercatori affermano: “Non abbiamo trovato evidenze che indichino un maggior rischio di aborto o parto prematuro nelle gestanti in buona salute che stanno allattando”.

Un’altra preoccupazione, o si dovrebbe dire pregiudizio, riguarda la presunta incompatibilità fra gravidanza e l’ormone prolattina, che è legato fra le altre cose alla produzione di latte. Si presume che allattando questo ormone entri in conflitto con quelli della gravidanza, mettendone a rischio la prosecuzione.

Se una donna riceve argomentazioni di questo tipo dal suo medico dovrebbe seriamente valutare se rivolgersi ad altri, perché tali affermazioni denotano una conoscenza molto scarsa della fisiologia degli ormoni sia dell’allattamento che della gravidanza.

Infatti la prolattina, che è cruciale dopo il parto per determinare l’avvio dell’allattamento e che si mantiene alta nelle prime settimane, dopo il secondo mese di allattamento cala notevolmente, per portarsi a livelli che con il tempo si avvicinano a quelli di una donna non in lattazione e non in gravidanza. Ma c’è di più. Non è la prolattina a minacciare la nuova gravidanza, dato che in realtà è proprio in gravidanza che la prolattina aumenta e raggiunge i livelli più alti nella vita fertile di una donna! Sono gli ormoni della gravidanza, cioè estrogeni e progesterone, che ne inibiscono gli effetti per cui è a volte l’allattamento a risentirne, e non l’inverso. Insomma, la gravidanza in sé fa alzare la prolattina molto di più dell’allattamento, quindi in quel senso allattare non cambia nulla.

Questo pregiudizio contro il presunto rischio ormonale dell’allattamento spinge alcuni medici a suggerire alla donna non solo di svezzare il bambino, ma anche di assumere un farmaco per bloccare la secrezione di prolattina (pratica del tutto inutile dopo le prime settimane, a prescindere da una gravidanza, per terminare un allattamento). Si tratta di un suggerimento di enorme gravità in quanto oltre ad essere immotivato può causare un serio danno. Infatti la prolattina in gravidanza aumenta per un buon motivo: serve a preparare la ghiandola mammaria alla futura produzione di latte per il nascituro, Assumere in gravidanza un farmaco che è una bomba ormonale e inibisce la sua produzione significa anche bloccare il processo di sviluppo della ghiandola mammaria mettendo a rischio il futuro allattamento del neonato. Un approfondimento sull’uso improprio della “pasticca per mandare via il latte” si trova in questo articolo in due parti.

Una terza preoccupazione riguardo all’allattamento in gravidanza è che questo possa causare una carenza di nutrienti per la mamma o per il bambino che sta crescendo nel suo grembo. Tale timore deriva dall’idea che gravidanza e allattamento siano processi “a rischio” di per sé, cioè che richiedano uno sforzo speciale all’organismo materno e che “vampirizzino” la mamma rubandole energie e nutrienti. In realtà la donna è ben attrezzata per attraversare ogni condizione legata al suo ciclo fertile, mestruazioni, gravidanza, parto, allattamento sono stati fisiologici e il suo organismo li affronta aumentando il metabolismo e semplicemente con l’assunzione di un po’ di nutrienti e di calorie in più. Solo una donna gravemente denutrita potrebbe in teoria avere problemi allattando in gravidanza, ma in realtà in quel caso li avrebbe anche se non allattasse!

Dobbiamo poi ricordare che l’allattamento di un bambino grande, che mangia anche altri cibi, è meno intenso di quello di un neonato, in cui tutto il nutrimento viene fornito dal latte materno.

Il Gruppo di lavoro della SIMP, nello studio sopra citato, afferma: “Non c’è evidenza che allattare in gravidanza possa causare una riduzione della crescita intrauterina, specialmente nelle donne dei Paesi sviluppati”. Ulteriori conferme e rassicurazioni provengono da questo studio.

C’è il rischio che il latte non sia più buono o che scarseggi?

Come si è detto, il latte fra il secondo e il terzo trimestre può diminuire di volume, e modificarsi nella composizione, e nelle ultimissime settimane tornerà simile al colostro. Alcuni bambini che sanno già parlare riferiscono esplicitamente che il latte non c’è o è poco oppure che ha un sapore diverso. Sarà sempre nutriente (anzi avrà più proteine); tuttavia dato che diminuisce in quantità è importante che il bambino mangi anche altro.

In linea ipotetica, se una donna rimane gravida quando un bambino è ancora pienamente ed esclusivamente allattato al seno (quindi nei primi mesi), questo bambino potrebbe risentire della riduzione nella produzione del latte, che spesso si verifica durante la gravidanza, e in effetti alcuni studi effettuati in paesi in via di sviluppo (con notevoli limitazioni però dovute al numero ridotto di soggetti e alle condizioni particolari di nutrizione) indicano una flessione nella crescita dei bambini allattati in queste circostanze.

Tuttavia, di fatto, quanto più spesso il bambino va al seno e più latte assume, tanto più è efficace l’effetto di mantenimento dell’amenorrea lattazionale (cioè si inibisce la ripresa del ciclo fertile nella madre); quindi è abbastanza improbabile che un bambino che dipenda ancora esclusivamente dal seno per nutrirsi possa trovarsi con una madre gravida entro i primi sei mesi di vita. La natura fa le cose per bene finché c’è un bambino che ha tanto bisogno della mamma (e lo dimostra con poppate intense e frequenti al seno giorno e notte) l’ovulazione viene inibita, impedendo che un altro bambino arrivi quando la mamma ha bisogno di dedicarsi a tempo pieno al neonato. Quindi l’incompatibilità fra gravidanza e allattamento, dal punto di vista del bambino allattato, è più ipotetica che reale.

Se invece la mamma resta incinta nei primissimi mesi dopo il parto, probabilmente il suo bambino aveva già diminuito le poppate al seno, e quindi richiedeva, e continuerà a richiedere durante la gravidanza, un’integrazione di formula per lattanti fino al compimento del sesto mese o comunque finché non sarà pronto per assumere cibi solidi.

Conclusioni

Allattare in gravidanza può essere la soluzione ideale per alcune, per altre invece può creare disagio o fatica, quindi la cosa importante è sapere che si può fare, poi ogni mamma e bambino troveranno il loro equilibrio in base alle loro esigenze.

È importante sapere che allattare un bimbo grandicello non significa una faccenda di tutto o niente: la mamma può dire di no in un momento rimandando a un altro, può contrattare con il suo bambino, può accettare la poppata ma ridurne la durata, offrire alternative e così via, regolandosi coi suoi limiti e con l’intensità del bisogno di suo figlio, in modo flessibile (un’indicazione su come gestire questa fase si trova in questo articolo).

C’è ancora da dire che l’allattamento per la mamma è protettivo, lo sarà più che mai dopo il parto, perché riduce le emorragie favorendo la contrazione dell’utero e successivamente inibendo l’ovulazione e quindi ritardando la ripresa del ciclo mestruale. Avere allattato in gravidanza e quindi poter allattare in tandem dopo il parto è un grande vantaggio perché dà un avvio grandioso all’allattamento del secondo figlio e aiuta a mantenere alta la produzione e inibire l’ovulazione.

Allattare in gravidanza e poi in tandem è possibile e non controindicato, non esiste una scelta giusta e una sbagliata, e si può anche provare una strada e poi cambiare se si vede che non è adatta ai propri bisogni e sensazioni.

Antonella Sagone, 7 maggio 2022

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