Smettere di allattare
Fra le richieste frequenti di aiuto di chi allatta un bambino grandicello c’è spesso quella di essere affiancata in uno svezzamento graduale dal seno del bambino. Ecco le domande che ricorrono più spesso:
- Quando devo togliergli il seno?
- Come posso svezzare dal seno mio figlio senza traumi?
- Ho provato a svezzare, ma se nego il seno succede il finimondo!
Quando ricevo una richiesta di aiuto per svezzare, la mia prima preoccupazione è capire quali sono i bisogni della mamma, e la motivazione che c’è dietro la sua richiesta. Per me è molto importante che una mamma che decide di togliere il seno a suo figlio faccia una scelta veramente informata, e che per prima cosa abbia focalizzato i suoi obiettivi, quale sia il suo vissuto rispetto all’allattamento, cosa pensa che cambierà svezzando il bambino, e quanto la sua decisione nasca da lei o sia influenzata da necessità o pressioni esterne.
Altrettanto importante è capire il livello di maturità del bambino, da quali bisogni in questo momento è spinto quando chiede il seno della mamma, e quanto è pronto ad abbandonarlo.
Un piano di svezzamento graduale dal seno richiede informazioni complete, consapevolezza interiore e una buona dose di realismo.
Perché svezzare dal seno?
La domanda non è scontata come sembra. Non è indispensabile pilotare lo svezzamento dal seno di un bambino, dato che tutti i bambini, prima o poi, si disinteressano del seno; il bisogno di succhiare è innato nei bambini e si esaurisce da sé generalmente fra i due-tre anni e le soglie dell’età scolare. sono inoltre indiscutibili e comprovati i benefici dell’allattamento anche oltre i primi mesi. I bambini hanno bisogno del seno materno per la loro salute, nutrimento e benessere emotivo. Anche le madri hanno bisogno di allattare perché allattare è protettivo per la loro salute e riduce fortemente il rischio di cancro agli organi riproduttivi (seno utero cervice ovaie), osteoporosi e malattie cardiovascolari più avanti negli anni. Questi aspetti non sono sufficientemente sottolineati nella nostra cultura, e spesso la scelta di allattare viene considerata più una questione di stili di vita che una faccenda di salute; la nostra società considera l’allattamento quasi solo dal punto di vista nutritivo, e quindi nel momento il cui il bambino comincia a mangiare altro le pressioni per svezzare si fanno numerose.
È anche vero che la relazione di allattamento cambia col passare dei mesi, e attraversa momenti di stanchezza e difficoltà, acuiti dal fatto che le donne che allattano difficilmente hanno intorno a sé una comunità che le sostiene e divide con loro il carico emotivo e fisico di accudire un bambino. Via via che questi cresce, l’allattamento ha bisogno di venire ridefinito, adattato e modellato più volte per seguire lo sviluppo del bambino e le esigenze in cambiamento tanto del piccolo quanto della sua mamma. Su questo aspetto potete leggere questo articolo.
Perché una donna possa fare delle scelte informate e consapevoli, e soprattutto trovare un suo modo personalizzato di gestire ed eventualmente concludere l’allattamento di un bambino non più neonato, occorre prima di tutto che alcuni miti relativi allo svezzamento dal seno vengano sfatati.
I falsi aut-aut
Molto spesso la richiesta di aiuto per svezzare non nasce tanto da una reale fine del desiderio di allattare, quanto da preoccupazioni e difficoltà indotte dall’esterno. È frequente che la mamma chieda aiuto per togliere il seno perché
- Deve curarsi e le è stato detto che le terapie non sono compatibili
- Vorrebbe un altro bambino ma il ciclo non sta tornando
- Non ce la fa più a svegliarsi ogni notte
- Il bambino “non mangia niente”, cioè rifiuta in tutto o in parte le offerte di cibi solidi
- Ancora non… (parla, cammina, accetta l’asilo, toglie il pannolino, vuole stare coi nonni).
- Il bambino è “morbosamente attaccato” alla mamma, in altre parole, manifesta una richiesta di contatto e di poppare molto più alta di quella che ci si aspetta per un bambino della sua età.
Spesso viene detto alla mamma che deve scegliere, per il bene suo e/o di suo figlio, fra continuare ad allattare o risolvere questi problemi, come se l’allattamento ne fosse la causa. Molte mamme procedono a svezzare sia pure a malincuore perché pensano che questo risolverà il problema.
È importante sapere che molto raramente questi aut-aut sono reali; ci sono quasi sempre molte soluzioni alternative che possono andare incontro ai bisogni della madre senza privare il bambino del conforto del seno.
Allattare e curarsi è quasi sempre possibile, e nei rari casi in cui la cura non è compatibile con l’allattamento si possono trovare spesso delle alternative o delle strategie di somministrazione che permettano di non interrompere completamente o definitivamente l’allattamento. In questo articolo potete trovare dettagli su questa problematica.
Allattare al seno, specialmente dopo i primi mesi di allattamento esclusivo, non impedisce l’ovulazione; ma in alcuni casi può ritardare il ritorno della fertilità. Si tratta comunque di un meccanismo complesso e dipendente da tanti fattori, e spesso basta cambiare qualche modalità nella gestione delle poppate per interrompere l’effetto inibitorio dell’ovulazione. Per saperne di più potete leggere questo articolo su allattamento e fertilità.
Le poppate notturne
La gestione dei risvegli notturni di un bambino grandicello può essere molto logorante per i genitori, anche perché si sente continuamente dire che dopo i primi mesi i bambini dovrebbero abituarsi a dormire tutta la notte e non avere più bisogno del seno e del contatto per addormentarsi. Si tratta di affermazioni infondate e non basate sulla fisiologia e sulle normali tappe di crescita dei bambini, allattati o meno al seno. Il sonno e i risvegli non sono comportamenti basati sulle abitudini ma stati neurologici che si alternano in modo involontario, e il bambino non si sveglia per poppare, ma cerca il seno per riaddormentarsi. Svezzare con la speranza che il bambino dorma tutta la notte è un azzardo che spesso si risolve con un bambino che continua a svegliarsi e che non avendo più il seno per riprendere sonno deve essere riaddormentato con metodi più faticosi e meno efficaci.
Questo non significa che la gestione delle poppate notturne non possa essere oggetto di modifiche e di ripensamenti: a volte si tratta solo di cambiare aspetti organizzativi o logistici nell’allattamento o nell’accudimento del bambino di notte, per avere un miglioramento della situazione. Un approfondimento sulla gestione dei risvegli notturni e la fisiologia del sonno è reperibile in questa pagina.
Poppe o pappe?
In Italia il sovrappeso in età prescolare è un problema diffuso tanto da poter parlare di una vera e propria emergenza. Eppure ancora oggi sono moltissimi i genitori preoccupati che i loro bambini non mangino abbastanza. Su questo argomento il pediatra Carlos Gonzales ha scritto un libro molto popolare, Il mio bambino non mi mangia.
Quando il bambino è allattato al seno, ecco si dà subito all’allattamento la “colpa” del fatto che il bambino “non mangia”. Si suggerisce spesso di “prenderlo per fame”, cioè di togliere il seno in modo che sia invogliato a mangiare ciò che ha nel piatto. È abbastanza singolare che le stesse persone che vanno sostenendo che dopo i primi mesi il latte materno diventi acqua, poi insinuano che questo latte sazi troppo il bambino, rendendolo meno propenso a mangiare i cibi solidi.
In realtà, ogni bambino ha i suoi tempi nel suo avvicinarsi ai cibi solidi. Ci sono quelli che si tuffano nell’avventura con entusiasmo e voracità, ma molto più spesso un bambino ai primi assaggi si limiterà a spiluccare per mesi, assumendo piccolissime quantità di cibo.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda che il cibo solido non venga offerto in sostituzione del latte materno, ma che le poppate affianchino il cibo solido, che va considerato un alimento complementare. L’idea che togliere il seno faccia mangiare di più non è confermata dall’esperienza. I due processi (mangiare quantità crescenti di cibi solidi, e abbandonare progressivamente il seno) non sono legati l’uno all’altro, ma si svolgono autonomamente. Molti bambini che poppano ancora molto volentieri e spesso al seno sono anche “buone forchette”, e una poppatina prima del pasto non ha mai impedito loro di mettersi a tavola con entusiasmo. Al contrario, altri bambini più riluttanti a mangiare, dopo essere svezzati dal seno, hanno continuato a fare pasti da uccellino, con la conseguenza di rallentare o addirittura calare di peso.
Ricordiamoci che il latte materno mantiene e anzi aumenta il suo potere nutritivo con il passare dei mesi, quindi una poppata è mangiare, il che va considerato un punto di forza e non un ostacolo nel processo di introduzione dei cibi solidi.
È morboso?
Si sente dire che allattare un bambino che parla e cammina sia “morboso”. Sicuramente è una parola poco gradevole, però dobbiamo accettare che la reazione immediata di tante persone sia questa, perché la cultura da cui provengono non ha permesso loro di vedere il seno nella sua funzione fisiologica, e di vedere dal vivo l’interazione fra una madre e il suo bambino grande allattato, e potersi fare così un’idea realistica e non basata su pregiudizi. La nostra cultura considera il seno un oggetto erotico e sembra dimenticarsi che la funzione di questa ghiandola sia in realtà quella di nutrire e accudire la prole. Così un bambino non più neonato fa impressione, suscitando fantasmi di incesto. L’idea che poppare sia una cosa da neonati porta a vedere come aberrante il comportamento di un bambino che parla e cammina e che va al seno della sua mamma. La mamma viene vista come soffocante, come se volesse trattare il bambino come un neonato. In realtà la mamma sa benissimo che suo figlio non è più un neonato: è lui, e non viceversa, a proporre la poppata, spesso anche con parole divertenti!
Se si abbandona l’idea che allattare sia solo una cosa da neonati, ecco che vengono a cadere anche tante altre preoccupazioni relative a ritardi, veri o presunti, in altre aree dello sviluppo del bambino. Un bambino inizia a parlare, camminare, fare a meno del pannolino, stare di buon grado con i nonni o le maestre senza la mamma, al momento giusto per lui, con i suoi tempi, che possono essere nella media, precoci o tardivi, e nessuna di queste possibilità avrà nulla a che fare con il fatto che questo bambino sia ancora allattato oppure no.
Lo svezzamento dal seno è un percorso che si fa in due
A volte si dice che più crescono e più svezzarli sia difficile; ma non è così in realtà. Semplicemente, svezzare un bambino è sempre difficile finché non è pronto. E lo sono ad età diverse, perché questo è uno degli aspetti che rientrano nella variabilità umana. Sebbene la fisiologia sia che l’allattamento si misuri in anni e non in mesi, c’è il bambino che si stacca da sé a due anni come quello che lo fa a 7 anni. Sono normali tutti e due, e tutti quelli che stanno in mezzo. Quindi non ha senso parlare dell’età “giusta” per svezzare in termini assoluti: l’età giusta è quella in cui il bambino si disinteressa del seno. Un momento che, se si ha la pazienza di aspettare, arriva per tutti i bambini.
E se il concetto stesso di svezzamento scomparisse?
Pensate se si cominciasse a dire che a un’età precisa si debba impedire al bambino di gattonare, altrimenti non camminerà mai, si debba forzarlo a stare in piedi, e così via…
Noi per fortuna non abbiamo la parola “sgattonamento”: a un certo punto i nostri cuccioli cominciano a camminare, per un po’ fanno entrambe le cose, poi smettono di gattonare e vanno su due piedi. Non c’è nulla di particolare che l’adulto debba fare perché ciò si verifichi, ci aspettiamo che a un certo punto, semplicemente, succeda.
Pensate come sarebbe bello non avere nemmeno la parola svezzamento, significherebbe che lo fanno e basta! A un certo punto mangiano, a un certo punto smettono di poppare: non fa notizia.
In ogni caso, lo svezzamento dovrebbe essere, come lo è l’allattamento, un processo a due. Non è solo il bambino a decidere, ma è l’interazione fra due persone. Fra l’inizio dell’allattamento, quando il bambino chiede e la mamma corre a offrire il seno, e la fine, quando non si poppa più, c’è tutto un percorso in mezzo, e nelle fasi più tarde di questo percorso ci sono dei sì e dei no, dei momenti in cui la poppata è pacifica, altri in cui il bambino non è interessato nemmeno se è la mamma a proporre, e altri ancora in cui il bambino propone e la mamma… pospone. Può avvenire in tanti modi: contrattare, dilazionare, distrarre, offrire alternative, essere disponibili eccetto che in una situazione “X” (che dipende dalle esigenze di entrambi e può essere la notte, o fuori casa, o dalla suocera, o quella volta che la mamma è stanca, eccetera).
Se al no della mamma risponde una reazione accanita e disperata, e la richiesta del bambino non si attenua col tempo, allora probabilmente quel bambino non è pronto per quel passo e bisogna pensare un altro modo. Se invece accetta facilmente, probabilmente era pronto.
Nel prossimo articolo tratteremo i tanti modi in cui si può articolare il processo di svezzamento dal seno, un percorso che può essere guidato dal bambino, guidato dalla mamma, e anche con l’affiancamento, se si desidera, di una Consulente professionale in allattamento materno.
Se desideri consultare una IBCLC riguardo allo svezzamento del tuo bambino, clicca qui.
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