Quando mio figlio dice “NO”

Quando mio figlio dice "NO"

“Mio figlio non mi ascolta”. “Mi provoca”. “Bastian Contrario”. “Rifiuta qualsiasi cosa”. “Mi sfida”.

Nella vita di un genitore arriva il momento in cui dovrà confrontarsi con la volontà divergente del proprio bambino.

Questa fase ben nota arriva quando il piccolo acquista maggiori abilità e competenze, e con esse maggior autonomia: generalmente fra i due e i tre anni, dopo i primi passi e le prime parole.

Questo passaggio è non solo inevitabile, ma anche necessario per l’evoluzione psicologica del bambino; ma sapere questo non lo rende meno impegnativo per l’adulto che, con sconcerto, si chiede che fine ha fatto il bambino adorabile e accondiscendente che era stato suo figlio fino a pochi mesi prima.

L’inestimabile valore del “NO”

Nei primi mesi di vita il bambino si percepisce in uno stato fusionale con la mamma, un tutt’uno in cui i confini fra sé e la persona che lo accudisce amorevolmente sono sfumati. Si tratta della fase dell’esogestazione, come se alla gravidanza nell’utero dovessero seguire altri tre trimestri di gravidanza fuori dall’utero: due corpi distinti, ma una singola unità biologica, psichica e sociale (per approfondire questo tema, vedi questo articolo).

Verso il nono mese il bambino diviene più consapevole di sé come qualcosa di distinto dalla mamma. Questo significa che comincia a capire che la mamma ha una volontà sua, distinta dalla propria; può allontanarsi e tornare, interagire con lui o ignorarlo, prenderlo in braccio o lasciarlo nella culla, Questo genera il lui un’ansia di separazione che prima gli era sconosciuta, ma nello stesso tempo getta le basi per una interazione, con la mamma e con gli altri adulti, più ricca ed articolata.

Il bambino dipende però ancora in tutto dalla mamma, e ancora intimamente connesso con lei, coi suoi gesti, le sue parole e i suoi umori.

Questa situazione cambia quando il bimbo o la bimba acquista padronanza sui propri movimenti e diviene in grado di sollevarsi in piedi, camminare, stare seduto eretto e riuscire ad afferrare e maneggiare con una certa abilità gli oggetti con le mani. Nello stesso tempo avviene l’apprendimento del linguaggio; prima ancora che il bambino parli ha già una grande comprensione di moltissime parole e, quello che è più importante, le parole fanno la loro comparsa anche nei suoi pensieri, aiutandolo a ragionare sulle cose. Cos’è il miracolo del linguaggio se non la possibilità di far apparire nella mente ciò che non è presente davanti agli occhi? Con questo strumento il bambino diviene sempre più capace di immaginare, e quindi di desiderare: ecco il combustibile che alimenta la sua energia mentre si muove instancabile, esplorando e toccando ogni cosa.

Ed ecco che avviene una cosa nuova. I suoi genitori, che fino ad allora lo contemplavano deliziati, cominciano ad assumere atteggiamenti contrariati e compare una parola come un inciampo, sempre più presente nelle sue giornate: “NO!” Non toccare, non correre, non fare questo o quello. Questa piccola e secca parolina è accompagnata da un tono emotivo di allarme o di disapprovazione, e spesso anche da un intervento attivo del genitore che blocca l’azione del bambino sul più bello.

Nessuna meraviglia quindi che dopo un certo tempo questa parola rimbalzi indietro come un boomerang verso i genitori, che ogni volta che intervengono a contrastare qualche azione rovinosa del loro cucciolo, vengono ripagati con un “NO!” ancora più veemente dei propri!

Che grande conquista appropriarsi del NO! Questa parola è un prezioso strumento che permette al bambino di procedere rapidamente nel suo percorso di individuazione, cioè distinguere dagli altri la sua percezione di sé. Riflettiamo sul fatto che nella conquista del linguaggio, generalmente la parola “no” precede l’uso del pronome personale, cioè della parola “io”.

In una parola, dovremmo compiacerci nel constatare che nostro figlio sta sviluppando un forte senso di sé e una spiccata volontà. Ma la reazione dei genitori spesso è un senso di sconcerto e di sconforto, la sensazione di una sorta di “tradimento” del bambino, quando spezza quell’idillio romantico vissuto nei primi mesi di vita.

I vissuti dei genitori

Sconcerto, irritazione, delusione sono sentimenti comprensibili e naturali nell’adulto che si trova di fronte alle prime manifestazioni di opposizione del bambino. La vita di oggi è complicata e spesso non abbiamo il tempo e la pazienza di fermarci a capire cosa sta succedendo, e a un nostro sbrigativo divieto può seguire una vigorosa opposizione del bambino, a cui l’adulto reagisce con ancora maggiore irritazione e negazione: ed ecco che si instaura una escalation di rifiuto reciproco che non può portare nulla di buono. Sebbene ci possa sembrare “ingiusto” subire le rimostranze di nostro figlio, quando noi agiamo animati dalle migliori intenzioni, occorre comprendere anche il suo punto di vista.

Ma ci sono momenti o situazioni per cui l’adulto reagisce in modo irrazionale ai comportamenti oppositivi e gli riesce davvero difficile sopportare e comprendere i motivi del bambino.

Bisogna dire che i bambini sono dei maestri nel toccare in profondità le nostre corde emozionali, e specialmente i comportamenti “negativi” (il pianto, le urla) possono mandare in tilt il genitore prendendolo in contropiede.

Anche gli adulti sono stati, un tempo, bambini. Anche loro si sono trovati, a suo tempo, su quella barricata fatta di “no”, ma dall’altra parte del fronte, dal lato insomma del soggetto debole e dipendente dall’adulto. Le situazioni di conflitto ci fanno entrare in risonanza e riportano in superficie quei drammi e quei copioni che abbiamo agito o subito nei nostri primi anni di vita.

Ci posiamo trovare così senza volerlo a recitare la parte dei nostri genitori, che abbiamo a suo tempo introiettato, e a dire frasi che mai avremmo pensato o voluto dire; oppure come in un gioco di specchi potremmo ritrovarci all’improvviso anche noi con le emozioni di un piccolo bambino arrabbiato o spaventato. Spesso in questa situazione l’adulto proietta sui suoi figli intenzionalità e vissuti che in realtà non appartengono loro, ma provengono invece da se stessi o dai propri genitori.

Il genitore così si può sentire tradito, come se il bambino avesse rotto un patto di alleanza non scritto, per pura cattiveria. Alcuni adulti si sentono poi sfidati, aggrediti o rifiutati dalle urla e dai rifiuti dei bambini, e questo si ripercuote sulle loro emozioni e comportamenti, portandoli a una reazione difensiva di rabbia, o al contrario a cercare a tutti i costi di compiacere il bambino per non essere respinti. Altri si possono sentire derisi, presi in giro – e ci sarebbe da chiedersi, chi ha deriso loro quando erano troppo piccoli per difendersi? Infine può emergere un senso di svalutazione e di fallimento, se il bambino ideale non coincide con la realtà, e il giudizio altrui è stato fatto pesare eccessivamente sul proprio operato fin da piccoli.

Sono domande importanti che vale la pena di farsi, specialmente se si ha l’impressione di non avere il controllo sulle proprie reazioni. Poniamo queste domande a noi stessi, ma con amore e comprensione: le emozioni sono segnali indicatori che ci guidano ai nostri bisogni inascoltati, e allora forse quei sentimenti di tradimento, rifiuto, sfida, derisione o svalutazione non sono che lo specchio di bisogni emotivi e di relazione più che giustificati: bisogno di fiducia, accettazione, sicurezza, apprezzamento e riconoscimento.

Conclusioni

La stanchezza, la solitudine, il giudizio degli altri ci rendono difficile accogliere con amore ed equilibrio i terremoti emozionali che il bambino attraversa nel secondo e terzo anno di vita. Per questo è importante fare rete con altri genitori che la pensano come noi, e potersi confrontare condividendo esperienze e vissuti. Capire che i bambini non lo fanno apposta a farci perdere le staffe o a sfinirci con le loro impuntature, ci può aiutare a mettere gli episodi di conflitto nella giusta cornice e utilizzarli come preziose occasioni di apprendimento non solo sul funzionamento emotivo dei nostri figli, ma anche sulla nostra personale storia emotiva ed affettiva.

Questo ci può aiutare a tradurre i “NO” di nostro figlio in quello che sono in realtà: richieste di aiuto e di amore incondizionato, tanto più necessario quando un bambino si trova in un momento di squilibrio emozionale. Aprirci all’ascolto, scegliere di “perdere tempo” e fermarci ad osservare il nostro bambino in lacrime ci permetterà di rispondere alle sue crisi, che per fortuna non dureranno per sempre, con maggiore calma e in modo non reattivo, dosando con saggezza i nostri “no” e trasformandoli in proposte positive e in messaggi chiari, gentili, concreti e privi di giudizi.

Se ti senti in difficoltà a gestire le tue emozioni o quelle di tuo figlio in una situazione conflittuale e vuoi parlarne, puoi richiedere una consulenza a questo link.

Antonella Sagone, 15 giugno 2023

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