Educazione alimentare

Educazione alimentare: aiutare il bambino a "mangiare bene"

In un precedente articolo, abbiamo parlato dei bambini “inappetenti” e in particolare dei danni del forzare a mangiare quando c’è un rifiuto. In questo articolo si è sottolineato che il bambino ha una capacità notevole, spesso sottovalutata, di autoregolarsi, anche se il suo modo di mangiare può apparire caotico nel singolo pasto; spesso i genitori sottovalutano sia la qualità dei nutrienti che assume nel medio periodo (se lasciato fare senza forzarlo), sia la quantità necessaria per soddisfare i suoi bisogni nutrizionali (tendono insomma a pensare che mangi sempre “troppo poco”). I suggerimenti in voga sulle pubblicità, sui media e su certi manuali, originati dalle industrie del cibo per l’infanzia, non facilitano certo la presa di coscienza di cosa sia un’alimentazione corretta e adeguata per i bambini nei primi anni di vita.

Ma che fare, si obietta, se il bambino davvero non mangia “niente”, oppure è talmente selettivo da nutrirsi per settimane sempre delle stesse 3 cose, rifiutando in blocco tutti i cibi vari e ricchi che gli vengono proposti?

Che fare se una situazione di stress e conflittualità si è già instaurata intorno a un piatto da vuotare, come rompere il circolo vizioso di offerta insistente e di rifiuto ostinato?

In questo articolo proveremo a soffermarci più in dettaglio su alcuni aspetti e situazioni che rendono difficile il momento dei pasti, e come superarli.

Motivi per cui un bambino può rifiutare il cibo

Proviamo ad elencare qualche motivo per cui il bambino può esprimere resistenza a mangiare a tavola:

  • Non ha fame in quel momento
  • Non gradisce il cibo offerto
  • Vuole fare da solo e si stressa a venire forzato
  • Troppe distrazioni a tavola (TV, giochi, confusione)
  • Ha bisogno di muoversi
  • I pasti sono un momento di tensione (discussioni, fretta, ansie)
  • Esprime un disagio di altra origine
  • Ha un problema medico (ad esempio anemia)

Questi sono solo alcuni esempi di motivi di rifiuto del cibo; a volte il problema è sopravvalutato e si tratta solo di fasi transitorie, per cui è bene valutare, a prescindere dal resto, se il bambino è in buona salute e non soffre di evidenti carenze; altre volte vale la pena di approfondire i motivi del “no” e capire come affrontare i comportamenti di rifiuto.

Siamo sicuri davvero che il bambino abbia bisogno di quel cibo in quel momento?

A volte si tratta di fasi transitorie; i bambini passano lunghi periodi “selettivi” in cui gradiscono solo certi tipi di alimenti, oppure divengono particolarmente schizzinosi o diffidenti, rifiutano cibi mescolati insieme, non vogliono nel piatto roba “colorata” o di una data consistenza, e così via. A volte la passione per un unico cibo si spegne da un giorno all’altro per essere sostituita da un’altra passione altrettanto (almeno apparentemente) arbitraria. Tutto questo è normale e non comporta a breve o medio termine rischi di carenze o malnutrizione; si è visto da diversi studi che i bambini, se lasciati fare, dall’apparente caos delle loro scelte traggono alla fine un equilibrio che a medio termine assicura loro un assortimento adeguato di nutrienti, nonostante le apparenze.

Alcune volte può trattarsi di preferenze personali (ad esempio preferire vegetali ai cibi animali, preferire cibi crudi piuttosto che cotti), o semplice preferenza o avversione per certi sapori o consistenze; queste inclinazioni personali sono legittime di per sé e non c’è nulla di male a cercare di assecondarle, sempre considerando comunque che i gusti dei bambini piccoli sono volubili, e quindi i cibi rifiutati andrebbero periodicamente riproposti. Inoltre dietro certe avversioni ci possono essere delle sensibilità allergiche o delle intolleranze da cui il bambino istintivamente si difende: anche se lui non sa perché quel cibo lo respinge, il suo corpo ha una capacità di orientamento che non va sottovalutata.

Come possiamo fare per favorire questa capacità di scelta senza combatterla, né diventarne totalmente asserviti?

Cominciamo con il proporre, specie all’inizio, cibi semplici, poco elaborati, il più vicino possibile al loro stato originario, in modo da non ingannare il loro gusto e a non disorientarlo con miscugli di sapori e componenti troppo complessi. Gli abbinamenti fra diversi cibi e condimenti possono anche essere fatti direttamente nel piatto: questo permetterà inoltre, grazie all’aumento delle combinazioni, di offrire tante opzioni “diverse” a tavola pur preparando un numero piuttosto ridotto di elementi.

Ricordiamo infine che nella fase iniziale il bambino, specie se allattato al seno, ha bisogno solo di quantità molto piccole di integrazioni di cibo solido; non è necessario forzarlo, aumenterà da sé le porzioni quando sarà pronto a farlo (ma in genere sempre meno di quanto vorrebbero nonne volonterose o tate determinate!).

E se sono capricci?

Ma la casa non è un ristorante a cinque stelle! Non si può stare dietro ad ogni loro richiesta!

C’è una differenza fra l’offrire un assortimento vario di cibi fra i quali scegliere, o il porsi al servizio delle richieste erratiche di un bambino proponendogli un’opzione dopo l’altra, andando a preparargli altri cibi su richiesta estemporanea, tutto pur di farlo mangiare. C’è una profonda differenza soprattutto di atteggiamento, di aspettative dell’adulto. Quello che propongo nel mio articolo è abbastanza in linea con il “si mangia quello che c’è”, con l’accortezza però che quello che c’è presenti una varietà di opzioni, cosa non troppo difficile. Non si tratta di presentare un menu da ristorante con 3 primi 3 secondi e 3 contorni; si possono preparare un primo e un secondo con un paio di contorni e diverse opzioni per il condimento, da unire sul momento, e un buon assortimento di frutta e verdure fresche; il bambino può mangiare diverse combinazioni di quello che c’è, oppure anche tirar fuori dal frigorifero qualcosa che non richieda agli adulti di alzarsi da tavola a preparare cose al momento di mangiare; Il bambino non può però pretendere cibo “a la carte” o aspettarsi trattamenti speciali su richieste troppo elaborate. Gli avanzi verranno poi riciclati o riproposti per cena o in altro momento (io non mi sono mai nemmeno formalizzata sui cavoli per merenda o la pastasciutta avanzata per colazione o un pranzo di sola frutta)… e l’adulto naturalmente deve anche essere pronto ad accettare, se in un dato momento il bambino proprio non vuole mangiare, purché poi diciamo si “arrangi” un po’ con degli spuntini, se gli viene fame dopo, senza pretendere che gli adulti si rimettano ai fornelli per lui.

Programmare in anticipo il menù concordandolo con il bambino è possibile e può anche essere giusto quando è un po’ più grande. Nei bambini più piccoli, che vivono nel presente, è molto difficile programmare, perché loro ti dicono cosa gli va di mangiare soltanto nel QUI ED ORA, e quindi possono approvare un cibo per poi rifiutarlo quando se lo trovano davanti un’ora dopo… inoltre a volte la domanda stessa di cosa vogliono mangiare li mette in crisi, perché davvero se in quel momento non hanno fame non riescono a identificare cosa vorranno in seguito… come anche possono metterli in crisi le alternative, quando si chiede “Vuoi questo o quello?” Perché a quel punto vogliono tutto e non riescono a scegliere. Meglio evitare proprio di fare la domanda o di offrire attivamente, ma mettere invece i cibi alla sua portata in modo che possa prenderli da sé o chiederli sul momento, mentre sta insieme ad altri che si servono anche loro.

Riguardo al dilemma se lasciare o no decidere le cose ai bambini potete leggere questo articolo.

Dato che è frustrante perdere ore a preparare cibi perfettamente bilanciati per il bambino e poi vederli respinti, la scelta vincente può essere nel proporre al bambino gli stessi cibi del resto della famiglia, senza spendere energie e tempo a cucinare piatti speciali per loro. Questo da un lato può portare a cercare un modo più ricco e sano di nutrirsi anche per noi adulti, e se poi il bambino rifiuta… beh, può sempre prendere una versione più semplice degli stessi cibi (cioè fare le mescolanze solo all’ultimo) oppure ripiegare sulla frutta o altro cibo semplice, e il pasto da gourmet verrà spazzolato dagli adulti!

Ecologia intorno alla tavola

A tavola si sta per mangiare, certo; ma è anche un importante momento di socializzazione e di consolidamento delle relazioni familiari e amicali. La dimensione conviviale del pasto (condividere il cibo) è uno spazio importante di creazione di legami importanti, e genera il rilascio di ossitocina, l’ormone che non solo governa i processi di concepimento, gestazione, parto, allattamento (non a caso è detto l’ormone dell’amore), ma è anche il mediatore dei processi di crescita e di riparazione cellulare, di guarigione, e dei processi sociali. L’ossitocina, per essere rilasciata, ha bisogno di serenità, di uno spazio tranquillo e sicuro (per ulteriori informazioni su questo fantastico ormone, vedere questo articolo). Tensioni, pressioni, ostilità, paure bloccano l’ossitocina e associano, nel bambino piccolo, l’esperienza del nutrirsi a stati di ansia e dinamiche conflittuali che poi vengono perpetuate nel tempo, con effetti deleteri.

Ecco perché a tavola nessuno dovrebbe sentirsi forzato a mangiare. Il momento conviviale non può e non deve trasformarsi in un campo di battaglia, un’arena competitiva o un teatro di contrattazioni mercantili! Non forzate il bambino nella quantità e nemmeno nella tipologia di cibo. Questo articolo illustra i danni delle forzature a tavola, che sono maggiori di quanto si immagini.

SI dovrebbe rendere accessibile al bambino a tavola un buon assortimento di alternative, e poi lasciare che si serva da sé o con poco aiuto, senza essere direttivi. Nessun bambino si lascia morire di fame, specie se l’atteggiamento verso il cibo è sereno e non coercitivo.

E che dire delle regole di “comportamento” che gli adulti esigono dai bambini a tavola? Ad esempio, è accettabile che un bambino si alzi da tavola quando vuole, o deve aspettare che tutti si alzino?

Questione interessante che non ha una risposta univoca. A volte il bambino semplicemente si stufa di stare seduto fermo per periodi prolungati di tempo, specie se a tavola non ci sono situazioni che lo coinvolgano al di là del mangiare – per esempio si sente escluso dalle conversazioni degli adulti, oppure (obbrobrio) c’è la TV accesa, o anche ci sono semplicemente tempi troppo dilatati, mentre il suo interesse vola via ai giochi che vuole riprendere a fare.

Ci sono poi bambini che possono piacevolmente stare a tavola anche due ore a centellinare il cibo, chiacchierare e giocherellare e altri che dopo 10 minuti seduti hanno il formicolio alle gambe e, se non le sgranchiscono, raggiungono picchi di nervosismo tali da render loro impossibile continuare a mangiare, pur avendo fame. La regola di richiedere una presenza a tavola a prescindere dall’avere o no finito di mangiare può avere un senso nel suo voler proteggere questo momento di convivialità, ma questo proposito si deve fondare sia sulla comprensione dei bisogni del bambino (per esempio concedendo uno stacco di 2-3 minuti ogni 10 per i bambini che hanno bisogno di muoversi spesso), sia su un invito allo stare insieme a tavola che sia fondato su ragioni sostanziali e non formali (cioè un modo di relazionarsi, una convivialità che coinvolga davvero anche il bambino più piccolo e faccia di questo momento comune anche un SUO momento: non solo una partecipazione obbligata a un momento degli adulti).

Occhio ai problemi di salute

Alcune volte il bambino che rifiuta di mangiare semplicemente non sta bene. Non sottovalutiamo questa ipotesi che, anche se rara, può capitare. Un bambino che generalmente gradisce la tavola ma a un certo punto comincia a rifiutare il cibo può avere qualche problema di cui interessare il pediatra per un approfondimento.

Un problema relativamente frequente può essere l’anemia ferropriva, cioè per scarsità di ferro, una problematica che ricorre nei bambini nella seconda metà del primo anno, proprio in fase di svezzamento, o poco più avanti, specialmente se il parto è stato un po’ prima del termine e se il taglio del cordone è stato troppo affrettato. La carenza di ferro può essere un problema sottovalutato, e causa tra le altre cose anche inappetenza: è importante ribadire che in genere ha radici più profonde che non un’alimentazione carente, e che raramente si risolve mangiando più di questo o di quello ma ha bisogno di una fase di integrazioni per rimettersi “in carreggiata”, solo in seconda linea andando a intervenire con una maggiore attenzione all’alimentazione. Sempre meglio comunque trovare compromessi, cibi che possano soddisfare il fabbisogno di ferro anche con piccole quantità e andando incontro alle preferenze di gusto del bambino, anche tenendo conto che molte alternative alla carne esistono ma sono poco conosciute. Meglio al limite dare integratori, piuttosto che forzare a mangiare. Per approfondire il tema del ferro, leggete questo articolo.

Quando il problema è altrove

Certe volte può sorgere il sospetto che il nuovo comportamento di rifiuto a tavola sia originato da qualche situazione esterna al cibo. Per esempio, che ci sia un forzare il bambino a mangiare quando è a scuola, o dai nonni; oppure che le scenate a tavola siano per il bambino un modo di esprimere tensione o disagio vissuti in ambiti completamente diversi.

In momenti critici del ciclo vitale della famiglia spesso il bambino assorbe tensioni senza capire bene cosa succede, e la sua capacità di soffrirne o di elaborare conclusioni anche distorte può essere trascurata dagli adulti. Un lutto o una persona ammalata in famiglia, l’arrivo di un fratellino, un trasloco, l’inserimento al nido, la ripresa del lavoro della mamma, tensioni di coppia per conflitti o problemi esistenziali od economici, bullismo a scuola, sono solo alcuni esempi di cause potenziali di un comportamento disturbato a tavola. Il bambino può semplicemente spostare la sua tensione al momento del pasto, alla ricerca di attenzione e contenimento che non riesce a segnalare in altro modo. Il bambino piccolo può vivere queste tensioni ma non essere ancora in grado di spiegarsi a parole; ma non sottovalutiamo anche la possibilità che il bambino già in grado di parlare trovi comunque difficile parlare di emozioni o di paure, specie se sono argomenti di cui in presenza del bambino, per un travisato istinto protettivo, si tende a tacere.

Se il bambino manifesta un cambiamento nel suo comportamento anche in altri settori, ad esempio nel sonno, a scuola, nell’umore, occorre approfondire per cercare di capire cosa sta succedendo, e non limitarsi al sintomo, ingaggiando battaglie a tavola.

Conclusioni

Le problematiche di rifiuto del cibo vanno inquadrate in tutte le loro sfaccettature per capire se e dove sta il problema, che può spaziare dalla semplice selettività (il cibo “giusto” esisterebbe ma i genitori e il bambino stesso non lo hanno ancora scoperto) ad aspetti legati alle modalità in cui si svolgono i pasti (imboccare il bambino; comportamenti reattivi alle pressioni o all’ansia percepita, anche se i genitori non si esprimono); fino ad arrivare a problemi originati in altri ambiti e semplicemente dirottati sul mangiare (per esempio conflitti in famiglia, separazione dei genitori eccetera). Occorre insomma una valutazione personalizzata, e poi un lavoro di “recupero” perché, una volta instaurato il “problema del mangiare”, si costruiscono su questo altre dinamiche che poi vanno scardinate, richiedendo a volte anche tempi lunghi: è difficile uscire rapidamente da certi schemi appresi che vengono poi fuori in “automatico”, e questo può valere tanto per il bambino quanto per gli adulti che lo seguono durante il pasto.

La convivialità è un aspetto importante dell’ecologia del mangiare, ecco perché si raccomanda che l bambino mangi insieme agli altri membri della famiglia e non separatamente. Troppo spesso i pasti separati si riducono a un bambino nel seggiolone imboccato da un adulto che deve “farlo mangiare”, buttando all’aria tutti quei principi di autoregolazione e autodeterminazione, nonché di socializzazione, che sono alla base di un pasto sereno.

Se il momento dei pasti del bambino ha perso la sua serenità, se vi sembra che la situazione stia “sfuggendo di mano” o se avete dubbi riguardo all’adeguatezza dei pasti in un bambino che magari è ancora allattato, potete richiedere una consulenza personalizzata per la vostra situazione.

Antonella Sagone, 27 aprile 2023

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