Perché ha ripreso a svegliarsi la notte?

Perché ha ripreso a svegliarsi la notte?

La mamma di Giorgio, 14 mesi, è sconfortata: dopo 10 mesi di notti punteggiate da numerosi risvegli, suo figlio aveva cominciato a dormire più a lungo senza chiedere di poppare. Ma ora ha ripreso a svegliarsi più di prima e è tornato indietro a quando aveva pochi mesi.

Il padre di Anna, 5 mesi, pensa che i risvegli di sua figlia siano colpa dell’allattamento. Verso i 4 mesi la bimba aveva cominciato a dormire 5 ore di seguito, ma ora ha ripreso a svegliarsi spesso,  e secondo lui la causa è che la madre la allatta per riaddormentarla.

I genitori di Alessandro, 9 mesi, hanno speso un patrimonio con le tate del sonno, per educare il loro bambino a dormire tutta la notte, e ora tutti i loro sforzi, dopo qualche mese di tregua, sembrano sfumati nel nulla e si trovano a gestire risvegli continui.

La semplice realtà che nei primi anni di vita il sonno del bambino comporta risvegli e che questo fenomeno ha un andamento ciclico, non viene compresa e conosciuta, e le aspettative dei genitori e della società, di vedere i bambini ridurre progressivamente i risvegli notturni e allungare gli intervalli fra un risveglio e l’altro, sono destinate ad essere sistematicamente deluse.

Perché un bambino si sveglia la notte?

Il motivo più semplice è che il sonno dei bambini è più leggero di quello degli adulti. Inoltre, mentre un adulto che si sveglia la notte si può limitare a rigirarsi nel letto (magari dopo aver bevuto un sorso d’acqua) e riprendere facilmente il sonno, il bambino piccolo passa facilmente dal sonno alla veglia, senza riuscire a mantenere quello stato di dormiveglia abbastanza a lungo per riprendere subito a dormire. E per riaddormentarsi ha bisogno di rassicurazione e conforto, in una parola, della mamma. Ecco alcuni motivi comuni di risveglio.

  • Ci sono fasi in cui il risveglio è più frequente e il sonno più disturbato. Dipende sia dalle fasi di maturazione del sistema nervoso del bambino, che dall’effetto di certi balzi in avanti che il bambino compie in certe fasi di crescita. Quindi può darsi che un bambino stia semplicemente attraversando uno di questi periodi: non è una regressione, anzi è una evoluzione, ma si esprime in un periodo di sonno più interrotto (un periodo tipico: 4-5 mesi).
  • La sua vita diurna è troppo eccitante, per fattori esterni (troppi stimoli, esposizione a schermi, eccetera) oppure interiori (una recente conquista: parlare, gattonare, camminare), e questo si ripercuote sulla qualità del sonno.
  • Si stanno introducendo i cibi solidi troppo in fretta e con sostituzione delle poppate (invece che affiancamento), e quindi il bambino recupera la notte il fabbisogno di latte materno che è stato così ridotto durante il giorno.
  • La mamma è tornata al lavoro e/o il bambino va al nido, la notte recupera quell’intimità che il giorno gli è mancata.
  • Sta mettendo i denti;
  • La sua alimentazione contiene troppi zuccheri o additivi o allergeni (specie in fase di introduzione cibi solidi);
  • In camera fa troppo caldo;
  • È stato messo a dormire lontano dalla mamma, tolto dal lettone, o si è tentato un qualche tipo di sleep training, causando ansia di separazione (per saperne di più sulla nocività di certi metodi, leggi qui;
  • Un evento ha sconvolto la sua vita (trasloco, nascita di un fratellino, eccetera).

Ma al di là di tutto questo, il punto è che anche senza una causa precisa, è normale che a volte i bambini si sveglino di notte. Cioè non è detto che i risvegli ci siano sempre, ma quando ci sono non è un problema o una disfunzione o un vizio. Semplicemente il loro sistema nervoso funziona così, i cicli sonno veglia sono ancora ravvicinati la notte. E nessun bambino si sveglia per uno scopo (latte, coccole eccetera): il sonno non è un comportamento ma uno stato di coscienza involontario. I bambini si svegliano e basta. E quando sono svegli nel cuore della notte cercano conforto nel modo che conoscono: seno, braccia di mamma, ciuccio, biberon.

Sleep “regression” e sleep “progression”

Ultimamente questi periodi di frequenti risvegli notturni vengono definiti “sleep regression”, affermando che si tratta di una fase di regressione ma è normale che succeda.

A me personalmente il termine sleep regression non piace. Perché dà come l’idea che normalmente ci sia un “progresso”, cioè un progressivo aumento della durata dell’intervallo notturno, che il bambino dorma sempre più la notte, che poppi sempre meno, che impari progressivamente ad addormentarsi da sé… questa idea della progressione lineare piace tanto ma non rispecchia la fisiologia. Lo sviluppo del bambino procede in cerchi, anzi in una spirale ascendente, il cui si torna spesso sui propri passi, ma in modo nuovo e più evoluto.

Pensare che le poppate saranno sempre meno, i risvegli sempre meno, il cibo solido mangiato sempre di più, porta a pensare che ogni deroga da questi crescendo siano delle anomalie, dei passi indietro. Invece penso che semplicemente nei primi anni di vita le notti abbiamo alti e bassi, periodi sì e periodi no, frequenti cambiamenti di ritmi e comunque un costante bisogno del bambino di stare con la mamma, coi genitori accanto, anche e soprattutto la notte. E che questo sia normale, e che non valga la pena di investire energie o disperarsi per cercare di ottenere la “sleep progression” perché tanto, dopo le montagne russe dei primi anni, tutti i bambini dormono. E che i momenti di “regression” non sono delle regressioni, ma solo giornate (o nottate) in cui il bambino ha maggiore bisogno di noi. Il bambino che quando ha bisogno si sveglia e chiama la mamma non sta facendo un passo indietro, è un bambino competente che sa segnalare i suoi bisogni in modo efficace. Ai genitori può anche non piacere, essere faticoso, spossante a volte, ma meglio un bambino così che uno che nel momento del bisogno sta zitto e tu genitore non ti attivi né sai che in quel momento non sta bene…

SI era abituato al lettino; se lo prendiamo su, non si vizia?

Spesso si stressano i genitori dicendo loro che devono gradualmente abituare il bambino a dormire; a volte le famiglie si sottopongono a estenuanti transizioni dal lettone alla culla, dal side-bed al letto nella stanzetta, cercando di tirare in lungo i tempi di risposta ai richiami notturni. Quando il bambino apparentemente si adatta, i genitori restano costernati alla prima “regressione” e pensano che se risponderanno al richiamo del bambino tutta la fatica precedente “andrà persa”.

È triste da dire, ma era persa già da prima. Non è per merito dell’addestramento al sonno che il bambino smette di chiamare la notte, ma semplicemente perché si adatta a non piangere se non gli viene risposto. Oppure per coincidenza ha iniziato a maturare il suo sistema nervoso e quindi ha fasi più lunghe di sonno profondo. Ma generalmente non dura.

Dormire tutta la notte non è un fatto di abitudine, non si può “insegnare” a dormire ai bambini (vedi qui), perché il sonno non è un comportamento ma uno stato di coscienza involontario, tutti noi attraversiamo ciclicamente momenti di veglia e di sonno dettati dalla fisiologia del nostro corpo e dal funzionamento autonomo del nostro sistema nervoso: adulti e bambini.

Questi casi di “regressione” sono la dimostrazione di come educare al sonno sia un’illusione: non si possono precorrere le tappe, dormire tutta la notte è una conquista che si consolida (e per molti inizia) soltanto verso i tre anni.

I bambini non prendono “il vizio” a farsi accudire la notte… ci nascono con quel vizio lì! Quello che biologicamente si aspettano è di stare con le loro mamme, la notte più che il giorno. Semmai negandogli questa cosa alla fine si adattano… ma non tutti e non tutto il tempo, ci sono comunque i risvegli notturni, i viavai dal lettone alla culla e ritorno, i periodi tranquilli e le “ricadute”, che poi sono l’andamento normale delle cose… vale la pena di struggersi a insegnare loro a non cercare di tornare nel letto vicino alla mamma, vale la pena vivere tutte le speranze e le delusioni, tutti i tira e molla e le alzatacce per prenderli su la notte, o sopportando le loro urla disperate con l’orologio alla mano come fanno alcuni?

Non sto dicendo che i genitori facciano male di per sé a mettere il bambino a dormire per conto suo: se si sono regolati sulle reazioni del loro bambino e va bene, vuoi ldire che in quel momento hanno trovato la soluzione migliore per tutti. Semplicemente può sopraggiungere una fase diversa. Non hanno sbagliato prima, e non sbagliano adesso se invece seguono di nuovo i segnali che il loro figlio manda loro, e lo tengono nel lettone o vicino a loro finché non ha superato questa fase. Tutti i bambini prima o poi dormono da soli e per tutta la notte, anche quelli che hanno passato i primi anni nel lettone.

Sfatiamo qualche mito

Spesso si suggerisce ai genitori che il bambino si svegli per poppare, e che togliendogli il seno, smetterà di svegliarsi; oppure ancora, si insinua che riempiendogli lo stomaco con un pasto solido o magari un “bel biberon” di formula, non si sveglierà. Ma i fatti smentiscono queste convinzioni.

Nessun bambino si sveglia per poppare, così come nessuno si sveglia per succhiare il ciuccio… e nessun adulto si sveglia apposta per bere un sorso d’acqua. Chissà perché il ciuccio viene considerato la soluzione ai risvegli, e invece il seno la causa dei risvegli! Svezzare dal seno non farà svegliare il bambino di meno, così come per far cessare i risvegli notturni di un adulto sarà inutile togliere il bicchiere d’acqua che era sul comodino! Quello che può succedere nei bambini che una volta svezzati “hanno cominciato a dormire” è che parallelamente, e a volte senza rendersi conto, si sia cominciato ad abituarli ad aspettare quando si svegliavano, e abbiano appreso non a dormire, ma a non chiamare. Questo si è visto con gli studi sul sonno, in cui con strumenti obiettivi si rilevavano i periodi di sonno e di veglia in madri e bambini allattati e non.

Quindi se una madre dopo aver avuto tutte le informazioni e soppesato i vari aspetti decide di svezzare gradualmente, se lo fa perché è stanca di allattare, va bene. Ma se lo fa per poter dormire la notte, deve sapere che non è un motivo valido e che rischia di perdere uno strumento in più per calmare il bambino nei risvegli notturni.

I non allattati si svegliano altrettanto spesso. Se il bambino viene lasciato solo progressivamente quando si sveglia, impara a non chiamare. A quel punto i genitori dormono di più e i loro livelli di cortisolo (stress) scendono. Invece i bambini continuano a svegliarsi, si rigirano nel letto e alla fine si riaddormentano; insomma continuano coi risvegli come prima. E il loro livello di stress purtroppo resta alto (cortisolo alto), anche se non piangono e non chiamano.

Se la mamma invece continua ad accudire il bambino la notte, dovrà trovare altri modi per calmarlo, molto più faticosi del porgere un seno.

Altrettanto falsa è la teoria che i bambini se sono sazi non si svegliano. Come abbiamo visto, i risvegli avvengono per i motivi più svariati. Ma in particolare sulla faccenda del pasto serale c’è uno studio (vedi qui i dettagli) che ha dimostrato come né la pappa di sera, né il biberon di formula, né lo svezzamento dal seno, modificano il numero di risvegli del bambino durante la notte.

L’unica differenza fra i bambini che poppano al seno e quelli svezzati e che ricevono un pasto serale, è che i primi, quando si svegliano, poppano al seno (quindi mangiano anche), mentre gli altri si svegliano ma cercano conforto dai genitori in altri modi.

Conclusioni

L’accudimento notturno di un bambino piccolo è uno degli aspetti più faticosi e impegnativi per i genitori. La nostra cultura alimenta (anche attraverso trasmissioni e “metodi” che promettono miracoli) il mito che ci sia una soluzione facile per permettere ai neo-genitori di avere un sonno notturno indisturbato; ma in realtà, i primi anni i risvegli esistono, non sono dovuti né a un intento malevolo del bambino, né a cattive abitudini, vizi o errori educativi dei genitori: è la fisiologia. Sapere che ci sono alti e bassi, fasi più o meno impegnative, e che prima o poi tutti i bambini dormiranno tutta la notte e si addormenteranno da soli, può aiutare i genitori a vedere questo aspetto in prospettiva, e affrontarlo non più come un problema educativo, ma soltanto pratico. Una Consulente professionale in allattamento materno può affiancare mamma e bambino aiutando a mettere a fuoco i reciproci bisogni e a trovare un equilibrio nella gestione delle poppate notturne (vai qui per una consulenza). 

Un approccio flessibile, basato sul rispetto dei tempi di maturazione del bambino, che trova le soluzioni pratiche più comode per accudire il bambino di notte, sarà quello migliore per quella famiglia, specialmente se si manterrà la flessibilità di adattarsi ai cambiamenti che il bambino attraverserà nel tempo, senza timore di violare qualche regola o ideologia astratta su come i bambini “dovrebbero” dormire o i genitori “dovrebbero” educarli al sonno.

Antonella Sagone, 14 marzo 2022

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